di ALBERTO RIZZI
Sappiamo che i Partiti sono servi dei poteri economici sovranazionali. Così ritengo che anche la prima motivazione dello sfascio della scuola italiana, deriva da scelte economiche prese altrove; e molto tempo fa: dato che il suo inizio si può far risalire agli Anni ’80. Per lo stesso motivo è stato portato avanti da tutti i governi, sia “di destra” che “di sinistra”, con l’unica differenza dei metodi adottati, non del fine.
Tale decisione è stata presa principalmente in vista dell’aumento del costo del lavoro in quelli che si sapeva sarebbero diventati i “Paesi emergenti”. L’unico scopo del sistema capitalistico è quello di accumulare denaro, a prescindere dai confini nazionali e dalla qualità della vita che andrà a creare nelle aree sfruttate; perciò lo sviluppo economico di Paesi nei quali l’uso dei lavoratori è a livello pressoché schiavistico, provocherà prima o poi un miglioramento della qualità materiale della vita; e la presa di coscienza di quei lavoratori: con conseguenti richieste che innalzeranno il costo del loro lavoro.
Diventa perciò imperativo, preparare in quei Paesi dove il costo del lavoro è ora più alto e dove più sono diffuse le tutele sociali, un arretramento sociale: che – a tempi lunghi se non lunghissimi – faccia tornare questo costo conveniente per nuovi investimenti, che diverrà indispensabile spostare dalle Nazioni che si sono nel frattempo arricchite. Fondamentale per ottenere tali risultati è anche colpirne il sistema dell’istruzione: questo sia per interrompere quei processi di costruzione di una personalità autonoma nel giudizio e nelle decisioni, che passano anche attraverso le esperienze scolastiche dei vari gradi; sia per creare dei futuri lavoratori che, a causa della scarsa capacità di valutare la realtà che li circonda, potranno essere privati dei propri diritti, fino a venir utilizzati come “parti della macchina”.
Se qualcuno vuole andare alla ricerca di una motivazione, che abbia portato vantaggi diretti ai nostri politici in quanto tali, dovrebbe essere ovvio che in un Paese nel quale scade il livello culturale medio; nel quale scadono senso di responsabilità e concetto di eticità; e nel quale si affossano le conquiste sociali, anche per l’incapacità dei giovani di farsi un giudizio lucido della situazione, prospereranno corruzione e tutti quei comportamenti, che permetteranno a una classe politica che si regge su sistemi mafiosi di continuare a replicarsi.
UNA PICCOLA PANORAMICA sui SISTEMI IMPIEGATI
L’attacco ha seguito un piano lucido e preciso: i Governi hanno iniziato a colpire la Scuola Media Inferiore, per interrompere il processo di responsabilizzazione dell’individuo, che raggiunge il suo picco in quei tre anni: promuovere alunni già in parte destrutturati nella capacità di (auto)stima, nel senso di responsabilità, ecc., ha permesso di bloccare o diminuire il loro acculturamento.
Si sono poi destrutturate le Superiori, con tutta una serie di modifiche al loro ordinamento che, mantenendo l’impressione di migliorare l’istruzione di tutti e la meritocrazia, andassero invece nella direzione opposta. E’ di questi ultimi anni l’attacco finale alle Scuole Elementari, il cui compito non è solo dare i rudimenti di base, ma anche indirizzare la socialità del futuro individuo.
Bisogna rendersi conto che un giovane che sia stato deresponsabilizzato; che veda i diplomi assegnati senza alcuna logica meritocratica, ma anzi favorendo esplicitamente chi meno si impegna; e che esca dalla scuola con un titolo di studio non rispondente alle sue effettive capacità (ma senza rendersi conto di ciò) è un soggetto acritico, pronto a bersi qualsiasi panzana gli venga proposta dal Potere. Sarà anche incapace di chiedere il rispetto dei propri diritti e di capire quali sono quelli degli altri: cioè il soggetto più manipolabile e dipendente da raccomandazioni che si possa desiderare per assicurare continuità a questa classe politica.
Riguardo alle Superiori, mi limito a dare alcuni dei tanti sistemi utilizzati per falsare i giudizi finali sugli alunni.
– I finanziamenti all’Istituto e la paga del suo Dirigente sono legati al numero di alunni iscritti: e più se ne promuovono, più se ne attirano; specie se sanno di essere meno brillanti o disimpegnati.
– Autonomia dell’Istituto e numero delle classi sono anch’esse legate al numero di alunni. Se pertanto una classe scende sotto un certo numero di alunni (15), essa sparisce e gli alunni smistati nelle altre. Inutile dire che in questo modo si perdono cattedre, cioè posti di lavoro. Inutile far notare il peso del ricatto che subisce un insegnante, specie se con famiglia a carico.
– Si vorrebbero far entrare negli organi direttivi della scuola i rappresentanti delle industrie: in questo modo l’istruzione sarà asservita ai loro bisogni e non alla creazione di soggetti globalmente formati, in grado di percepire i loro diritti quanto a qualità della vita.
– La valutazione finale è sempre più sbilanciata a favore di crediti “extrascolastici”, come il voto di condotta e l’aver preso parte ad attività che spesso non hanno nulla a che vedere nemmeno con l’indirizzo della scuola.
– Il voto della media allo scrutinio finale (che dà diritto ad altri punti per l’Esame di Stato) è calcolato sui voti espressi dal Consiglio di Classe, non su quelli proposti dai singoli insegnanti, che fotograferebbero il vero rendimento dell’alunno: si assiste così a una loro ipervalutazione, perché la media finale sarà anche di molto superiore al “sei”.
– Si è imposta la logica che se uno studente non raggiunge la promozione, la colpa è solo degli insegnanti. Se la perdita di classi a causa del numero di alunni ha scatenato una “guerra fra poveri”, questo atteggiamento ha fatto sì che gli insegnanti caratterialmente più deboli, si autocolpevolizzino; mentre quelli già di per sé meno responsabili, vedano in ciò la scusa per non prendere “decisioni spiacevoli”.
L’elenco potrebbe allungarsi, ma mi sembra che i problemi siano chiari e poi:
PROVIAMO a ESSERE PROPOSITIVI…
Volendo il problema non è nemmeno tra pubblico o privato; e se si teme che un ritorno al pubblico possa essere traumatico, si può anche lasciare l’autonomia degli Istituti: ma con un programma unico nazionale per indirizzo e la possibilità per ogni Istituto di modificare (o al limite aggiungere) una minima parte delle ore a disposizione, per introdurre o approfondire materie d’indirizzo.
Diviene imperativo, comunque, abolire tutte quelle forzature (di cui ho scritto al punto precedente) intese a minare la selezione qualitativa degli alunni e la qualità generale dell’insegnamento: numero degli alunni per classe, peso dei crediti, ecc.. Senza rimediare a ciò, qualsiasi modifica al lavoro di annichilimento della scuola portato avanti negli ultimi venticinque anni, sarà fumo negli occhi.
Non è detto che si debba ritornare al “modello Gentile”: ci sono diversi altri sistemi di apprendimento (penso al metodo Steineriano, ma non solo), che sarebbe ora di testare in Italia; non sarebbe nemmeno male pensare – se un giorno le finanze dovessero permetterlo – alla costituzione di scuole medie superiori in forma di campus: dove lo studente rimanga per la gran parte della giornata, con le canoniche sei ore di insegnamento “spalmate” e inframmezzate da altre, nelle quali possa praticare “discipline” socializzanti. Questo per sottrarlo, per quanto possibile, ad ambienti – familiari e non – dove la scala dei valori sia stravolta.
Bisogna però avere ben presente che il problema più grosso, a livello sociale prima ancora che di apprendimento, è stato quello della deresponsabilizzazione: generazioni di studenti sono state volutamente deresponsabilizzate, per i motivi che ho scritto ai punti precedenti; e il loro recupero non sarà facile. Ma per invertire questa tendenza, occorre anche “rassegnarsi” a che la scuola torni a fare selezione, almeno per cinque-dieci anni, secondo criteri davvero meritocratici.
Anche per questo si dovrebbe tornare a permettere l’accesso all’Università solo agli studenti di certi indirizzi; o almeno a che certi indirizzi possano permettere l’accesso solo a Facoltà compatibili con gli insegnamenti impartiti. Non si deve dimenticare che il tanto contestato “numero chiuso” – con gli esami che ne seguono – è dovuto in gran parte proprio alle lacune che molti studenti hanno, pur essendo stati indotti a credere di poter iscriversi a una Facoltà, solo perché in possesso di un Diploma.
Da pensare anche a una inchiesta sugli Esami di Stato e le ammissioni alle classi superiori tenuti durante gli ultimi dieci-quindici anni: per quanto ho spiegato al punto precedente, è scontato che molti passaggi sono stati condizionati; e basterebbe un’analisi dei verbali e dei registri – con gli sfasamenti fra i voti proposti e quelli dati per Consiglio – per far scoprire gli altarini. A quel punto, all’insegnante che viene beccato si possono dare due possibilità:
a) Un sereno “mea culpa” che porti al prepensionamento col sussidio minimo, qualora abbia più di cinquant’anni; al suo trasferimento ad altro ruolo nella Pubblica Amministrazione, se più giovane: questo andrebbe a tutto vantaggio della messa in ruolo dei precari.
b) Qualora l’insegnante pretenda di essersi comportato in maniera eticamente e professionalmente ineccepibile, si procederà con una inchiesta per falso in atto pubblico e/o interesse privato in atti d’ufficio.
Ricordiamoci che si dovrà intervenire su tutti i gradi della scuola: per esempio è evidente che non si può insegnare l’inglese a un bambino, se prima non ha ben chiari i fondamentali dell’italiano; che non si può insistere sull’utilizzo del computer già alle Elementari, perché è proprio grazie a esso che si sono abbattute le capacità critiche nei giovani, con quella che chiamo “la sindrome del copia-incolla”.
Infine, per sanare almeno in parte i danni fatti da questo sistema scolastico – che sta producendo una impressionante’ondata di analfabetismo di ritorno – si dovrà studiare un sistema di recupero, una sorta di “Non è mai troppo tardi” (immagino supportato dal web anziché dalla TV) che permetta a chi vorrà di colmare le proprie lacune.
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Alberto Rizzi si occupa di comunicazione artistica (per qualsiasi notizia al riguardo, vd. il suo sito www.seautos.it); ma siccome in Italia di cultura non si campa, insegna da venticinque anni principalmente nelle Scuole Superiori della Provincia di Rovigo.Le sue competenze sono: Difesa e strategia (per passione), Comunicazione artistica e cultura (ma solo a scala locale), Istruzione (per forza di cose).
Politicamente parlando, è firmatario del “Manifesto del Bioregionalismo Italiano” e di quello del “Movimento Zero” di Massimo Fini. A questa formazione politica partecipò attivamente (nel gruppo di Vicenza, finché il tempo a disposizione glielo permise); e contemporaneamente fu “assistant organizer” nel Meetup di Ferrara (uscendone per lo stesso motivo).
PS Sto riflettendo su una cosa: i risvolti “umanistici” e “critici” delle materie non umanistiche. La matematica ad esempio, se incentrata meno sulle formule e più sulle dimostrazioni ragionate, è un’ottima palestra di critica, mentre la programmazione ad oggetti costringe a rendere la realtà da rappresentare comprensibile al calcolatore tramite un modello (scegliere quali siano le informazioni essenziali e trattare entità, associazioni ed attributi ragionando per categorie è in realtà più simile alla costruzione di una teoria filosofica che alla messa in funzione di un macchinario)
Forse la divisione umanesimo/tecnica va ripensata. Mi sono dimenticato poi della scienza dei materiali, attualmente limitata a branca dell’ “educazione tecnica” delle medie inferiori: è essenziale che un cittadino critico sappia che a monte degli oggetti c’è un processo di produzione complesso
Sono d’accordo con te, Marco; su tutto, compresa l’osservazione sull’Educazione Tecnica: che accetto “fidandomi”, perché da moltissimi hanni non ho più contatti diretti con le Medie Inferiori, essendomi concentrato sulle Superiori nelle quali sono di ruolo.
I punti che tocchi, però, sono molto “specialistici”: nel senso che il modo per insegnare una materia (tu hai sollevato il caso della Matematica, ma si può applicare un ragionamento simile a tutte: nel senso che – per esempio – c’è una “scientificità” anche nella critica delle letterature) va calibrato scuola per scuola. In altre parole, non si può pretendere che il taglio dato a una determianta materia NON d’indirizzo, sia identico nei Licei, negli Istituti Tecnici e in quelli Professionali.
Questo fa parte dei problemi che dovrebbero essere affrontati – a parer mio – dopo essersi chiariti sui punti che tolgono validità a tutte le funzioni che dovrebbe avere la Scuola (non solo insegnamento: ma anche valutazione, sensibilizzazione, responsabilizzazione); e avere, possibilmente, trovato una ricetta per risolverli.
Personalmente (e non come scusante per non aver completato il percorso, comunque) mi ricordo dell’impatto con l’università a trimestri, con gli esami che vertevano su tutto ma in breve e le interrogazioni che riuscivano a saggiare solo la preparazione più rudimentale (e non per colpa dei docenti ma del tempo). Scherzavo, all’epoca, parlando di “polli in batteria”. In realtà c’era poco da ridere.
ho letto con interesse l’articolo, condivido l’idea che il rimbecillimento della popolazione passi attraverso l’impoverimento culturale, i danni fatti al nostro sistema scolastico sono numerosi e spesso vanno, purtroppo, in quella direzione. Alcune delle proposte che ho letto mi trovano d’accordo, mi permetto però di dissentire su altre.
L’idea della scuola superiore in forma di “campus” che fa tanto ‘america’, mi sembra vada in una direzione sbagliata. Non credo che aumentare il tempo di permanenza a scuola sia una cosa buona, oltre un certo limite. I ragazzi hanno bisogno dei loro spazi, non necessariamente organizzati, in cui fare ciò che si sentono di fare. Inventare laboratori (pure utilissimi) in cui rinchiudere ragazzini (ma anche se fossero spazi all’aperto il problema rimarrebbe) e dove offrire loro un tempo organizzato e già suddiviso per poter compiere quelle che lei chiama “discipline socializzanti”. Credo che i ragazzi abbiano invece bisogno di crearsi i propri spazi da soli, in autonomia, senza qualcuno che indichi loro quando come e perchè. Soprattutto non concordo sulla motivazione che riporta “Questo per sottrarlo, per quanto possibile, ad ambienti – familiari e non – dove la scala dei valori sia stravolta.” Non mi pare sensato “sottrarre” una persona al suo ambiente familiare, magari per imporre i valori “giusti”, puzza tanto di società distopica, in cui l’idea è buona ma il risultato pessimo e alienante. Tenere i bambini e i ragazzi lontani dalle famiglie e dentro minisocietà costruite ad hoc (i campus) per far si che possano imparare ciò che è “giusto” (volutamente rimetto le virgolette) mi pare sciocco.
Altra cosa su cui non concordo, la “sindrome del copia-incolla” non è certo nata con il computer, le ricerche una volta si facevano con i libri, e il risultato era il copia-incolla amanuense, dove un bambino di 9 anni scriveva cose prese brutalmente dai libri pari pari e faceva bella figura con l’insegnante perchè aveva riempito 3 fogli protocollo. Sono cambiati i mezzi, ora è più facile, ma di sicuro il metodo è rimasto. Bisognerebbe allora interrogarsi sull’utilità o meno di molte nozioni che vengono fatte imparare ai bambini (e non solo, parlo anche di medie e superiori) con livelli di dettaglio eccessivi, dove lo sforzo mnemonico prende il sopravvento (e viene premiato) sulla reale comprensione degli argomenti, dove non viene dato spazio al libero approfondimento ma è tutto rigidamente strutturato, con libroni da imparare a memoria capitolo per capitolo e conseguentemente dimenticare. Se ognuno di noi pensa a ciò che ha fatto alle elementari e alle medie o alle superiori, si renderà conto che spesso si è trattato di leggere e ripetere fino alla nausea concetti di cui poi spesso non rimane nulla. Non mi sembra un buon modo per insegnare sinceramente.
Come ulteriore punto, relativamente ai crediti extrascolastici, sono d’accordo sul fatto che spesso le attività condotte siano lontane dall’indirizzo scelto, ma questo è un bene, perchè c’è bisogno di spaziare con la mente, di guardare fuori dal proprio buco, di non passare il tempo solo e sempre a studiare i soliti argomenti. C’è anche da dire che spesso le attività sono poche e, nella mia esperienza, gestite male. Esiste sempre l’opzione di attività “facile”, quella che di solito raccoglie la maggiore parte degli studenti perchè è notoriamente semplice ottenerne i crediti, penso ad esempio alla visione di film o all’ascolto (passivo) di conferenze sui temi più diversi. L’idea va sicuramente migliorata, ma mi pare buona, offriamo agli studenti la possibilità di interessarsi a qualcosa che non sia il solito brodino di libri da memorizzare e rimuovere sistematicamente per fare spazio “all’argomento nuovo”.
Infine, è vero bisognerebbe far si che certi indirizzi universitari fossero accessibili solo a chi ha compiuto determinati percorsi di studi, ma il discorso sulla media voti della scuola superiore che dà accesso all’università non regge. Troppe sono le differenze, molte incolmabili, basta un insegnante “cattivo” o incapace a spiegare per rendere un buon voto in determinate materie irraggiungibile o quasi, credo che molti ne abbiano esperienza. Deve essere data la possibilità, ad un ragazzo che decida di intraprendere un percorso di studi universitari, di dimostrare il proprio valore sul campo, nell’università da lui scelta, nei corsi che decide di seguire.
Cordialmente
Grazie, Simone;
anche le tue riflessioni sono – almeno in parte – condivisibili; nel senso che, rispondendoti punto per punto, io posso specificare meglio le idee dalle quali sono partito: così, spero che ci troveremo già più d’accordo.
HAI SCRITTO: “L’idea della scuola superiore in forma di “campus” che fa tanto ‘america’, mi sembra vada in una direzione sbagliata…”
E’ solo una proposta fra le tante sperimentabili; e non è che – tra un’ora di lezione e l’altra – i ragazzi siano “obbligati” a far tennis, piuttosto che scuola di fumetti. Sono ore che dovrebbero esser loro a gestire, sulla base di un ventaglio di offerte il più ampio possibile; anche se forse all’inizio – vista la situazione attuale – per loro sarebbe difficile.
Però, proprio ascoltando un po’ i ragazzi, so che avrebbero bisogno di questi spazi, anche se – come ho appena scritto – non è che si rendano ben conto di come gestirli. Inoltre io posso toccare con mano il degrado che viene dalle famiglie: e ti assicuro che basterebbe tenerli lontani per un po’ (anche qui, non tutti, s’intende) che inizierebbero a maturare senza problemi.
HAI SCRITTO: “Altra cosa su cui non concordo, la “sindrome del copia-incolla” non è certo nata con il computer, le ricerche una volta si facevano con i libri, e il risultato era il copia-incolla amanuense…”
Lo so, e non è un problema di copia-incolla in sè: il problema è che è fatto attraverso il computer, un mezzo che taglia alla radice la capacità di analisi critica di quel che il ragazzo sta facendo. Il “copia-incolla da libro” richiede comunque un’attenzione e un tempo di lavoro tali, che proprio per questo il ragazzo sarebbe costretto a ragionare se quello che sta copiando è pertinente al tema, oppure no.
Con Internet questa capacità si sta rapidamente perdendo e sono studi scientifici che lo sostengono, non solo la mia “esperienza sul campo”: il ragazzo digita un soggetto, lo trova premendo un tasto e quello che ha trovato lo trascrive, credendolo vangelo. Tutto tempo guadagnato per correre a chattare su Facebook…
Penso che la maggioranza della gente non se ne renda conto: i ragazzi sanno come TROVARE una notizia fuori dalla loro testa, ma non sanno più come UTILIZZARLA all’interno di un percorso logico; anche perché – aldilà dell’insegnamento “a memoria” – stanno perdendo in questo modo la capacità di ricordare in maniera autonoma.
HAI SCRITTO: “Come ulteriore punto, relativamente ai crediti extrascolastici, sono d’accordo sul fatto che spesso le attività condotte siano lontane dall’indirizzo scelto, ma questo è un bene, perchè c’è bisogno di spaziare con la mente…”
Anche qui ci vedo – come dire – un errore di prospettiva: qualsiasi esperienza extrascolastica può essere positiva, a prescindere dal campo nel quale è condotta: quello che contesto è che venga “computata” nelle valutazioni finali, che dovrebbero basarsi al novanta per cento sull’insegnamento. Quindi, se uno studente di ragioneria, va a lavorare d’estate in uno studio, mi sta benissimo riconoscerglielo come credito extra-scolastico; se fa la piadina alla sagra del paese, no. Anche perché sono sì esperienze che influiscono sulla maturità del ragazzo: ma essa si rispecchia poi in altri “indicatori” della vita scolastica (frequenza, propositività, disponibilità all’aiuto verso i compagni…), che vengono già valutati dal Consiglio di Classe.
Inoltre non scordare che il credito extrascolastico è uno dei tanti sotterfugi messi in atto dal legislatore, per abbassare il livello culturale effettivo dello studente, alla fine del suo corso.
HAI SCRITTO: “Infine, è vero bisognerebbe far si che certi indirizzi universitari fossero accessibili solo a chi ha compiuto determinati percorsi di studi, ma il discorso sulla media voti della scuola superiore che dà accesso all’università non regge…”
Condivido in tutto; però questo sarà possibile solo quando la scuola sarà tornata a fare una selezione seria, rispetto alle conoscenze acquisite; o – tramite la sperimentazione di altri sistemi di insegnamento – avrà imboccato una strada differente da quella disegnata dalla Riforma Gentile in poi, ma altrettanto valida a livello di contenuti appresi.
La ringrazio per la risposta, riprendo dal suo intervento per chiarire alcune cose:
Vede, anche solo il fatto che si cerchi di proporre qualcosa ai ragazzi, mi sembra un po’ forzato, io andavo a giocare con i miei amici al pomeriggio e organizzavamo un sacco di cose in modo completamente autonomo, non c’era qualcuno che mi venisse a offrire delle possibilità, e io non le avrei peraltro accettate perchè volevo fare ciò che mi andava di fare 😀 Sono d’accordo che in certe situazioni famigliari vi debba essere un ulteriore sforzo per permettere ai ragazzi di fare attività fuori dai nefasti influssi della famiglia, ma sono casi che vanno valutati con attenzione, non me la sentirei di estendere questa cosa a tutti, ma d’altra parte su questo la pensiamo in modo simile.
Sul copia-incolla, continuo a non vedere grosse differenze, alla fine conta la capacità critica di saper valutare l’informazione che si è trovata, quando alle elementari copiavo a mano pezzi di libri interi non mi ponevo il problema di capirne a fondo i contenuti (spesso troppo difficili per l’età), diversamente sul computer (e in età più adulta) ho imparato a valutare le fonti e a decidere cosa andasse bene e cosa no. Credo che il problema risieda nel fatto che, data la mancanza di interesse che gli studenti hanno sempre avuto per determinati tipi di lavori (come le ricerche da fare a casa su argomenti considerati inutili), il computer abbia spinto a velocizzare il compito da portare a termine, ma questo non per colpa del copia-incolla rapido, quanto piuttosto per un generale disinteresse che porta lo studente a vedere di buon occhio la possibilità di sbrigarsela in fretta. Sinceramente molte delle ricerche che i ragazzini (elementari e medie) devono fare per la scuola sono inutili e servono solo a raccattare nozioni da libri\internet troppo difficili per loro, di cui non colgono quindi la rilevanza.
Sui crediti, quando ho frequentato le superiori non erano così preponderanti nella valutazione, forse ora il loro peso è cambiato. Ricordo di aver sempre partecipato poco alle attività extrascolastiche perchè fondamentalmente non mi interessavano, avevo i miei di interessi. Poi si era obbligati a scegliere qualcosa e si andava per il meno impegnativo, ma ovviamente non ho nessun tipo di ricordo di quanto fatto in quei corsi. Ritengo che da un lato vada dato spazio a qualsiasi tipo di attività, non ritengo superiore lo stage in azienda rispetto al vendere le piadine, dall’altro però il ruolo dei crediti extra nella valutazione finale andrebbe ridimensionato. Se la maggior parte dell’impegno del ragazzo è speso nelle ore di lezione tradizionali, va mantenuta questa proporzione.
Condivido in pieno quanto scritto sull’ultimo punto, l’accesso alle università.
saluti
Chiedo scusa per il ritardo col quale rispondo, ma purtroppo fra gli impegni di famiglia, di lavoro e – in queste ultime settimane – col M5S per le elezioni, non ho potuto fare prima…
Dopo quanto mi ha scritto, l’unica cosa che resta da chiarire – visto che per i crediti, si tratta proprio del loro “peso”, che al termine del percorso scolastico va a falsare quella che dovrebbe essere una valutazione basata prima di tutto sul sapere acquisito e il suo uso – è precisare che il modo differente in cui vediamo il problema del copia-incolla, è dato – mi pare di capire – da una diversa esperienza che abbiamo della scuola: lei parla di elementari e medie inferiori, io di medie superiori.
Con questo intendo dire, che non mi stupisce affatto che un ragazzino a 10 anni non abbia le capacità critiche per analizzare in toto quello che può aver trovato sui libri o in Internet, nel corso di una ricerca; direi anche che mi sta bene… Purtroppo io lo vedo fare con regolarità da ragazzi dell’ultimo anno di corso, non solo negli Istituti Professionali, ma ormai pure nei Licei.
Vedere sistematicamente ciò in ragazzi di 18 anni o più – dunque in adulti, nel loro complesso, che stanno per misurarsi col mondo del lavoro o con un livello di studio ben più complesso, quale si suppone sia quello dell’Università – significa che costoro sono vittime di una errata “impostazione” del loro modo di pensare, prima ancora del metodo di studio. E questo problema dovrebbe essere evitato proprio negli anni cruciali dell’infanzia: quando né la scuola né le famiglie sembrano in grado di gestire correttamente l’approccio all’informatica.
Prendo atto delle tue articolate argomentazioni e vorrei solo fare qualche precisazione. Quando ho scritto “liceo classico obbligatorio per tutti” intendevo proprio una specie di scuola secondaria che non indirizzi verso nessun ramo lavorativo, ma che dia una formazione di cultura generale un po’ in tutti i campi, anche in quelli propri del liceo scientifico e del linguistico. In pratica una specie di super-liceo, che rappresenti un mix di tutti i licei esistenti, con un sovrappeso delle materie del attuale classico.
Per “superare con profitto” intendevo uscirne con un determinato voto finale. A partire da una determinata soglia di voto l’accesso immediato a qualsivoglia facoltà è libero, mentre per coloro che ottengono un voto inferiore a tale soglia alcune facoltà sono precluse, alcune aperte e per altre ancora si prevederà un esame d’ingresso. Per non precludere in via definitiva l’accesso ad una determinata facoltà, si dovrebbe dare a tutti coloro, che non raggiungono la soglia, la possibilità di ripetere l’ultimo anno e l’esame di maturità, per avere la possibilità di superarla in un secondo tentativo ai fini del libero accesso a qualsivoglia facoltà.
Il meccanismo naturalmente andrebbe perfezionato, ma il concetto che voglio far passare è che per ottenere una società migliore, più critica ed attenta ai propri diritti, occorre una formazione umanistica (classica) e generalista obbligatoria per tutti. Le specializzazioni precoci producono buoni lavoratori (schiavi utili per il sistema paese e la sua produttività), ma non persone consapevoli, acculturate e libere.
Hai detto di essere contrario al bilinguismo sin dalla scuola primaria, ma non hai motivato questa opinione.
Io credo che il plurilinguismo sia utile per formare persone più aperte alle diverse culture, più tolleranti e più capaci di relazionarsi. Studiata una seconda lingua, la voglia di conoscerne altre ancora ed i rispettivi paesi nascerà in molti.
La scelta dell’inglese risulta ovvia, dal momento che costituirà uno strumento fondamentale per la futura formazione professionale. Si pensi che ormai la medicina moderna è basata quasi esclusivamnte sul inglese, così come l’ingegneria. L’inglese è la lingua ufficiale della scienza e della comunità scientifica internazionale. In effetti vedo molto bene i corsi di laurea dei politecnici di milano e di torino tenuti interamente ed esclusivamente in inglese.
Tutti coloro che grazie alla suola potranno considerare l’inglese la loro seconda lingua madre potranno accedere a formazioni professionali avanzate più facilmente (sempre e comunque dopo il percorso classico delle superiori).
A coloro che non saranno interessati alle materie ed al settore lavorativo tecnico/scientifico l’inglese certamente male non potrà fare e potrà servire per viaggiare ed anche per informarsi in internet sui più disparati argomenti.
Concordo sulla pericolosità di una didattica basata sin dalla primaria troppo pesata sul mezzo informatico. Verrebbe meno il necessario confronto con l’essere umano insegnante e rende troppo passivi. Altresì la didattica teorica, sia con mezzo informatco,sia con insegnante va comunque affiancata a molta attività motoria e pratica, che viene a mio avviso trascurata eccessivamente. I bambini vanno a scuola alle 8:30 ed escono alle 16:00 ca. Possibile che queste ore non possano essere suddivise equamente fra attività di studio teoria in classe ed attività fisica e pratica?
Ciao Mikhail,
sì, con le precisazioni adesso è tutto più chiaro; e adesso anche alcune delle tue considerazioni mi trovano d’accordo.
Sono iscritto da tempo al M5S e a breve inizierò a postare le proposte che ho fatto qui (e altre) sul loro Forum. Così, quando ti riferisci a un “super-liceo”, se vai proprio all’inizio del “set” delle mie proposte, vedi che parlo della possibilità di aumentare autonomamente il monte-ore di ciascuna scuola – pensavo di un 10% – per ampliare la propria offerta senza sovrapporsi agli altri Istituti: applicando ciò a un Liceo Classico, credo che si andrebbe molto vicini alla tua idea.
Sulla possibilità di dare a uno studente una “seconda chance” nel caso di voto troppo basso (ma comunque sufficiente) all’Esame di Stato, anche questa è una cosa fattibile: sia studiandola come “doppio canale”, sia come reiscrizione all’ultima classe del proprio (o altro) Istituto.
Mi chiedi una precisazione (sulle lingue straniere nei primi gradi di istruzione) e ti do volentieri il mio punto di vista: cosa che non ho fatto nell’intervento di partenza, perché già abbastanza “pesante” di suo.
L’insegnamento dell’inglese nelle scuole elementari (il M5S propone di farlo addirittura dall’asilo, cosa che mi trova ancor più contrario), è a mio parere spia di un tentativo di “anglicizzare” l’Europa Unita, schiacciando a poco a poco le lingue nazionali e abbassandole a dialetti; proprio perché l’inglese è la lingua del commercio, cioè delle multinazionali che stanno dietro al modello europeo come ora ci viene imposto.
In altre parole, prima si comincia una cosa, meglio è: ma di cominciare questa non vedo nessuna fretta, proprio se vediamo questa lingua come uno strumento di lavoro; a prescindere dall’interesse che un giovane potrà avere per quella cultura: interesse che penso si sviluppera in maniera critica non prima delle Medie Inferiori, non certo alle Elementari o all’asilo. Ovvio che questo ragionamento vale per qualsiasi lingua straniera – anche per l’arabo o il cinese, che mi sa diventeranno sempre più importanti, commercialmente parlando – non solo per l’inglese.
Sull’ultimo punto – la distribuzione di studio e altre attività alle Elementari – non posso dare una risposta, perché le Scuole Primarie non sono il mio campo di specializzazione: so – conoscendo comunque alcuni insegnanti di quel livello d’istruzione – che in alcune scuole questa è prassi normale: bisognerebbe capire se ciò è una decisione che il legislatore ha contemplato, o lasciata alla buona volontà e alla disponibilità degli insegnanti.
Concordo sostanzialmente con la “distruzione” de sistema scolastico finalizzato a far sì che la società del futuro sia composta da meno individui consapevoli e critici possibile e quindi più manipolabili verso il più becero consumismo.
Tuttavia, dissento in pieno da molte delle soluzioni proposte. L’unica che forse mi vede d’accordo è una maggiore pressione selettiva nei confronti degli alunni ed una maggiore meritocrazia scolastica, pur non spinta ad eccessi, come avviene ad esempio nelle scuole steineriane od in alcuni istituti anglosassoni.
Colui che non s’impegna, va spunto a farlo, ma colui che soffre di oggettivi limiti (genetici od altri) non va comunque laciato “per strada”, ma va aiutato per quanto possibile.
Non entro nei tecnicismi riguardanti il sistema dei crediti o degli scrutini, in quano non li conosco, ma trovo assolutamente sbagliato l’eliminazione della lingua inglese nella scuola primaria e l’eliminazione del mezzo informatico, che null’altro è che uno strumento che in senso lato sostutisce il lapis e l’opera i consultazione.
Il vantaggio in termini di propensione a digerire materie complesse della crescita bilingue è indscusso. Naturalmente la gradualità è fondamentale. Non tutti i bambini saranno in grado di apprendere bene contemporaneamnte due lingue, ma coloro che lo sono, ne trarranno un enorme beneficio in termini di agilità ed apertura mentale. Con l’avanzare dell’età io penso che la quasi totalità degli alunni sia agevolmente in grado di dominare due lingue, alcuni anche di più ovviamente, e, come detto, i vantaggi che ne conseguono, sono enormi, soprattutto intermini di cultura generale e senso critico.
Concordo soprattutto per quanto riguarda la scuola primaria, di inframmezzare tempi dedicati alla socialità, allo sport e soprattutto al giuoco, a quello dedicato allo studio delle materie classiche. Non ne può che nascere un sano e robusto equilibrio psicofisico: mens sana in corpore sano, dicevano già gli antichi.
Dulcis in fundo non sono assolutamente d’accordo sulla specializzazione precoce. Le materie umanistiche sono di una tale vastità ed importanza, che io auspicherei una specie di liceo classico obbligatorio per tutti. E solo dopo i 18’anni si dovrebbe arrivare alla grande responsabilità della scelta di un indirizzo che porti verso una qualche forma di poduttività nel mondo del lavoro. Prima di quest’età la maggior parte degi alunni non sono neanche in grado di capire lontanamente quello ch vorranno fare da grandi (alcuni non lo sanno nanche a 40’anni). Obbligarli a scelgliere la loro futura professione a 14 o 15’anni rappresenta una violenza inaudita, di cui la nostra società del benessere economico non ha assolutamente bisogno. Essa può e deve permettersi il lusso di formare persone critiche e di elevata cultura classica, prima ancora che specialisti nell’uno o nell’altro tecnicismo.
Una volta superato con profitto il liceo classico, si dovrebbe avere accesso a qualsivoglia facoltà universitaria, che fornirà poi la necessaria formazione professionale. Il numero chiuso lo vedrei solo per coloro che non superano con profitto il pur obbligatorio percorso di studi classico.
Salve Mikhail; ti rispondo per punti, credo che sia più comodo per entrambi: sia per chiarire che per rimarcare differenze.
HAI SCRITTO: “Colui che non s’impegna, va spunto a farlo, ma colui che soffre di oggettivi limiti (genetici od altri) non va comunque laciato “per strada”, ma va aiutato per quanto possibile.”
Mai pensato il contrario, ma con dei distinguo: se un alunno si rifiuta di impegnarsi, malgrado le “spinte”, che si fa? Ho visto troppi colleghi colpevolizzati, quando il motivo per continuare a tenere un alunno in un determinato Istituto (o promuoverlo malgrado tutto) era solo attirare iscrizioni, per aumentare – come ho spiegato nel mio intervento – i finanziamenti e le paghe dei Dirigenti. Purtroppo è questa la linea che è passata; colpa anche nostra, naturalmente, non solo dello Stato.
E verso chi “soffre di oggettivi limiti” (ma non parliamo di handicap, dato che in questo caso ci sono percorsi differenziati, per tutelarli e dar loro almeno un minimo di formazione), gli insegnanti hanno l’obbligo di mantenerli in un Istituto nel quale non sono palesemente all’altezza? Non si falsa così la scala dei valori, prima di tutto nell’alunno stesso: illudendolo di saper fare una cosa, mentre in realtà è il contrario? Anche per questi comportamenti vale – presso gli insegnanti e soprattutto i Dirigenti – ciò che ho scritto appena sopra.
HAI SCRITTO: “…trovo assolutamente sbagliato l’eliminazione della lingua inglese nella scuola primaria e l’eliminazione del mezzo informatico, che null’altro è che uno strumento che in senso lato sostutisce il lapis e l’opera i consultazione.”
Sulla prima parte, non ho molto da replicare: siamo semplicemente su posizioni opposte. Anche sulla seconda resto della mia idea; è chiaro però che l’uso del computer non è dannoso in sé e per sé: un bambino che sia inserito in un ambiente equilibrato – a cominciare dalla famiglia – non corre gravi rischi. Purtroppo in Italia non è così – a cominciare dalla famiglia – e quindi a tamponare dovrebbero pensarci le strutture esterne. Il PC, a causa dell’acriticità che induce in chi lo usa malamente, dovrebbe essere uno strumento il cui uso sarebbe bene fosse molto graduale, in tenera età.
HAI SCRITTO: “…non sono assolutamente d’accordo sulla specializzazione precoce.”
In realtà non ho mai pensato che questa sia LA soluzione: è una delle tante possibilità per indirizzare la carriera scolastica di un ragazzo. Come tutte le cose ha i suoi pro e i suoi contro: per esempio pare che in Germania funzioni benissimo; il che può fare anche supporre che il meccanismo funzioni perché in sintonia col carattere di quel popolo, che è diverso dal nostro.
Una volta, alle Medie Inferiori, dopo l’esame di III veniva dato un “consiglio” (mondo del lavoro, qualsiasi Istituto, e così via): andrebbe bene anche questo sistema se, al livello superiore, gli Istituti applicassero davvero un criterio meritocratico – cosa che, come ho appunto spiegato nell’intervento, è impedita nei fatti – il problema sarebbe risolto; o almeno di molto ridimensionato.
E INFINE: “Una volta superato con profitto il liceo classico, si dovrebbe avere accesso a qualsivoglia facoltà universitaria, che fornirà poi la necessaria formazione professionale. Il numero chiuso lo vedrei solo per coloro che non superano con profitto il pur obbligatorio percorso di studi classico.”
Forse ho capito male, ma se il percorso di studi classico è “pur obbligatorio”, o lo si supera e si va all’Università, o non lo si supera e ci si ferma lì; magari si ritenta, cambiando tipologia di Istituto.
Detto questo, una volta era così: solo il Classico dava accesso a tutte le Facoltà; e in nessuna di esse c’era il numero chiuso. Ora, con gli Istituti che si fanno concorrenza come fossero bar, e che cercano di attirare “clienti” – cioè iscritti, cioè soldi – promettendo che con quel diploma i ragazzi potranno poi iscriversi dovunque, le Università hanno dovuto correre ai ripari: finché non si tornerà alla possibilità di iscriversi solo alle Facoltà di indirizzo, o non si farà selezione seriamente (per esempio validando la possibilità di iscriversi a seconda del voto d’uscita), il numero chiuso è secondo me solo un caso di legittima difesa.