Molte cose stanno cambiando. Alcuni cambiamenti sono leggeri, superficiali: piccole e impercettibili scosse di assestamento. Altri, invece, sono dei veri e propri movimenti tellurici. Improvvisi, profondi. Come qualche lettore mi ha privatamente ricordato (tirandomi anche un po’ le orecchie, per la verità…!), il piccolo e-book che vorrei fare uscire fra poco ha, tra le altre finalità, quella di narrare l’esperienza del cambiamento in termini prevalentemente soggettivi. Cioè: ragioni ed emozioni di un processo individuale, come intitolai l’intervento che feci, qualche settimana fa, all’Ufficio di Scollocamento. Due ore e mezzo che… volarono. Ci ha interrotto Chiara, la simpaticissima cuoca, più o meno col classico mestolo sbattuto nella pentola. 😉 Perché il pranzo era pronto. E si stava freddando. Sennò, avremmo continuato a oltranza. Domande. Risposte. Curiosità. Speculazioni. La parola d’ordine era una soltanto: condividere.
Vedilo come un film, se vuoi. E, se è un film, puoi raccontarlo da regista, da sceneggiatore o da attore protagonista. LLHT ha finora veicolato prevalentemente i primi due. Presto, usciranno anche le impressioni soggettive, le cronache quotidiane. Sono altrettanto necessarie. Anche perché, fornendo i dettagli, completano il quadro. Lo rendono tangibile.
Le discipline sociali e la valutazione economica, il loro influsso su un processo cognitivo consapevole e tecnicamente rivoluzionario… certo, sono fondamentali. Ma il processo è sempre, prima di tutto, in interiore homine: le vere rivoluzioni, perché siano credibili, partono da dentro. I cambiamenti che ci procura esclusivamente il contesto sono inevitabilmente posticci, in quanto… indotti. Mai del tutto nostri. Certo: noi possiamo e dobbiamo reagirvi, ricorrendo alle nostri doti migliori, ai nostri ammortizzatori psichici, alla resilienza. Ma quello che parte da dentro è diverso. Si chiama consapevolezza. Ed è molto pericoloso. Non per sé. Per gli altri.
Parti con un’idea. La sviluppi. Poi, la scintilla del coraggio. O della spregiudicatezza. O dell’incoscienza. Chiamala come vuoi, non importa il nome. Resta il fatto che, qualunque cosa sia, prende avvio il distacco dallo schema precedente. Il senso della responsabilità, prima di tutto. Prima era atrofizzato, rintanato in un angolino della mente, quasi archetipico. Perché in fondo, in un modo o nell’altro, al 27 del mese ci saresti comunque arrivato. Ci saresti voluto arrivare. E ti saresti così potuto permettere di soddisfare quelle due o tre vogline passeggere, come il nuovo paio di scarpe. Quelle a cui non si rinuncia mai. Perché questa società ci ha insegnato a non rinunciarvi. In quanto, rinunciandovi, diventeresti un perdente. WOW!
E allora, proprio mentre io adesso sto scrivendo questo post, prima di andare a nuotare e – nel pomeriggio – andare ad accordarmi per un nuovo progetto che sta partendo, qualche vincente, nel suo ufficio, sta magari assecondando le deliranti richieste del proprio responsabile, le quali gli consentiranno – in base a questo perverso meccanismo – di sentirsi ancor più vincente perché… per sbrigare quell’incarico (fondamentale per le sorti dell’umanità, ne sono certo) è stato scelto proprio lui e non il suo collega di scrivania.
Prima cosa: cambiano le abitudini. Seconda cosa: quelle che credevi giusto definire rinunce, ora le chiami più propriamente… focalizzazioni. Così, non rinunci a un paio di scarpe nuove: ti focalizzi su quelle che già hai. Non rinunci alla televisione: ti focalizzi sul tuo non averne mai avuto alcun bisogno. Non rinunci a un reddito fisso: ti focalizzi sulla (più modesta) monetizzazione delle tue passioni. Non rinunci a un’amicizia: ti focalizzi su quelle che restano e quelle che arriveranno. E, così facendo, ti alleggerisci. Togli la zavorra superflua, le distrazioni inutili. E resta la parte più vera di te. Quella che in pochi conoscono.
Mentre sto scrivendo, un amico che sta da tempo camminando sulla fune si confida via sms con me, chiedendomi come ci si accorge di quando è giunto il momento di… mollare la presa. Quando è che, goccia dopo goccia, il lavandino è ormai pieno. Qual è il segnale? Quello definitivo, vuole sapere: quello che non puoi ulteriormente ignorare…
Gli rispondo che non c’è un segnale. Che il momento non lo scegli tu. E’ lui che… sceglie te. Tu scegli al massimo le microdinamiche. Decidi se assecondarlo gradualmente o se saltarci sopra, spronandolo all’impazzata verso il nuovo orizzonte che hai scelto. Il grosso del lavoro lo fai prima. E, in parte, dopo. Mai nel “durante”. I gradi di libertà di quel momento sono pochi, molti meno di quanti si potrebbe credere. Subito dopo, però, quei gradi di libertà schizzano alle stelle! Ed è qui che capisci di quale pasta sei fatto. Di che materiale sono fatte le tue ossa. E le sensazioni non posso raccontarle… non esistono le parole. E’ una cosa che ha a che fare con la relatività, credo. Con la percezione del tempo che trascorre, cioè.
Un paio di weekend fa, mi trovavo a un convegno speciale. Vedo e parlo con decine di persone, compreso qualche personaggio di… rilievo, diciamo. Al mio tavolo, a un certo punto, noto come un paio di persone si stiano perdendo nelle mie parole. Sguardo lontano. Sognante, mi pare. Rifletto: un anno prima quella scena non avrebbe potuto avere luogo. Perché io non ero quella persona che stava parlando, un anno prima! Non ero la persona che, armata delle sue conoscenze, delle sue motivazioni, della sua carica espressiva, stava… trasmettendo a dei perfetti sconosciuti.
Dobbiamo vergognarcene? Sì, un po’ sì. Ma non per quello che siamo adesso: per quello che non siamo mai stati… prima! Vittime ignare (ma imperdonabilmente colluse) di un meccanismo sociale scientificamente concepito per farti credere di non valere nulla. Salvo poi scoprire invece in qualche pubblicità che… TU VALI. E’ tutto così ben congegnato e oliato! Tu non devi preoccuparti di nulla. Perché, tanto, qualcuno che pensa al posto tuo lo si trova sempre. Qualcuno che, mentre cammini sulla fune, mette una rete sotto di te. Nel bene e nel male. L’importante è che tu stia zitto. Che cammini lentamente e guardi avanti. A tutto il resto pensiamo noi: tu pensa solo a non fare l’onda…
No, non servono i famigerati talenti, quelli che ti insegnano a riconoscere e valorizzare durante i corsi di empowerment. No. Perché sono le persone, da sole, a selezionare e ad abbracciare le proprie responsabilità. La motivazione non può essere indotta dall’esterno molto a lungo. Né mediante improbabili coach, né “comprandola” mediante il miglior sistema incentivante. La motivazione nasce dentro. E parte dai valori. Ma non mi riferisco ai valori stabiliti per te a tavolino da qualcun altro o dalle convenzioni sociali, no. Mi riferisco a quelli che riescono a fare di te ciò che veramente ti serve, la donna o l’uomo che veramente vuoi e devi essere. Per te e per chi condivide la tua strada.
La vita non è mai riempire una casella. O prendere il famoso cioccolatino dalla scatola. O compilare un questionario di valutazione. O, peggio, lasciare che sia qualcun altro a compilarlo per te al posto tuo. La vita non è nulla, se non abbiamo il TEMPO per farla nostra.
E allora, quella casella dobbiamo disegnarla noi, ancor prima di riempirla! E sarà di una dimensione adeguata alle nostre forze. Di una difficoltà adeguata alla nostra tenacia. Di una rigidità adeguata alla nostra flessibilità. Le regole possiamo e dobbiamo deciderle noi. Sennò sarebbe meglio, paradossalmente, non essere nemmeno mai nati.
Molte cose le perderai per strada, ovvio. Perché, quando le avevi raccolte, non avevi evidentemente ancora un’idea chiara delle tue forze, della tua tenacia, della tua flessibilità. A quei tempi, queste doti erano illusoriamente certificate da un sistema di (dis)valori che altri decidevano al posto tuo. I progettisti della tua vita sono sempre stati altri. Si chiamavano scuola, mondo del lavoro, politica, Stato… Quando invece ti rendi conto che sei perfettamente in grado di sopperire autonomamente a queste subdole sovrastrutture sociali, ti sbarazzi di tutte le cose che da esse inevitabilmente dipendevano. E che ti davano dipendenza. Ti… focalizzi, appunto. E ci sei tu.
Recentemente, mi sono sentito dire:
Cavolo, dev’essere stupendo svegliarsi ogni mattina alle dieci e cazzeggiare tutto il giorno…!
Bè, a questa persona consiglio innanzitutto di… tenersi ben stretto il suo posto di lavoro! Perché, evidentemente, non le è ancora del tutto chiaro il senso complessivo. La vera vittoria non è emanciparsi dalla… sveglia. Perché dormire è buttare via il proprio tempo… cioè la ricchezza più importante di cui possiamo oggi disporre (se sappiamo come impiegarlo)! La vera vittoria è sconfiggere l’incertezza, che è la vera e segreta alleata del Potere. Ed è scoprire che la ridefinizione delle tue priorità (che prima avevi solo potuto intuire) corrisponde esattamente a ciò di cui hai bisogno! Ed è imparare a farsi le proprie regole. A seguirle. E’ sentirsi più forti del destino. E’… esserlo, più forti.
Proprio oggi doveva attirare la mia attenzione il tuo articolo..mentre guardo il lavandino della sopportazione che sta per traboccare ma provo solo irritazione e non riesco a focalizzarmi su nulla di progettuale per svoltare. Almeno so che si può fare..sconfiggendo l’incertezza..
Ciao. Scusa il ritardo nella risposta alla tua considerazione. Che ho apprezzato moltissimo, perché certifica – se non altro al mio inconscio – che LLHT (anche se non ho più molte energie per manutenerlo) è ancora vivo in molti di noi.
Lo dico intanto a te: LLHT non si è spento. Ha preso un lungo, provvidenziale, periodo di introspezione.
Presto tutto ricomincerà. Più alto e più forte di prima. Ciao e buona fortuna per i tuoi progetti.
Andrea
“La vera vittoria è sconfiggere l’incertezza”. Bè io adesso sono sicura, muoio di paura ma ormai ho deciso e sono felicissima, piena di idee e progetti, rami da tagliare ed entusiasmo da vendere. Alla mia età non è facile ma il momento è adesso e sono certa che andrà bene. Il momento più difficile è stato capire di doverlo fare da sola ed è proprio questo che mi terrorizza … ma tant’è: l’alternativa era sopravvivere senz’aria. Sarà bellissimo!!!
“La vera vittoria è sconfiggere l’incertezza, che è la vera e segreta alleata del Potere.”
Questo corrisponde al mio stato da superare… 😐
Bel post, ispirato come tutto il blog. 😉
Grazie Germano. Pensa che su quella stessa frase c’è stato uno scambio anche su Facebook con un altro amico (Gabriele), che l’aveva particolarmente apprezzata. Ciao
complimenti
Grazie Simone, ciao.
http://zenpencils.com/comic/128-bill-watterson-a-cartoonists-advice/
Grazie Marco, conosco bene altri fumetti di Watterson (Calvin & Hobbes su tutti), ma non questo. E’ bellissimo, davvero. Mi ha commosso, non te lo nascondo. Grazie ancora!
Uno dei post più belli e rappresentativi del sito. Motivazionale vero, di sangue e non di plastica
Bé, dai… qualche piastrina e un paio di globuli rossi sono rintracciabili anche in qualche altro post! 😉
Comunque scherzo: ho capito benissimo cos’hai voluto dire. Grazie, anzi! Ciao
Mai detto che gli altri fossero finti. Semmai questo è più viscerale e soprattutto concentrato. Ciao 🙂
Ciao Andrea, molto bello questo pezzo. Mi ha colpito particolarmente perché sono due mesi che ho sterzato pesantemente nella mia vita e inizio a sentire tutta la fatica di focalizzarmi e muovermi nell’incertezza.
Non so se può aiutarti, ma uno dei rimedi che ho adottato io per evitare gli strali dell’incertezza è stato quello di dedicarmi per il maggior tempo possibile ad attività in cui sapevo di… cavarmela piuttosto bene. Ad esempio, il nuoto. O lo stesso LLHT. Una forma di… vitamina C (come “convinzione”). 🙂
Un’altra cosa, antitetica ma con identiche finalità, è stata quella di sperimentarmi intenzionalmente in attività in cui pensavo invece di essere una frana. Scoprendo, invece, che me la cavavo comunque piuttosto bene.
Sono due esercizi di resilienza, diciamo, che su di me hanno dato buoni risultati. Ciao.
Bellissimo articolo, mi hai fatto venire la pelle d’oca. Ben vengano dei “momenti di pausa” se servono per creare questi pezzi! Non aggiungo altro a parte un grandissimo: GRAZIE!
Grazie a te delle belle parole. Anzi: grazie alla tua… pelle (d’oca). Ciao.
PS
Approfitto della tua “pelle d’oca”, per mandare un ringraziamento anche a quelle persone (che so esistere, in quanto… conosco di persona) che hanno apprezzato questo pezzo, ma che – per motivi che conosciamo purtroppo benissimo – non possono per ora esprimere pubblicamente il loro gradimento.
Sto cominciando a disfarmi di un bel po’ di cose. Lentamente, sia perché questo modo di fare va contro quello che potrei chiamare “lo spirito della famiglia”, cioè l’abitudine a non buttar via niente; sia perché un Capricorno, quando decide una cosa poi va via come un treno: ma prima di decidere si prende il suo tempo: di solito biblico…
Ma ho cominciato a disfarmi di un bel po’ di cose. Fra un po’ sarò più leggero…
Essendo nato il 12 Gennaio, ne so qualcosa dei processi decisionali del Capricorno… 😉 Non propriamente rapidi, quasi mai indolori; ma, alla fine, non si può certo dire di aver trascurato qualcosa!
Ad ogni modo, per qualunque segno zodiacale, credo che ogni tanto “mettere via qualcosa” sia assai utile.
Ciao
…sbam…caduta dalla sedia.
la e-mail che mi indicava il tuo post mi è arrivata con ‘sospetto’ tempismo….a conferma che stavo facendo la cosa giusta! Grazie per le parole qui sopra, mi hanno dato una sorta di ‘conferma’, semmai ne avessi avuto bisogno. Sono state un po’ come il punto nave quando il vento se ne va e tu hai bisogno di capire dove sei. Grazie!
E… se non sono troppo indiscreto, qual era la cosa che stavi facendo e che questo post ti ha fatto ritenere giusta? (Se si può dire in pubblico…) 🙂