L’orto è vivo

L’orto è morto. L’ho sentito dire quando, dopo lo splendore estivo, tutte le piante arrivano a dare tutto ciò che possono e poi vengono tolte, sradicate, separate.

L’orto sembra morto davvero. C’è il deserto lì dove c’era una selva lussureggiante di pomodori, fagioli e fagiolini, zucchine rigogliose e invadenti, Bellissime.

D’improvviso non c’è più niente. Si vanga e si rivanga la terra. Si dice che va arricchita perché si è impoverita. Forse pensando che le piante la depredino lasciandola esausta e senza vita. E così ci si fa entrare aria, il ferro freddo degli attrezzi, i prodotti per rivitalizzarla.
Si va ad invadere un universo perfetto, completo, autosufficiente, autoregolato. E la si spoglia. La si lascia nuda, indifesa. La si rimpinza di cose perché sia meglio nutrita. La si cura. Eppure non è malata. Non lo è mai stata.

Facciamo alla terra quello che facciamo a noi: la iperalimentiamo di cose inutili o dannose. La curiamo con medicine che non curano ma, al contrario, creano le malattie che poi cureremo con altre medicine in una spirale contorta e pericolosa. Pensiamo che le piante facciano quello che facciamo noi: accaparrarsi più del necessario, sfruttare, impoverire, lasciare distruzione.

L’orto sinergico, invece, è vivo. E’ lì a decidere quasi tutto da solo.

I pomodori se ne stanno andando. Non tutti. Alcuni sono ancora pieni di frutti. Ci ho messo vicino le piantine di cavolo. Sto giocando a nascondino con la cavolaia. Vicino ai pomodori il cavolo è protetto. Per il momento. I cavoli esposti, non consociati al pomodoro che ha già deciso di tornare terra, sono stati già scelti dalla cavolaia come nido. Deposte le uova, mangiate le foglie dai bruchi.

Erano molto esposti, però. Negli altri bancali sono circondati dalle erbe spontanee, attorniati dai pomodori che strisciano intorno, tra le piante altissime dei fagiolini che fanno un po’ d’ombra. La cavolaia non li ha ancora trovati e sto aspettando per vedere che succede.

A cinque piante di cavolo ho messo del tessuto non tessuto sopra. La cavolaia ha trovato la sua strada comunque e ne ho sorpresa una lì sotto che, in tutta tranquillità deponeva le sue uova. Solo una però.

Ci sono i finocchi appena nati all’ombra dei fagioli rigogliosissimi dell’estate. E vicino i peperoni che continuano a nascere. I cetrioli sembravano finiti ma ne trovo ogni volta, a sorpresa, degli altri. Alcuni fagiolini, hanno deciso di smettere, altri no. Tutto sullo stesso bancale.

Ai lati ci sono insalate a tutti gli stadi: appena nate, medie e spigate. Le ho lasciate perché non sono riuscita a mangiarle tutte. Ho raccolto le cipolle e le ho sostituite con I porri.
In un altro bancale le melanzane hanno avuto piante rigogliose ma neppure un frutto per tutta l’estate. Adesso ci hanno ripensato e le lascio fare. Dappertutto la bieta non ha smesso di fare foglie che abbiamo mangiato per tutta l’estate. L’ho sistemata più o meno sulle creste e a zig zag. Ho raccolto solo le foglie esterne e man mano è ricresciuta: bellissima, fresca, carnosa, generosa.

L’orto sinergico non muore mai. Si trasforma in infinite vite. E’ sempre in movimento sotto l’apparente caos. Ogni giorno è diverso. E’ in cambiamento.

Facciamo all’orto quello che facciamo a noi. L’orto è quello che siamo noi. Quell’orto sono io. Lo vedo com’è aperto, proprio lì, all’inizio, tra lo splendore dei tagetes e delle aromatiche. Lo vedo quel mio dolore soffocante di quel giorno, mescolato alla terra, impastato con le mani e sepolto con i semi di amaranto. Le vedo le emozioni che ho provato quella volta che laggiù seminavo e coprivo e osservavo. Hanno forma di vita adesso.

C’è tutto: gioia, emozione, dolore, pensieri, paure, voglia di finire, di ricominciare, amore, morte, rinascita, vita.

Tra i frutti migliori che ho raccolto ci sono quelli che non si possono mangiare. Tra i semi che ha fecondato la mia terra ci sono quelli che si possono solo immaginare. Tra i semi che non mi ha restituito la mia terra c’era quello che volevo dimenticare.

Nell’orto sinergico semini ogni tuo pensiero. E insieme ai frutti raccogli te stesso.

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7 risposte a “L’orto è vivo

  1. Grazie Marica, i tuoi articoli sono sempre interessanti e con profonde riflessioni che gentilmente condividi con noi. Anche io sperimento nel mio piccolo orto e mi interessano molto le tue indicazioni così gentili con la terra..

  2. Vero, e profondamente poetico.
    è quello che facciamo a noi stessi con le medicine, con il cibo (troppo, confezionato perché è più veloce e poi arricchito di vitamine e minerali sintetici, perché c’è chi è convinto che frutta e verdura oramai non ne contengano più a sufficienza…), con il lavoro (bè, io disoccupata da oltre un anno e mezzo qui vado sul versante opposto…) e ahimè soprattutto con le relazioni. Allontaniamo magari chi ci vuole bene, le persone verso cui sentiamo simpatia-feeleeng, per paura, paura di cosa poi… e magari frequentiamo altri con cui nulla abbiamo da dire, colleghi di lavoro che se non ci lavorassimo insieme forse nemmeno saluteremmo per strada.
    Bel pezzo Marica, profondo e sentito, grazie.

    • Riflettevo su quello che dici, Cristina. E, in effetti, l’orto è anche una risorsa sociale. Almeno per chi vive l’orto (come me) insieme a tanti altri che prendono in affitto la terra per coltivarla. Noi siamo un centinaio. Tutti insieme! E questo ti avvicina neessariamente ai tuoi vicini, ti fa scoprire che donare qualcosa che hai è bellissmo e ti tornerà indietro in qualche altra forma.
      Avevo bisogno d’aiuto per montare un rubinetto: non ho avuto neanche bisogno di chiedere perché qualcuno mi osservava e si è offerto di aiutarmi. Ho offerto delle semplici foglie di amaranto perché volevo condividere questa pianta che non ha nessuno e che è meravigliosa: mi sono tornate indietro insalate, melanzane e altri ortaggi. Basta arrivare e sorridere a qualcuno che passa che quello si ferma a parlare con te e ti racconta cose di cui non parlava da anni con nessuno.
      Sabato scorso ho portato un amico che è rimasto per un po’ nell’orto e poi ha fatto un giro sotto le querce. L’ho trovato insieme a uno sconosciuto che parlavano di poesia. Anche lui era senza parole:quell’uomo gli si era avvicinato e aveva cominciato a parlare. Così, naturalmente..
      E questo succede spesso. E’ un posto un po’ magico forse perché, molto semplicemente, più ci avviciniamo alla terra, più ci avviciniamo a noi stessi. A quello che davvero siamo.

      Ed è una riscoperta bellissima e necessaria.

  3. e’ proprio come dici tu….e questa energia che si trasforma la vivo con la mia pasta madre che ha felicemente festeggiato due anni passando momenti di intensa attività a momenti di quasi ‘morte’…ma anche lei muore difficilmente 😉
    da qualche giorno ha riaperto la premiata forneria MrsM!!!
    ora sul fuoco sobbolle la pappa di pomodoro col pane avanzato!
    Grande Marica….spero di avere presto un allotment!!

    • Sì, la pasta madre è un’esperienza simile. Non solo pasta ma cura, amore, osservazione di quello che la natura fa e di come lo fa. Anche quella (incredibile per noi che pensiamo che per far nascere qualunque cosa ci voglia il denaro) si fa dal niente o quasi. Si fa praticamente da sé. E’ una specie di miracolo. Un po’ la sensazione che ho quando vedo il mio cibo nascere dalla terra, crescere e offrirsi così.

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