MANGIALO, SE CI RIESCI!
Questo articolo, ideato e realizzato per la prima volta a quattro mani con la redazione del quotidiano online “il Cambiamento”, intende ridicolizzare la folle rincorsa all’iPhone6, proprio nel giorno del suo lancio sul mercato italiano. E propone una campagna “militante” semplicissima: non comprarlo!
I HAVE an iPhone or I AM an iPhone? Perdonate l’inglesismo, ma, come ben si sa, rende per l’efficacia della sintesi. E in questo caso la domanda non è pellegrina. Sei un iPhone o hai un iPhone? O forse, ed è qui la genialata, non c’è più differenza! Allora, dai, svegliamo qualche punto di vista addormentato… lo vogliamo svegliare con la nostra campagna che oggi prende ufficialmente il via: “Smart-phone o smart-life? Mangialo se ci riesci!”. Così, giusto per accogliere a modo nostro il fiammante iPhone6.
Chi di inglesismo ferisce, di inglesismo perisce? Noi corriamo il rischio, anche perché iPhone non è nemmeno più un termine inglese, è uno “status della mente”. Oggi arriva anche in Italia il “per sei volte nuovo” iPhone della Apple: cool, giovane, easy, sexy, cult e chi più ne ha più ne metta. Già, perché il marketing del compianto Steve Jobs e delle leve che ha “coltivato” ha puntato su tutto ciò nel momento più favorevole per farlo, un momento in cui il pensiero critico non esiste e il pensiero normale si riduce a uno spot, a un sms, a un post, a un device, ma che sia firmato e non da sfigati, per distinguersi (?!) in un seppur nulla assoluto. L’atto del consumo in sé è cool, ma lo è ancor di più se l’oggetto del consumo rappresenta uno status che si trasferisce a chi quell’oggetto lo possiede.
Allora, nel giorno del sesto exploit annuale consecutivo della Apple, LLHT e il Cambiamento lanciano congiuntamente l’esortazione “smart-Phone o smart-Life? Mangialo, se ci riesci!”. Cosa dice e intende, questa campagna? Invita tutti quelli che leggeranno queste righe a NON ACQUISTARE l’iPhone6. Se vi viene il prurito alle mani o al portafoglio, significa che vivete già la frenesia. Ma questa critica non vuole limitarsi all’iPhone della Apple, ci mancherebbe! No, vogliamo dargli una prospettiva più ampia: pensiamo sia assurdo e ridicolo idolatrare oggetti di consumo, farsi accecare da essi riconoscendo loro un contenuto di “verità” che non hanno affatto.
E alla campagna uniamo l’intervento di Paolo Ermani:
Chissà quali fini distinguo o quali disquisizioni faranno tutti coloro che dicono che siamo al collasso economico nel vedere file di persone non ad assaltare i forni per il pane ma i negozi della Apple per comprare un cellulare da oltre 700 euro, simile a quello che hanno già in tasca. Voglio proprio vedere cosa ci si inventerà per dire ancora che siamo senza un euro e poi gli euro li spendiamo tranquillamente per una cosa che non è né indispensabile, né utile alla nostra sopravvivenza, cui occorrerebbe pensare se fossimo allo stremo. Chissà quali scuse, e quanto banali, accamperanno i milioni di persone che sostengono di subire la crisi economica ma che allo stesso tempo non possono certo (!) privarsi di un attrezzo tanto indispensabile. Il ragionamento è: se ce l’hanno gli altri, lo devo avere assolutamente anche io, altrimenti mi sento povero. E poi come faccio a impressionare gli amici, la fidanzata, il fidanzato se non mi posso nemmeno permettere di avere l’oggetto del desiderio di tutti! Non posso mica fare la figura di quello che rimane indietro, dello sprovveduto.
Abbiamo già affrontato la questione in un altro articolo ma qui ci vogliamo soffermare su un altro aspetto e cioè quanto la nostra vita ormai stia diventando sempre meno smart, visto che stiamo delegando tutto ciò che questo termine significa ad accessori che sono diventati nostre protesi. Sembrerebbe che la nostra intelligenza sia inversamente proporzionale a quella del nostro cellulare: più aumenta la sua, più diminuisce la nostra. La dipendenza dal cellulare o comunque da questi aggeggi elettronici è diventata ormai drammatica. Senza di loro si è velocemente nel panico, al confronto la coperta di Linus è uno scherzetto; forse lui la abbandonava quando andava a dormire, il nostro cellulare è inseparabilmente vicino a noi anche la notte. Da test scientifici è emerso che persone private del loro “cordone ombelicale elettronico” si sono sentite morire dopo un paio di giorni, erano perdute, non più in grado di andare avanti. Si sono registrati effetti simili a quelli di un’astinenza da droga pesante. Ci si chiede cosa farebbero queste persone se avessero problemi seri, visto che vanno letteralmente in tilt solo perché non hanno più con loro la protesi. Tutto passa attraverso il cellulare: rapporti, sentimenti, lavoro, relazioni, tutto sta diventando virtuale e artificiale. La vita dentro una scatoletta piatta luminosa con un sacco di roba dentro. Una vera e propria idolatria verso oggetti di consumo di massa che sembrano farci avere il mondo in tasca. Ma il mondo è assai più complesso, vivo e pulsante di uno schermo tutto fare. Sembriamo letteralmente impazziti, ipnotizzati da questi giochetti elettronici. Abbiamo inserito chi li ha inventati fra i grandi della storia ma non credo che ci sia molto da gioire nel diffondere ovunque un attrezzo che costa soldi, energie, sudore, sofferenza, sangue e materie prime preziose in quantità rilevante. Se non ci fossero schiavi che lo producono, eserciti che proteggono e rubano le materie prime necessarie al suo funzionamento, costerebbe dieci volte di più e lo comprerebbero solo ricchi eccentrici. E cosa faranno le persone quando gli schiavi o le materie prime non saranno più disponibili così facilmente? Come faranno senza la loro droga smart?
Negli Stati Uniti ci sono segnali che ammoniscono di fare attenzione vicino alle strisce pedonali perché la gente viene falciata dalle auto mentre consulta il suo telefono. In Italia ormai le stesse scuole guida hanno un capitolo a parte per “guida con cellulare”. Autentici criminali che mettono in pericolo la propria e altrui vita perché guidano con il cellulare, rispondono, mandano sms consultano la posta che sarà cosa sicuramente più importante che investire il malcapitato o provocare drammi, per un maledetto sms…. E gli incidenti dovuti a questa prassi aumentano vertiginosamente. Addirittura si vedono persone in moto o motorini che guidano con una mano e con l’altra parlano al cellulare. E che dire della mania ridicola del cosiddetto selfie? Se non è follia tutto ciò non so cosa lo può essere? La pubblicità è così pervasiva e forte che ci fa sembrare assolutamente indispensabile comprare questi aggeggi come se fossero decisivi per la nostra vita. Presentazioni a livello mondiale come se stesse arrivando un nuovo messia sulla terra, code di fronte ai negozi, febbre che sale nell’attesa. Stiamo perdendo completamente il senso della misura, delle cose, della realtà. Ma quando la follia imperversa non si può fare altro che opporsi con una chiara presa di coscienza e con gesti concreti. Quindi non comprate l’IPhone 6 né i successivi cloni, a maggior ragione se date un minimo di senso ai vostri soldi. Il cellulare che avete in tasca e quelli che avete nei cassetti della vostra casa vanno già benissimo ora e vi dureranno per altri dieci o venti anni. Poi magari un giorno si ricomincerà a guardare le stelle, il mare, il cielo, il volto degli altri e si vedrà che c’è vita oltre lo schermo.
La stessa “I” di Iphone è il primo pronome personale. Dunque il nome significa “Io telefono (voce verbale, immagino). Ergo sum?
In vite dei filosofi di Diogene Laerzio, si narra di Socrate che trovandosi in giro per il mercato, guardando alcuni monili esposti, rispose: “Ma tu guarda di quante cose hanno bisogno gli ateniesi per vivere”.
E’ la stessa constatazione che faccio io quando vedo, sin dalla nottata, file interminabili di belanti umani davanti ai negozi concessionari della Apple, per l’acquisto dell’ultimo iphone.
In fondo non è colpa loro.
Fior di illustri pensatori hanno già dissertato sulla facile gestibilità delle masse, proprio in ragione dell’ineludibile circostanza che la maggioranza delle persone ragiona più emotivamente che razionalmente. Se a questo, poi, ci aggiungiamo che, in questi ultimi anni, le capacità critiche si sono ulteriormente assottigliate, per i persuasori occulti il gioco è fatto.
A dire il vero oggi, come ieri, la situazione non è cambiata. C’è chi prima descriveva questo fenomeno della rincorsa alla futilità come vanagloria (Ecclesiaste: “tutto è vanità”), io molto più modestamente concordo con le osservazioni di William M. Thackeray, ovverosia si tratta di snobistica stupidità.
Oggi l’iphone è ciò che ai tempi di Thackeray erano valletti in livrea e carrozze. Hai voglia a dire che “mi serve per lavorare”.
Paragone assai arguto, Giusavvo. Complimenti.
Caro Andrea, come proponesti, inoltrai la tua riflessione dal titolo “La crescita sta ritornando” al alcune centinaia di amici. Uno di questi, di rimando, mi ha mandato la tesi di sua figlia sulla decrescita felice. Te la inoltro perché tu possa dare una veloce scorsa. Grazie. p.s. Molto probabilmente la ragazza ed il padre sarebbero interessati al corso di novembre, ma mi mancano i dettagli. Puoi essere così gentile da rimandarmi il testo relativo al corso? Grazie. Domenico Dalba
Certo, Domenico. Al programma del corso puoi accedere cliccando sull’immagine con la rana che trovi in alto a destra della homepage di LLHT. Comunque, ti riporto qui i link utili:
1) POST DI PRESENTAZIONE DEL CORSO
2) PROGRAMMA
3) MODULO DI ISCRIZIONE
Ciao
E se invece l’acquirente medio dell IPhone o di tanta altra tecnologia cara e stilosa fosse di fascia media o medio-bassa ma rinunciasse all’essenziale per il superfluo, complice l’acquisto rateizzato?
Mi sembra che tu stia toccando proprio il cuore dell’articolo, Marco: chiunque può privarsi del pane per comprare un iPhone. Ma chiunque altro è poi altrettanto libero di ridicolizzarlo. Ciao.
Il mio fruttivendolo parlando della crisi: solo per tagliare i capelli il parrucchiere accanto a me prende 30 euro! Le signore, tutte pettinate bene e soddisfatte, dopo che hanno speso 70 euro da lui, mi dicono che l’uva a 2 euro al chilo è cara!!
Però ho notato che i media, il cellulare in particolare, sono utilissimi per coltivare amicizie, interessi, capacità, rapporti professionali. A patto che essi esistano e non ci si illuda di crearli da zero col semplice possesso dello strumento. E’ un po’ come se un pedone volesse convincere un automobilista che per andare da Padova a Vicenza quando il treno non c’è la macchina non serve perché la macchina non ti da motivi per andare da una città all’altra. Io trovo sbagliato questo ragionamento: gli strumenti servono, almeno a chi ha una vita anche offscreen
Ciò che questa campagna intende ridicolizzare e – nel suo piccolo – denunciare, Marco, non è l’utilizzo consapevole dei cellulari o degli smartphone, ma la loro trasformazione in un feticcio della modernità. Con tutte le nevrosi che questo comporta. Ciao.
Sono d’accordo con Flavio, purtroppo. E’ un po’ il problema che ci si può porre, davanti al fatto che con tutti i libri, i film, ecc. ecc. usciti per far prendere coscienza alla gente su determinati problemi (pensiamo ai diritti umani, tanto per pensare in grande), la gente la coscienza non la prende proprio.
Il fatto è che a leggerli, a vederli ci vanno perlopiù quelli che la coscienza se la sono già fatta… Poi sì, capita qualcuno che attraverso una certo libro magari si sveglia: ma è un po’ l’eccezione che conferma la regola. Anche se è vero che il mondo non funziona “democraticamente”, ma per massa critica: quindi – almeno in teoria – basta che a un gruppo si unisca un individuo e le cose iniziano a girare diversamente.
Certo, riflessioni come queste non sono mai una perdita di tempo; però mi piacerebbe si pubblicizzasse di più – per esempio – il fatto che i vari Jobs, Gates e tutte quelle persone che hanno un alto livello di potere nel mondo, mettono limiti rigidissimi ai loro figli riguardo all’uso di I-pod, Internet e cose del genere; e li mandano in scuole, nelle quali l’uso dei mezzi di comunicazione elettronica è ridotto al minimo. Chissà perché…
Ah, ti perdoniamo l’inglesismo, Andrea, malgrado gli orribili errori che hai fatto scrivendo quella frase…
Riporto la frase che – sono d’accordo con te – è piena di errori. Purtroppo.
Ciao.
Proprio ieri, cercando nell’ennesimo negozio un auricolare per il mio cellulare, mi sono sentita rispondere che il telefono è troppo vecchio e che di auricolari di quel tipo non ne troverò. Eppure il mio telefono ha solo cinque anni e funziona. Telefono e mando sms: proprio quello che mi serve. Collegarmi a internet sarebbe una cosa utile e quindi, quando si romperà questo ne comprerò uno con quella funzione. Punto. Nient’altro.
Ma in quel negozio, un po’ indispettita per la risposta, mi sono fermata a parlare con il commesso, un uomo sulla quarantina, che (incredibile perché quando parlo di queste cose mi guardano come fossi un’extraterrestre) mi ha dato ragione. Lui, che queste cose le vende, sembrava d’accordo sull’assurdità di certi meccanismi.
Riguardo agli spettacolari iphone so per certo che la maggior parte delle persone che ce l’hanno, ce l’hanno esattamente per ciò che scrive Paolo e non ne conoscono affatto tutte le funzioni e possibilità (che sono tantissime e inutili per la maggioranza).
L’iphone è uno status symbol così come la macchina. Non penso come dice adf che chi lo compra se lo possa permettere. Non è affatto così o almeno non sempre. Il punto è proprio questo: se non me lo posso permettere e neanche mi serve davvero, perché lo compro? il mio valore è legato agli oggetti che possiedo. Gli altri mi riconoscono, mi giudicano, mi valorizzano e (perfino, wow!) mi rispettano in base a ciò che possiedo e non in base a ciò che sono. Penserò anche io che valgo di più e mi sentirò più a mio agio con gli altri. Del resto la pubblicità passa esattamente questi messaggi.
La crisi, evidentemente c’è, ma esiste uno spaventoso paradosso. Tra le persone che vanno alla caritas per prendere i pacchi di viveri ci sono anche quelle con l’ultimo modello di telefonino o con decine di paia di scarpe nel loro armadio. E non lo dico per sentito dire.
Tra quelli con l’ultimo modello di telefonino ci sono anche quelli che accedono, per reddito basso, ai servizi essenziali del comune, ai buoni per i libri dei figli, e tutto il resto che è disponibile. E non lo dico per sentito dire.
Insomma, essere poveri va anche bene ma che sembri a tutti che non lo sono. Che si sappia che sono senza lavoro, sì (così posso anche avallare questa crisi) ma che questo poi abbia l’effetto di ridurre i miei consumi e di non poter mostrare ciò che possiedo, questo no.
C’è come uno scollamento, un qualcosa di stonato, di assurdo e paradossale in questo. E’ come voler rimanere attaccati a qualcosa che non esiste, se non nell’apparenza. Come se rifiutassimo di accettare e vivere la realtà. Come se rifiutassimo di pensare alle nostre reali priorità e fare scelte di conseguenza per vivere in un mondo fatto di apparenze di “secondarietà”, di inutilità.
Del resto, quello che vedo: al parco, alla fermata dell’autobus, nell”ufficio del municipio, i ragazzini tra di loro, è fatto di gente immersa nel suo mondo virtuale. Al parco la mamma che spinge il bambino con una mano all’altalena e la testa nel suo telefono mentre il bambino la chiama e lei non sente, la coppia vicina vicina ma lui immerso nel suo telefono e lei nel suo, la gente alla fermata immersa (9 su 10) nei loro social…
A guardare da fuori sembra una specie di anestesia programmata per tenerci buoni. O forse siamo noi che vogliamo continuare a dormire.
Esattamente Marica, proprio ciò che intendevo e pensavo.
Quando ancora lavoravo, per la folle cifra di 650 euro al mese, lavorava con me un ragazzo (ragazzo??? due anni in più di me, quindi 45 all’epoca), il tipico caso sociale che ha diritto a tutti gli aiuti. Di fatto il mio stesso lavoro e contratto esistevano grazie a lui, che il progetto veniva finanziato solo ed unicamente se almeno due persone come lui erano li. Uno dei grandi mali dell’italia (continuo a scriverlo minuscolo per scelta, sia chiaro), l’intento originario magari è buono, dare una seconda opportunità o aiutare chi più ha bisogno, ma di fatto si finisce col mettere in piedi situazioni assurde e creare nuovi favoritismi. Se non hai mai compiuto errori e non sei un caso sociale gli aiuti te li scordi e non solo. Ma aldilà di questo, il fanciullo, che percepiva il mio stesso stipendio, un giorno in pieno inverno al lavoro si lamentò del freddo e chiese di tenere sempre accesa la stufetta. In quel modo nel giro di poco non si respirava. Io e l’altra persona notammo che aveva solo una camicia e gli chiedemmo perché non si fosse messo un maglione… e qui… colpo di scena… immaginati proprio una scena da film, si gira, va all’attaccapanni, prende il giubbotto, se lo infila e dice: “ma fuori con questo non ho freddo”, costo del giubbotto di marca euro 3 mila…. che non ho idea di dove abbia preso…
Ora, una persona è libera di spendere come meglio crede i soldi che guadagna, un po’ meno libera, almeno secondo me, dopo di lamentarsi.
Come te pure io credo, e vedo ahimè, che in coda per l’i-phone non ci sono i ricchi, i dirigenti, no, e manco le persone che semplicemente lo usano, che possono tranquillamente aspettare un paio di settimane, no in coda ci saranno il mio ex-collega, ragazzini, persone che magari poi vanno a mercanteggiare sul prezzo del cibo o che faranno debiti per comprarsi quel telefono. E che poi chiederanno gli aiuti e li riceveranno e si lamenteranno pure che tra gli aiuti, ma pensa te, non è previsto un i-phone….
Ho lavorato per tre estati, anni fa, al desk per le richieste delle borse di studio universitarie, dei sussidi economici, quello che ho imparato è che chi veramente ha bisogno e diritto è sempre umile, discreto, quasi si vergogna, mentre poi c’è tutto un mondo di supposti bisognosi che però non rinunciano a nulla.
E intendiamoci, io pure ancora oggi mi permetto qualche piccolo lusso,
in un altro post tu hai scritto di fare da te il detersivo per la lavatrice, io no, lo compro, vagliando l’inci col biodizionario di Zago alla mano, cercando se magari è pure sfuso, ma lo compro. Come a volte mi concedo un avocado, lo guardo ben bene, mi chiedo quanto è sostenibile con tutti i km che fa, penso al fatto che magari vengono tolte le coltivazioni autoctone più diffuse per far spazio a queste che teoricamente rendono di più, al possibile sfruttamento, ma alla fine capita che comunque lo compro, pensando anche a volte che, e ma cribbio, ma il mondo lo devo proprio salvare io e tutto da sola?
Non sono perfetta, neanche aspiro a diventarlo, ma mi pongo domande, cerco pareri, rifletto, e cerco di mantenere una consapevolezza in ciò che faccio ed un filo di coerenza quantomeno con me stessa.
Quello che mi urta è quello scollamento che descrivi magistralmente nell’illustrare le file alla caritas.
Come mi urta chi senza lavoro trova insopportabile accettare un posto a 15 km di distanza…
Io il lavoro non l’ho “perso”, mi sono licenziata, fatto bene/fatto male, non me ne pento, ci stavo rimettendo la salute e il buon umore, sono molto più serena ora nonostante tutto. So, ho capito che l’intento con cui lo hai scritto era altro, però credo che si debba sapere che c’è un mare di gente senza lavoro, così come c’è tantissima gente che il lavoro ce l’ha ma non viene pagata da mesi.
Perché non è il lavoro che manca, di lavoro ce ne a bizzeffe, in quasi ogni settore si lavora sotto organico. Il problema grosso è proprio lo scollamento tra reale e apparenza-immaginario, e la frattura sociale, che non è solo ricchi-“poveri”, ma anche in una guerra sempre più profonda tra poveri
Ma questo è un altro discorso che devia ampiamente da i-phone e dintorni.
Premetto, ho un iPhone 4S acquistato nel 2011. O meglio, preso in bundle con un contratto telefonico e pagato in 30 mesi. I 30 mesi sono passati da un po’ e ho ancora il mio iPhone 4S. E non ho intenzione di cambiarlo finché non si romperà irrimediabilmente. Quando succederà probabilmente, se potrò, comprerò un nuovo iPhone (spero che in quel momento sia fuori il 10, o magari il 20S, tanto per dire che spero che il mio duri il più possibile…). Prenderò un iPhone perché questo genere di device ha delle caratteristiche che mi sono molto utili sia per il lavoro che per alcuni miei hobby. Queste caratteristiche le hanno anche altri telefoni non Apple. Ma la differenza di prezzo con i prodotti Apple (perdippiù comprati a rate) non è così rilevante da spingermi ad avventurarmi fuori da un ambiente con il quale convivo per motivi di lavoro da più di vent’anni. Se lo prenderò, lo prenderò ancora una volta in bundle con un contratto telefonico, sfruttando la number portability: non ho 7-900 euro da spendere tutte insieme per uno smartphone, e per esperienza posso affermare che prenderlo a rate alla fine costa meno che acquistarlo direttamente. Non mi metto in fila fuori dall’Apple Store il giorno dell’uscita di un nuovo smartphone, ma apprezzo i prodotti Apple. Non mi compro l’iPhone 6 perché quello che mi serve ce l’ho già nel mio iPhone 4S. E se domani mi si rompesse, prenderei piuttosto un iPhone 5 approfittando di un probabile abbassamento del costo. Insomma, chi ha in tasca un iPhone non è detto che ragioni come da articolo qui sopra (“Se ce l’hanno gli altri, lo devo avere assolutamente anche io, altrimenti mi sento povero. E poi come faccio a impressionare gli amici, la fidanzata, il fidanzato se non mi posso nemmeno permettere di avere l’oggetto del desiderio di tutti! Non posso mica fare la figura di quello che rimane indietro, dello sprovveduto.”).
Trovo l’articolo riportato piuttosto ‘ideologico’, e pertanto deprecabile. Non sono affatto convinto che smartphone e smartlife siano in antitesi. Ben venga la più feroce critica morale e sociale sulla comunicazione pubblicitaria e sui bisogni indotti, ma generalizzare affermando che in Italia ci sarebbero orde di cittadini che assaltano gli Apple Store come fossero forni, mi sembra poco veritiero. Ovviamente ci sono persone in fila anche qui da noi, ma forse ci sfuggono un po’ le dimensioni del fenomeno. Non ho numeri a confortare la mia opinione (e rischio che domani quei numeri mi smentiscano) ma dubito che dalla fila davanti agli Apple Store si possa misurare la reale portata della crisi economica in Italia. E d’altra parte le statistiche ci dicono che in Italia ci sono sempre più milionari (se ne è parlato spesso anche qui su LLHT). Facile intuire quale telefono possano avere in tasca. Poi ci sono gli altri, me compreso, che di solito acquistano le cose quando gli servono (e solo se possono), e cercando di spendere comunque il meno possibile. L’unica cosa macroscopica che a mio parere andrebbe invece stigmatizzata, è la cassa di risonanza che i media offrono ad eventi come questo (in genere, sì, riservata solo ad Apple e forse a pochi altri). Se anche Apple avesse una quota di mercato doppia rispetto a quella che ha oggi, mi chiedo perché mai un telegiornale italiano dovrebbe ‘strillare’ l’uscita di un nuovo modello di iPhone… per non parlare dell’Apple Watch…
Chi possiede un iPhone non va bruciato sul rogo.
Io stesso possiedo e uso uno smartphone. Lo ha vinto un anno fa mio padre in un contest. Poi me lo ha regalato, mettendomi di fronte a tre alternative:
• rivenderlo;
• bruciarlo nel corso di un rito satanico (o al raduno di Comunione e Liberazione), quale materializzazione tecnologica di Belzebù;
• usarlo.
Alla fine ho scelto la terza, per il semplice fatto che il mio vecchio cellulare tirava gli ultimi (e che non sono solito frequentare i raduni di CL). Nonostante ciò, mi sento abbastanza in pace con la mia coscienza. Sufficientemente, comunque, da aderire come LLHT alla campagna in oggetto.
Vengo al tuo commento, Adf. Che innanzitutto apprezzo sinceramente perché, finalmente, per la prima volta affibbia una bella stroncatura a un post di LLHT: l’aggettivo “deprecabile” (soprattutto se piantato lì da uno dei lettori della prima ora) è di quelli su cui non si può soprassedere.
Hai ragione: l’articolo può suonare ideologico. Ma sono più che mai convinto che, al punto a cui siamo arrivati, l’intransigenza delle idee (se giuste) sia ormai l’unica, possibile e legittima reazione alla… follia. Ovvio: non la follia di chi usa un iPhone per “prassi” (come tu dici di fare: abitudine, funzionalità, lavoro, hobby), ma di chi lo considera uno status-symbol (come si dice nell’articolo). Non è questo il tuo caso: lo dimostri chiaramente. Per questo motivo, l’articolo non è rivolto a quelli come te. Ma è rivolto, per esempio, all’amica di Cristina (leggi se vuoi il suo commento, al quale risponderò dopo), cioè a tutte quelle persone che parlano e si lamentano della Crisi, senza rispetto per chi – in crisi – rischia di andarci davvero.
E’ un tema che riguarda anche me e la mia coscienza, Adf. Io ho messo in piedi questo bel progettino LLHT, la gente viene, gira la voce, partono decine di altre iniziative: i workshop, le collaborazioni, ilCambiamento, il blog sul Fatto, il libro, le mille altre cose che posso finalmente fare, etc… La domanda su cui mi arrovello, che tu ci creda o no, è: emerge, la coerenza? (Grazie davvero per avermi tirato fuori queste considerazioni, Adf.)
E la risposta sai qual è?
E’ la risposta che io sto testimoniando con le mie scelte e con i rischi che mi sto assumendo: che cioè “vivere low”, puntando tutta la posta sulla propria responsabilità individuale e sociale, è l’unico modo per (a) denunciare credibilmente le follie a cui assistiamo ogni giorno e (b) per imboccare l’unica via d’uscita possibile, che è quella dal basso.
Dare il calcio a un buono stipendio, per investire tutto sulla propria intraprendenza, le proprie energie, la propria forza persuasiva, per un messaggio in cui credo fino all’ultimo elettrone del mio corpo, è la dimostrazione che io non devo giustificarmi di nulla. Che mi sento – perché lo sono – congruente al 101% con la forza del messaggio.
Mi dirai: ma cosa c’entra tutto questo con l’invettiva contro chi corre a comprare l’iPhone6?
C’entra. Perché non puoi essere credibile in questo mondo – non ai miei occhi almeno – se ti lamenti della Crisi non adottando un comportamento rispettoso verso gli altri e, simmetricamente, irrispettoso nei confronti di chi, invece, sulla Crisi ci campa. O, comunque, ci si riempie la bocca. E sono in tanti, lo sai anche tu: più di quanti possiamo lontanamente immaginare, se pensi per esempio che l’Italia è al secondo posto in Europa sia per numero di automobili ogni mille abitanti (606), che per numero di cellulari procapite (uno e mezzo). Dov’è la Crisi? Troppo banale dire che, di fronte a queste evidenze numeriche, la Crisi non c’è.
La Crisi, oggi, in Italia è nella frattura sociale che si sta pericolosamente aprendo (e che quelle code per l’iPhone contribuiscono a divaricare).
Non dirò che la Crisi non esiste, perché ho un’utilissima laurea in statistica e sono il primo a sapere che non si può più parlare di medie, oramai. E’ vero: la ricchezza procapite è medimente più alta che in Germania, qui. Ma valgono allora, più che le medie, le distribuzioni, gli scarti quadratici medi. Quelli che non tradiscono. Il problema è l’iniquità. Non lo dico io. Lo dicono titani della contemporaneità come Chomsky, Bauman, Stiglitz, lo stesso Papa Francesco! Ci ho scritto il mio primo articolo sul Fatto Quotidiano: iniquità tra chi comincia a non poter più accedere ai servizi primari e chi, invece, si riempie la bocca con la parola Crisi, spostando magari i suoi dossier titoli in Svizzera, per metterli al sicuro.
Per questo, le persone che oggi si fanno sedurre dall’acquisto di quello stupido aggeggio (occhio: non ho detto “quelli che lo comprano”, ma “quelli che si fanno sedurre”) sono a mio modesto avviso i veri terroristi.
L’articolo punta il dito contro di loro. Contro gli illusionisti della Crisi. Contro quelli che la Crisi non sanno neanche cosa sia, ma ne parlano perché lamentarsi “fa figo”. Quelli, ad esempio, che non vedono l’ora di poter esibire il loro iPhone e magari fanno la donazione annuale a Emergency, fanno l’offerta alle missioni, o adottano a distanza un bambino in Africa. No, mi spiace. Non si fa così: troppo facile. Troppo facile il terzomondismo da salotto. Troppo facile lagnarsi che non ci sono soldi e poi fare “solo” una vacanza alle Mauritius.
Se siamo un POPOLO (ma non lo siamo), veniamo fuori da questa merda tutti insieme! E chi ha mangiato a oltranza fino ad adesso, adesso RINUNCIA a qualche cosa. E se non lo fa per scelta, lo fa per decreto legge, se è il caso!
Invece l’Italia è (ancora) il paese dei magistrati che si lamentano se gli togli una settimana di ferie, è il paese delle corporazioni, delle cosche, delle caste, eccetera.
Per questo ogni tanto mi scaglio – e violentemente anche – contro l’accumulo di ricchezza di elite sempre più ristrette di persone. Non è invidia, come so per certo che qualcuno pensa. Non è un atteggiamento da rosicone. Ci ho vissuto in mezzo per anni, a quella gente lì. E sono sopravvissuto benissimo, avendo anzi avuto modo di “studiarli” molto da vicino. Il mio è solo un senso di giustizia sociale. Giustizia nei confronti di chi, dopo una settimana dalla sua uscita nell’Apple-store, fa magari scivolare distrattamente dalla borsetta (ma con una mossa studiatissima) il nuovo iPhone(N), spiegandoti – quasi a volersi giustificare – che glielo ha regalato il marito, per poter dare (anzi: “riciclare”) il vecchio iPhone(N-1) al figlioletto che va in prima elementare, in modo da non farlo sfigurare con gli amici.
Capisci, Adf? Sono queste le persone a cui è rivolto il messaggio. Solo loro. Le stesse che, pur non sapendolo, stanno giocando con il fuoco.
Ciao,
Andrea
A proposito di rischio di fratture sociali (di cui parlo nella mia prima risposta): http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/26/iphone-6-blitz-a-roma-degli-studenti-di-destra-uova-e-farina-contro-clienti-in-fila/1134029/
Sì, l’avevo letto… ma se l’alternativa è trincea e baionetta, sinceramente…
E chi ha parlato di alternativa? È solo la dimostrazione di quello che dicevo: che la vera crisi è data dalle fratture che si stanno aprendo.
Sì sì, ho capito, ma prima dobbiamo capire se è più profonda la crisi di valori di chi venera un telefonino o quella di chi invoca una giovinezza libro e moschetto. Perché che ci sia un mondo fra questi due estremi è assodato, ma chi stia peggio è tutto da vedere. Comunque il tuo discorso mi è molto chiaro e in buona parte lo condivido. È che proprio io non riesco a demonizzare (te la metto giù semplice) chi spende male i suoi soldi, forse perché ci sono passato anch’io nella mia vita precedente. E l’articolo di Ermani sembrava prendersela di più con chi spende male piuttosto che con chi guadagna dalla crisi altrui. Quando io facevo il (e guadagnavo da) giornalista, mi duole dirlo, ma non mi ponevo realmente il problema di chi era senza lavoro. Sì, se mi capitava di parlare con un mio amico senza lavoro, mi dispiaceva per lui, e in qualche modo cercavo di aiutarlo. Ma questo non mi spingeva a cambiare le mie abitudini di spesa. E anche se la situazione non era generalizzata come oggi, c’era comunque anche allora chi non trovava lavoro. Intendiamoci: io oggi sostengo con convinzione la sicuramente-antipatica-e-antidemocratica-e-idealmente-ingiusta-idea che chi guadagna 30.000 euro di pensione dovrebbe vedersi tagliato d’ufficio l’introito a 5-7.000 euro massimo. Diciamo per cause di forza maggiore. Dipendesse da me taglierei tirannicamente stipendi d’oro e posizioni eccessivamente privilegiate a vantaggio di una migliore distribuzione dei redditi. Ma non vedo pensionati d’oro o dirigenti pubblici in fila per l’iPhone6. Si tratta piuttosto di persone che hanno un reddito (loro o i loro genitori) che gli consente una spesa del genere. Che probabilmente non si pongono grossi interrogativi esistenziali. E che credono stupidamente che questa crisi non li tocca né li toccherà. Per capirci, in fila fuori dall’Apple Store ci vedo forse l’ignoranza, ma non il male. Quello credo sia altrove.
Che sia più profonda la crisi di valori in chi sbava per un iPhone o in chi lancia loro le uova, sinceramente, m’interessa poco. Anzi, niente. Sostenendo io il primato della ragione, non farò mai parte né della fila dei bavosi, né del branco.
Il resto delle cose che dici, in buona parte le conosco (ho letto qualche tuo articolo, in passato) e in parte le condivido. Perdonami se banalizzo, ma penso che si potrebbe riassumere dicendo che hai fatto la cicala, quando si poteva scegliere di fare le formica, e che oggi, invece, quella di fare la formica non è più una scelta.
Col suo atto d’accusa (che condivido dalla prima all’ultima virgola), Paolo Ermani sta in fondo dicendo che non si è imparato niente: così come tu stesso ammetti (con onore) che anni fa, di fronte a un disoccupato, non ti preoccupavi di mantenere il tuo tenore di vita, Paolo sta dicendo che questo atteggiamento è oggi enormemente più indisponente, irresponsabile e imperdonabile, proprio perché aggravato dalla presenza della Crisi.
E’, in altri termini, un estremo invito a un’oculata gestione dei propri soldi, da parte di chi ha una consapevolezza e una lungimiranza certamente superiori a quelle di tanti altri.
Perché se questa oculata gestione dei propri soldi in qualche modo non scatta, ribadisco il rischio che le uova marce volanti possano aumentare. E a quel punto, capire chi aveva ragione e chi torto non sarà più così facile. Ciao.
uhm…
cerco di contenermi che ho già imperversato commentando Marica.
Direi che sono più d’accordo con le posizioni di adf.
Non mi infastidisce come spende i soldi chi li ha, non credo che se un ricco rinuncia a una vacanza questo mi gioverà in qualche modo (anche se ad un conoscente avevo proposto un apps sulla sua carta di credito di modo che ogni volta che avesse fatto il pieno alla ferrari il 10% del totale venisse versato sul mio conto corrente :)…. non lo sento da un po’….).
Mi infastidisce molto di più chi quei soldi non li ha e magari si indebita per acquisti assurdi e poi piange miseria e ti dice che il biologico è caro etc etc
Mi infastidisce chi quei soldi li spende e poi si lamenta e riesce magari pure a dirti “beata te”, “eh, se potessi anche io farei come te”, e ne incontro tanti.
Non mi infastidisce chi, potendo, mantiene il suo tenore di vita.
Quello che mi urta è la mancanza di consapevolezza, di attenzione, di rispetto.
Oltre alla mancanza di consapevolezza, attenzione e rispetto, Cristina, il problema è anche in quel gerundio della tua penultima frase: potendo. Ti assicuro che, molto spesso, chi ha “potuto” arrivare a permettersi certi tenori di vita, lo ha fatto con mezzi e sistemi che nulla hanno a che fare con le tre virtù che (giustamente) pretendi. A meno che, ma qui il discorso diventa biblico, non esistano degli aghi con crune molto larghe…
Comunque, tornando al tema degli iPhone, è vero: in fila ci sono quasi sempre persone che non possono permetterselo, certo non i CEO delle multinazionali (a loro lo fanno diligentemente trovare sulla scrivania, tutti belli scodinzolanti, i responsabili dei loro servizi informativi). Ciao.
Faccio un commento “dal basso”,
da chi anche prima della crisi, pur con una laurea e una qualifica professionale in tasca, quando andava bene prendeva mille euro scarse al mese di stipendio, 4/5 euro l’ora (e all’ultimo contratto lavorando in un seminterrato senza luce naturale ne aria…) e avendo deciso che lo schiavismo dovrebbe essere finito e illegale si è licenziata, cosicché da oltre un anno vive dei suoi magri risparmi (ecco, magari non l’ho pensata proprio bene, ma tant’è).
Personalmente ho un telefono/cellulare vecchio modello, basic-basic, può fare e ricevere telefonate, mandare e ricevere sms, basta, a tanto mi serve. Mi chiedo anche io come Andrea come verranno giustificate le code chilometriche per l’iPhone, pure questo come lo vedo tutti i giorni. Dall’amica che a giugno ha fatto 10 giorni di vacanza in Marocco, è tornata sentendosi buona perché ha visitato le cooperative di produzione dell’argan e poi ad agosto ha fatto due settimane in liguria lamentandosi che “così risparmiamo ma è un carnaio…”, e tutto ciò lo ha detto a me, di cui conosce bene la criticissima situazione economica. E non è ne ricca (hanno due stipendi medio-bassi) ne stupida. E come lei potrei citare migliaia di persone. Quando esco e giro per la mia città, Torino, vedo e sento la gente preoccupata delle ferie, della apertura dell’ennesimo centro commerciale, della tintarella, che compra roba inutile, e mi chiedo se siamo tutti in coma profondo…
Secoli fa avevo letto uno studio sulla paura dell’energia atomica e di come ad un certo punto, non reggendo la psiche l’angoscia quotidiana, semplicemente il problema venga rimosso, chiuso in un cantuccio della mente.
Ecco, la mia impressione è questa, che tutto venga “allegramente” rimosso, anche se con un giro su qualunque sito di ricerca lavoro o per strada basterebbe poco a rendersi conto che la gente senza lavoro è oramai tantissima, ma pure molti di questi correranno anche loro ad acquistare l’iPhone… O_O… come e con che soldi non ho idea…
Quindi, fosse anche un ribadire il concetto a quei pochi che già ne sono convinti, come per le pubblicità progresso che colpiscono solo chi già è sensibile al tema, ben venga e ben fatto Andrea. La goccia scava la roccia, dicono, chissà che a forza di ripeterlo qualcuno in più non si svegli dal coma profondo ed inizi a farsi domande…
O almeno la smetta di lamentarsi delle ferie con chi sta per finire in mezzo alla strada…
Grazie Cristina. Se avrai la pazienza di leggere la mia (lunga) risposta ad Adf, ci sono molti riferimenti anche a quello che dici tu, più diverse analogie con persone e atteggiamenti che abbiamo entrambi incrociato. La penso esattamente come te. Un abbraccio. Andrea
Aggiungo un contributo costruttivo: http://www.fairphone.com/
Grazie, i tuoi interventi si confermano sempre preziosissimi.
Quanto al FairPhone (che non conoscevo e che trovo geniale), ti dico a caldo cosa mi viene in mente:
• Perfetto esempio di filosofia “cradle-to-cradle”: totale riciclabilità, niente sfruttamento delle miniere di coltan, attenzione al trattamento dei dipendenti, CSR spinta, prezzo contenuto (per quanto, sono sempre 310€), etc…
• Per quanto così eticamente costruito e distribuito, il FairPhone si inserisce comunque in quel filone mercantile che il “solito” Illich avrebbe definito non come un “bisogno”, ma come un “fabbisogno”. In altre parole, questo smartphone etico è sì “più nobile” di un suo cugino (dal sangue blu) della casa di Cupertino, ma in un certo senso “sfrutta” un bisogno indotto (cioè un fabbisogno) per proporre un oggetto di consumo di cui – fondamentalmente – si potrebbe fare a meno. (Molto “sottile”, me ne rendo conto, ma la questione è assai più profonda…)
Comunque ancora grazie, davvero. Ciao
Allora ti dirò che mi hai convinto e vado a comprarlo subito. Ma la mia era una riflessione seria. Che nasce anche dalla’esperienza. Fare “Campagne” non è poi una attività tanto semplice.
Forse mi hai risposto prima che completassi la mia altra replica.
Quanto comunque al target della “campagna”, voglio ben sperare che i lettori di LLHT siano già sufficientemente responsabili da non sputtanare 700€ in un feticcio del genere (sennò preferirei davvero che andassero a leggersi Vogue). Ma l’auspicio, come per ogni campagna, è che il messaggio si estenda un pochino. Ciao.
Ho l’impressione che il limite principale di questa campagna sia che parli allo stesso segmento di mercato che che l’iPhone6 non ha nessuna intenzione di comprarlo… Oltre al fatto che dire a qualcuno di non fare qualcosa equivale a indurlo a pensare a quella cosa anziché ignorarla.
Infatti, la campagna è finanziata dalla Apple. Ma… ssshhh, non dirlo a nessuno, eh? Che la Apple-Italia ci ha segretamente promesso di farci avere un iPhone6 a testa! 😉
(OVVIAMENTE STO SCHERZANDO)
Però una volta qualcuno mi disse, più o meno: “Se puoi parlare con un’immagine, fallo.” Ecco, credo allora che in tempi in cui sempre più persone fanno la fila alla mensa della Caritas per un piatto di pasta, ficcare un iPhone in un panino sia, almeno visivamente, qualcosa che faccia riflettere. E che non induca per niente, invece, a comprarlo.