La Germania che ci piace: intervista a Eva Stutzel

EvaEva Stutzel è co-fondatrice dell’ecovillaggio tedesco di Sieben Linden, magnifico e concretissimo esempio di un diverso modo di vivere, più a contatto con se stessi e con gli altri, dove il valore della condivisione, dell’umanità e dell’etica sociale e ambientale sono riportati al centro. Purtroppo, nell’Occidente “civilizzato” (virgolette d’obbligo) se ne sa ancora pochissimo, non si conosce ancora lo spirito, il valore e l’importanza di queste soluzioni comunitarie funzionali ad una vita più a misura di essere umano. Che ci si senta o meno portati e attratti da uno stile di vita come questo, di sicuro l’esempio di Sieben Linden dimostra che un progetto di vita differente, in armonia con noi stessi e con l’ambiente che ci ospita, è possibile. In particolare, questa testimonianza certifica che – in un’epoca come questa, in cui nessuna istituzione è più in grado di fornire risposte concrete ai problemi che affliggono le persone – qualcuno che le offre (e le pratica) esiste davvero. Buona lettura!

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Ciao Eva, ci puoi dare una definizione di Ecovillaggio?

Un Ecovillaggio è un villaggio consapevolmente progettato dai suoi abitanti in una dimensione sociale, ecologica, economica e culturale.

Quali sono gli elementi che caratterizzano questa realtà?

Un rapporto consapevole con tutto ciò che ci circonda: la natura, gli altri esseri umani e noi stessi.

Quali sono i vantaggi per l’individuo che decide di entrare a farne parte? E per la comunità quali sono i benefici?

Il vantaggio principale è quello di vivere una vita piena di obiettivi. Sappiamo che con la nostra vita siamo una parte della soluzione ai problemi della società e non (non così tanto, almeno) parte del problema. Devo dire “non così tanto” poiché la nostra impronta ecologica è ancora oltre le possibilità della terra di sostenerla. Per me personalmente, il vantaggio principale di vivere in un ecovillaggio è vivere in una comunità che mi supporta in molti modi: nella mia crescita personale, nell’aiutarmi a crescere mio figlio, mi dà la possibilità di realizzare cose che non sarei in grado di realizzare da sola. Per la comunità intorno all’ecovillaggio è una fonte di ispirazione che mostra una prospettiva per le regioni rurali. E’ un villaggio dove le persone vengono a vivere e dove sono nati molti bambini, mentre in tutti gli altri paesi le persone se ne vanno e rimangono a viverci solo gli anziani. Quindi è un importante contro-fattore allo sviluppo demografico che sta minacciando le aree rurali oggi.

Privacy e comunità. Come rispondi a chi ha paura che la vita in un ecovillaggio non rispetti le esigenze di privacy individuale, della coppia o della famiglia?

La risposta semplice è che abbiamo la massima considerazione della privacy. Rispettiamo le esigenze degli individui, delle coppie e delle famiglie. Sono i pilastri della comunità. Se gli individui non stanno bene, se le coppie sono in difficoltà, se le famiglie non funzionano, la comunità non funziona. Quindi abbiamo un grande rispetto dell’esigenza di privacy. Nessuno entrerebbe mai nella tua stanza senza bussare o senza un invito.

Allo stesso tempo, però, abbiamo capito che la “trasparenza” è un fattore importante per creare la comunità. Questo significa che noi informiamo noi stessi dei nostri sentimenti e di cosa è importante per noi. Abbiamo capito che la comunicazione autentica e la condivisione è importante e crea fiducia e un senso di comunità. Per questo noi condividiamo molti dei nostri problemi, dei nostri problemi nelle nostre relazioni o nelle nostre famiglie. Per noi questo non rappresenta una contraddizione riguardo alla privacy. Naturalmente ciascuno ha il diritto di decidere che cosa condividere ma abbiamo capito che è sempre un sollievo condividere molte cose che normalmente vengono tenute segrete.

Ci sono rischi? Per esempio c’è un rischio di isolamento dal resto della comunità al di fuori dell’Ecovillaggio? Che rapporti avete con la realtà “fuori”?

Il rischio principale che vedo per noi è che, poiché lavoriamo molto senza essere pagati o soltanto in cambio di un piccolo stipendio, saremo tutti poveri quando saremo anziani e prenderemo pensioni molto basse. Speriamo che la comunità ci darà allora alcuni vantaggi visto che abbiamo realizzato la comunità con il nostro lavoro, ma possiamo davvero contarci?

Certo, c’è un certo isolamento dal resto della società fuori dall’ecovillaggio. La maggioranza di noi ha la maggior parte degli amici all’interno del villaggio e non ci sono molti contatti con l’esterno. Ma abbiamo amici nella regione, ci sono molte cooperazioni, molti di noi sono politicamente impegnati nella regione stessa, alcuni lavorano in progetti regionali o ambientali, abbiamo alcuni impiegati che vengono dalla regione, alcuni di noi ci lavorano. Quindi c’è un legame ma mi piacerebbe che ce ne fossero di più.

Siamo collegati col resto del mondo che condivide i nostri valori attraversoi seminari e reti di cui facciamo parte. Ma questo significa essere in contatto con persone che la pensano come te e che vivono in tutto il mondo, abbiamo molti contatti in questo senso. La sfida è, piuttosto, stabilire buone relazioni con la gente che vive in contesti tradizionali nella nostra regione che è un’area rurale convenzionale e piuttosto scettica nei confronti dei cambiamenti.

I bambini: che rapporto hanno con i coetanei che non fanno parte della comunità? Qual è l’esperienza riportata dai giovani che vi sono nati e cresciuti senza, quindi, averlo potuto scegliere?

Abbiamo circa 40 bambini che hanno molti amici fuori dall’ecovillaggio e sono rispettati e ben visti nelle loro scuole. Abbiamo spesso il feedback che i nostri bambini contribuiscono molto alla coesione delle loro classi poiché hanno un’alta competenza sociale. I nostri ragazzi sono molto orgogliosi di essere i giovani di Sieben Linden. Hanno Sieben Linden per lo studio e per la formazione professionale ma sono ben collegati con altri giovani che vivono in comunità e amano viverci. Adesso ci stanno chiedendo chiarezza circa la possibilità di poter sempre tornare a Sieben Linden anche se i loro genitori se ne sono andati. Vedono il nostro ecovillaggio come la loro casa e vogliono che rimanga tale anche se vivono altrove.

Qual è l’impatto dell’ecovillaggio sull’ambiente che lo circonda? In che modo influisce sulle persone e il territorio che lo circondano?

E’ stato realizzato uno studio sulla nostra impronta ecologica che dice che è circa il 70 per cento inferiore rispetto all’impronta di un tedesco medio. Ma non è abbastanza per salvare il mondo.

Dal momento in cui Sieben Linden è stato fondato quali sono state le problematiche emerse più spesso? E come le avete risolte?

Il problema principale che abbiamo dovuto affrontare è stato che a un certo punto la chiesa ha messo in giro la notizia che noi saremmo un culto pericoloso. Siamo riusciti a convincerli che era solo l’idea di un sacerdote che era forse paranoico e, se avessero visto più da vicino la nostra realtà avrebbero scoperto che non lo siamo affatto. Ma ci sono volute 4 settimane durante le quali i media locali hanno fatto molto per distruggere la nostra reputazione.

Quali sono, invece, le problematiche che  state cercando di risolvere?

Il nostro problema nell’immediato è fare in modo che le persone si impegnino continuativamente per la gestione della comunità. Molti hanno da fare con il loro lavoro, la loro vita, la loro famiglia e la comunità nella sua dimensione ha bisogno di impegno. Al momento è difficile trovare persone che si prendano la responsabilità in questo senso.

Che cosa ti ha insegnato personalmente vivere a Sieben Linden?

Moltissimo. Credo prima di tutto di aver imparato a credere che i sogni possono avverarsi se lavori per realizzarli e se ti lasci trasportare dalle tue intuizioni.

Quali sono i requisiti necessari perché un individuo o una famiglia possa entrare a far parte della vostra realtà?

Il requisito principale è che le persone siano consapevoli del fatto che vivere in una comunità è sempre una sfida per la propria crescita personale e che possiamo vedere tutto quello che ci succede come qualcosa da cui possiamo imparare. Così puoi affrontare le sfide della vita di comunità.

In che modo l’individuo o la famiglia partecipa al funzionamento dell’ecovillaggio?

Ciascuno deve occuparsi delle faccende domestiche, ma l’impegno per la gestione dell’ecovillaggio è volontario. Ecco perché è difficile al momento trovare qualcuno che se ne occupi.

Ci sono vantaggi economici oltre ai grandissimi benefici umani? Puoi darcene un’idea? Con quanti soldi, ad esempio, una famiglia può vivere a Sieben Linden?

Le persone possono vivere spendendo molto meno a Sieben Linden che nelle città più grandi in Germania. Ma la vita è più cara da noi rispetto alle campagne vicine. Noi costruiamo in modo ecologico e compriamo solo biologico da commercio equo-solidale. E tutto questo ha un costo. Se si vuole vivere con poco, è meglio vivere in campagna con progetti individuali.

I vantaggi economici sono che tutti abbiamo molta ricchezza anche se non abbiamo molti soldi. Disponiamo di una sauna, organizziamo serate di cinema tutte le settimane, feste da ballo, corsi di yoga, abbiamo una piscina naturale, macchine a disposizione (anche se non ne possediamo nemmeno una).

Come vedi il futuro degli ecovillaggi nel mondo?

Credo che ce ne saranno di più, in futuro, ma la cosa più importante è che ci saranno più persone che vivono consapevolmente e su base comunitaria come facciamo noi. E che lo facciano ovunque non solo in ecovillaggi o in comunità, ma che creino uno spirito comunitario anche a casa loro, nelle loro strade, nel loro quartiere o condominio. E che ci siano molti progetti di condivisione e mutuo aiuto. Spero che le idee e i valori degli ecovillaggi diventino un giorno la norma anche per le persone che vivono in contesti normali.

Che cosa serve per essere felici, Eva?

Una vita piena di obiettivi, buone relazioni umane e, naturalmente, salute, pace, cibo sufficiente e una casa per ripararsi.

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Eva Stutzel sarà in Italia dal 3 al 5 luglio, per tenere il corso “Costruire la società del futuro” al Parco dell’Energia Rinnovabile, in Umbria.

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9 risposte a “La Germania che ci piace: intervista a Eva Stutzel

  1. Ciao Alberto
    Ho letto le tue proposte e mi viene da chiederti se hai mai abitato in un ecovillaggio o hai mai fatto parte di un qualsiasi progetto comunitario e se sì, dove, come e quando e che esperienza ne hai tratto.
    Visto che dai consigli perentori e fai commenti molto circostanziati sembra che tu abbia grande esperienza nel campo. Se invece non ne hai nessuna, sarebbe interessante per te partecipare al corso così ti rendi conto di come funzionano davvero queste realtà.
    Paolo Ermani

    • “Si dovrebbe fissare” – come specifica l’uso del condizionale – non è un “consiglio perentorio”, evidenziando il fatto che il punto di vista sia personale. Come il tuo e quello di chiunque altro qui, credo.

      Sono firmatario fin dall’inizio del “Manifesto Bioregionalista italiano” e, fino al momento in cui mi sono sposato, ho partecipato a molti incontri, durante i quali si parlava di queste esperienze. In alcune occasioni, sempre in quegli anni ho visitato alcune di queste realtà, in un paio di casi per alcuni mesi.

      Volendo, potresti tu spiegare se i fallimenti fin dal XVIII secolo di moltissime di queste realtà (fallimenti che io credo dovuto proprio all’incapacità di ottenere, entro un certo lasso di tempo, una collaborazione sulle “questioni pubbliche” di una comunità), abbiano invece altre cause.

      Se questo non dovesse bastarti, ti confesso comunque che l’idea di offrire perentoriamente credenziali, mi lascia indifferente. Così spero anche gli altri frequentatori di questo sito, che immagino più proficuamente impegnati a riflettere su quanto qui si scrive; liberissimi di scartare ciò che ritengono – magari proprio per personale esperienza – sbagliato.

      • Ciao Alberto

        Le “credenziali” sono importanti quando si fanno delle affermazioni che sembrano presupporre chissà quali esperienze sul campo. Ma come immaginavo dalla superficialità di quello che scrivevi, non hai praticamente alcuna esperienza di questi progetti visto che non ci hai vissuto per anni o tentato di costruire concretamente cose simili con tutto quello che ne consegue in fatto di problemi, difficoltà ma anche successi annessi. Mettere tutto nel calderone dai secoli passati ad oggi è il modo migliore per affossare queste esperienze mentre ogni esperienza ha la sua storia e le sue particolarità.
        Se vuoi ti posso spiegare il fallimento totale, assoluto e senza appello di questa sistema e società che sta portando nel baratro tutti noi.
        Di certo chi cerca con fatica di fare qualcosa di concreto, di rischiare e si mette in gioco, è l’ultimo ad avere responsabilità.
        Con tutti i limiti del caso, almeno ci prova e va oltre i manifesti e le chiacchiere.

        • Mi rendo conto di non essere alla sua altezza; me ne umilio pubblicamente e le assicuro che non mi sognerò più di tentare di dare il mio contributo a una discussione su questo tema.

          Suggerisco anche a tutti coloro che avevano pensato di esprimere al riguardo la loro, di farlo solo se hanno vissuto per almeno 3 anni in un eco-villaggio o struttura simile: tempo equiparabile a una laurea breve.

          Fine della polemica, almeno da parte mia.

    • Sto ultimando un libro che vi consiglio calorosamente e che potreste non conoscere (se non altro, perché la libraia che si è fatta in quattro per trovarmelo, alla fine mi ha scritto che il distributore le ha detto come la sua distribuzione in Italia fosse ILLEGALE: sì, avete letto bene). Il libro è “Notizie da nessun luogo” di William Morris, del quale sono venuto a conoscenza grazie a un altro bellissimo libro che mi ha prestato proprio Paolo (Elogio della semplicità).
      “Notizie da nessun luogo” è edito da Garzanti e sono miracolosamente riuscito a procurarmi una copia tramite un editore online che tratta testi fuori catalogo (non faccio il nome, se è vera quella storia, per non metterlo nei casini). Tuttavia, si può trovare sul web la prima edizione italiana di quel romanzo, uscita con il titolo “La terra promessa”: questo il link.
      Perché vi dico questo? Perché il libro, scritto a fine ‘800, è un romanzo distopico (non certo ai livelli del “1984” di Orwell, ma certamente meglio del pallosissimo Huxley) che descrive in modo molto analitico come si svolge la vita in una Londra del XXI secolo concepita come un gigantesco falansterio.
      Sono quasi in fondo, quindi aspetto a tirare un bilancio. Ma diciamo che, per la lucida visionarietà della trama, per la portata del suo messaggio, per l’aderenza storica di alcuni fenomeni che si sarebbero poi realmente verificati… bè, forse l’ipotesi che ne sia vietato il commercio assume credibilità! Vi consiglio di cuore di leggerlo, se non lo conoscete: credo che rappresenti una piccola pietra miliare (se non altro, in termini narrativi) per chi si occupa di strutture sociali comunitarie. Ciao.

      • Ce l’ho. Ma da non credere a quello che scrivi, che sia illegale distribuirlo!

        Certo, capisco il punto di vista di un governo, per quanto “democratico”, vista la fine che l’edificio del Parlamento fa nel romanzo…

        Però, mettere sullo stesso piano Morris per “Notizie…” e Hitler per il “Mein Kampf”, uno dei due – nell’altro mondo – dovrebbe vergognarsi!

  2. Sì, in effetti, Eva mette bene in luce questi aspetti con molta semplicità e obiettività. Credo che siano realtà sempre, in continuo confronto con se stesse e con il mondo che le circonda e che spesso non le conosce. Se ne sa ancora molto poco.

  3. L’intervista mette molto bene in luce i pro e i contro (“contro” inteso nel senso di “debolezze insite nelle persone coinvolte”, come spiegherò andando avanti), che caratterizzano questi esperimenti, fin da quando iniziarono con gli Utopisti del XVIII secolo.

    I punti deboli sono i legami con altre realtà simili, che permettano alla struttura (che sia una “comune”, un “cohousing”, o altro poco importa) di sopravvivere in casi d’emergenza. Bene i contatti con la popolazione locale, naturalmente, guai se non ci fossero: ma l’esempio riportato, riguardo alla campagna denigratoria portata avanti dalla Chiesa locale e dalla stampa, la dice lunga: questa volta è andata bene, ma basta un nulla, perché la maggior parte delle “persone comuni” si accodi a una struttura di potere qualsiasi e ti si metta contro.

    Spiace vedere come alla fine tutto il mondo sia paese: almeno questa volta non posso scrivere “è tipico degli italiani”… Questa considerazione vale anche per ciò che si presenta come il problema vero, cioè la volontà di impegno (solo qualche volta ci si scontra con le reali possibilità) dei singoli, nel confronto con l’intera struttura; e mi riferisco qui al problema del volontariato nella gestione dell’ecovillaggio.

    Qui, purtroppo(?), il buonismo e il politically correct devono essere lasciati fuori dalla porta; specie all’inizio, cioè quando la comunità è in fase di crescita. Si dovrebbe fissare, per le attività “collettive”, un limite (per esempio una percentuale di tempo alla settimana o al mese) sotto il quale si è fuori. “Senza se e senza ma”, come direbbe Veltroni. La volontarietà sia lasciata solo al settore nel quale si decide dove prestare la propria opera. Ma lo si deve fare, o si è fuori.

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