Il way of council

Una delle scoperte più belle che ho fatto negli ultimi anni si chiama Way of Council. È una forma di comunicazione non gerarchica e non violenta, che le persone fanno restando sedute e formando un cerchio.

A chi sta già storcendo il naso in segno di scetticismo, dico di tranquillizzarsi.  Non ci sono in mezzo religioni, sette mistiche, ideologie politiche, imposizioni di abitudini, sacrifici a divinità. In mezzo ci sono le persone, la loro ricerca di tranquillità interiore e quindi di benessere.

Quando mi trovavo in Portogallo, quello che mi colpì fin da subito del Way of Council furono due cose: la sacralità e la semplicità. Mi fu proposto di partecipare a un incontro a casa di uno dei miei amici e accettai al volo. Ci ritrovammo in sette/otto e l’incontro durò non più di un’ora e mezzo. Rimasi letteralmente conquistato! Un’atmosfera permeata di un rispetto purissimo, dove l’energia del cerchio era stata per me chiaramente percepibile e a tratti fortissima. Qualcuno rise, qualcuno pianse. Ci fu chi non riuscì a parlare, ma dimostrava comunque serenità. Ci fu chi disse cose che non aveva mai detto a voce alta e, soprattutto, che non aveva mai raccontato a se stess*.

Alla fine di quella serata ci abbracciammo molto intensamente, convinti di esserci voluti davvero bene e di averlo dimostrato sia con le parole che con il silenzio.

Vivere il Council è qualcosa di molto forte, rivelatore e autentico. Al tempo stesso è un mezzo semplice, perché le persone non fanno altro che parlare (se decidono di farlo) e ascoltare. Parlano di ciò che sentono nel loro profondo. Di quello che magari non vogliono, non riescono o non possono condividere nella quotidianità. Così facendo si conoscono e, molto spesso, questo le aiuta a stare meglio.

Nel mio percorso ho avuto la possibilità di sperimentare il Council in forme diverse e di farlo anche assieme a persone che mai avevo conosciuto prima. Ho avuto la fortuna di fare diverse sessioni in lingua portoghese, riuscendo in ogni caso a esprimere quello che volevo dire. Durante la mia esperienza in Brasile, mi sono proposto come facilitatore all’interno di piccoli gruppi. Mi sono messo in gioco, presentando questa forma di comunicazione e incontrando la difficoltà di dover gestire tali dinamiche comunicativo/relazionali.

Quest’estate, finalmente, ho cominciato a farlo in Italia. Grazie alla generosa disponibilità di una mia amica, ho organizzato un Council dal sapore speciale. Eravamo qui stavolta, nella nostra terra.

Anche in questo caso mi piace pensare che il meglio debba ancora venire. La mia intenzione infatti è di continuare a organizzare incontri, sia all’interno di strutture private sia soprattutto in spazi pubblici, che aspettano di essere vissuti e valorizzati.

Per me sarà l’opportunità di mettere in connessione sempre più persone e di fare esperienza in un settore dove voglio operare, cioè la gestione e la facilitazione dei gruppi. Inserirò nel mio blog le date degli eventi che verranno di volta in volta organizzati. E in tutto questo noi avremo le chiavi del Ministero della Comunicazione Profonda.

Sia chiaro che il mio obiettivo ultimo non è scrivere qualche parola con vena poetica, per conquistarmi un complimento. Il mio obiettivo è provare, conoscere, imparare. Il mio sogno è rimanere senza parole e poi trovare esattamente quelle che rappresentano i miei sentimenti. La mia ambizione è condividere momenti, costituiti essenzialmente di silenzi e sorrisi.

Nella consapevolezza che quello di cui ho bisogno io si avvicina moltissimo a quello di cui hai bisogno tu.

Separatore

way of council

Il WAY OF COUNCIL è un’antica forma di comunicazione praticata per generare verità e trasparenza, esprimendo i sentimenti così come sorgono. È uno spazio dove comunicare le nostre necessità da una posizione di totale parità.
ORIGINE
La pratica tradizionale del Council appartiene agli Irochesi, un gruppo nativo del Nord America che viveva nella regione dei Grandi Laghi.
È possibile incontrarne tracce anche nella letteratura classica dell’antica Grecia (Iliade), nel mondo islamico, nei monasteri tibetani, nelle usanze dei Quaccheri, nella cultura tradizionale delle Hawai (forma chiamata “ho’o pono pono”).
INTENZIONE
L’intenzione del Council è quella di essere al servizio della totalità, sia essa un gruppo, una squadra, una famiglia, una relazione, una collaborazione. Il Council permette di avere una esperienza personale tramite una comunicazione semplice e presente. Sebbene non sia intrattenimento e nemmeno terapia, può avere uno straordinario effetto benefico per chi vi partecipa.
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6 risposte a “Il way of council

  1. Senza rifarsi a tradizioni lontane, ecc., si è spesso parlato nella storia di “collegialità” come antidoto al decisionismo (questo prima ancora che il termine “decisionismo” esistesse, a dispetto dell’esistenza del suo referente). Credo che ci siano molte persone che, a ragion vedute, siano già convinte che l’essere umano non sia realmente adatto a vivere in modo ottimale in comunità i cui individui superino i cento.

    • Penso, Marco, che sia solo relativamente un problema di numeri.

      E’ un dato di fatto che, meno si è, più velocemente e più collegialmente si prendono le decisioni. Temo, però, che sia prima di tutto quel problema che, alla luce della mia per quanto limitata esperienza, individuo nell’estrema difficoltà di “fare rete”.

      Credo che, alla base di questa difficoltà, ci sia il nostro modo di pensare, che ci impedisce – o impedisce alla maggior parte di noi – di immaginare qualcosa che funzioni non con un “organismo decisionale centralizzato”, ma con un sistema di gangli decisionali più o meno sparsi, ma strettamente legati fra di loro.

      Intendo dire, che non ritengo pensabile di velocizzare in maniera sufficiente le decisioni di un gran numero di persone, usando una metodologia “di base”, malgrado i progressi dei sistemi di rete (checché ne pensino Grillo e Casaleggio…); ma che sia invece del tutto plausibile, che un certo numero di gruppi non particolarmente numerosi, riescano a interfacciarsi tra di loro, per risolvere problemi a scala più ampia di quella del singolo gruppo.

      Tra parentesi e anche se il paragone può essere azzardato, la formica usa questo sistema di gangli multipli; e se la cava benissimo. Un po’ di buona volontà, quindi…

      • Quello che i gruppi decentrati dovrebbero avere, per funzionare, è una formazione e dei principi d’azione comuni, costruiti da una cultura e degli ideali comuni. Oggi come oggi dove per ciascuno il proprio ideale è più o meno “il trionfo di me medesimo” la vedo dura. E questa situazione non è solo la pacchia del Capitalismo, che infatti non l’ha creata ma l’incentiva perché rende difficile la parsimonia, è anche la risposta delusa a secoli di grandi ideali comunitari che hanno agito come cemento efficace ma sono tutti stati traditi dalla sete di potere.

  2. E’ la forma di “congresso” che qui in Italia praticano quelle realtà, non gerarchiche, che si basano soprattutto sul ritorno alla terra: bioregionalisti, Elfi e esperienze assimilabili.

    Inutile dire quanto sia spesso duro, far calare la mentalità dell’italiano medio in questo meccanismo, per quanto possa essere già sulla buona strada, ponendosi le domande che sappiamo; o avendo iniziato comunque un percorso “di disintossicazione” dai modelli di vita, come ci vengono proposti da questa società.

    Questo metodo (per i suoi tempi “di funzionamento”, che sono lenti, se l’argomento in ballo è articolato o di fondamentale importanza, per la concezione che del tempo e del suo uso ci ha imposto questa società) fa sorgere il dubbio, se sia possibile introdurre i meccanismi della democrazia diretta grazie a semplici cambiamenti. O se non sia meglio (anche alla luce degli ultimi, importanti tentativi) un taglio secco.

    • Grazie Alberto. Come ho scritto, io vado avanti per questo sentiero, faccio esperienza, osservo, ascolto, imparo. Certo, spero anche che un giorno sia possibile affrontare questioni comuni che abbiano implicazioni pratiche e virtuose.

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