La mia casa insiste su un terreno montano molto scosceso di circa 2 ettari (20’000 m²), confinante con un’antica mulattiera vicinale che viene ormai percorsa solo dagli abitanti del paese vicino o da qualche escursionista a piedi, in mountain-bike o, più raramente, a cavallo. Entrai in possesso di questo appezzamento di terra nel 2004, insieme alla vecchia stalla diroccata che ci stava sopra e che nei tre anni successivi ho faticosamente ricostruito.
Da allora si sono verificati due episodi, che ieri mi sono tornati in mente e sui quali riflettevo:
- Il 31 dicembre del 2010 fu una giornata da lupi. Eravamo completamente avvolti dalle nuvole e fuori dai vetri c’era un misto di nebbia e neve ghiacciata, lo ricordo bene. La casa è molto appartata e nella bella stagione risulta per questo raggiungibile esclusivamente con un fuoristrada; d’inverno invece – per chi non conosce la zona – è oggettivamente difficile avvicinarsi. Quel giorno, nel primo pomeriggio, quando un po’ di luce ancora consentiva di distinguere i contorni, un’ombra passò davanti ai vetri per andare a ripararsi nel piccolo portico. Quella figura, scrollandosi di dosso il nevischio, si avvicinò alla porta e bussò. Entrato in casa, si presentò come il nuovo proprietario del mulino che da anni era abbandonato ai margini del fosso, alle pendici del bosco. Si scusò per l’incursione senza preavviso e, dopo qualche chiacchiera e un bicchiere di vino, mi spiegò che aveva intenzione di rimettere in funzione l’impianto: era una specie di appassionato, aveva già ripristinato altri mulini e aveva scelto di trasferirsi in quell’angolo di paradiso per trascorrervi la vecchiaia, ridando contestualmente vita alla vecchia pala e con l’intenzione di ricominciare a preparare il pane per la comunità. Per farlo, aveva però bisogno di un piccolo favore da parte mia: installare, lungo tutto il confine della mia proprietà (un centinaio di metri), un condotto interrato al cui interno deviare una parte delle acque e alla fine del quale posizionare una piccola turbina, necessaria a produrre l’energia elettrica per azionare la pala quando l’acqua nel torrente fosse stata insufficiente. Non mi fu necessario pensare a quando, qualche anno prima, il caro vecchio Cecco del podere vicino mi offrì, per semplificarmi gli allacciamenti, di interrare il bombolone del gpl nel suo terreno: la mia risposta con il mio ospite infreddolito fu istintivamente positiva, previa soltanto la verifica che l’intervento non avrebbe comportato dissesti idrogeologici.
- Qualche mese dopo, dovendo organizzare una gara di down-hill (mountan-bike in discesa), un membro della pro-loco mi chiese il permesso di poter effettuare una piccola modifica allo stradello vicinale, deviandolo per una cinquantina di metri sul mio campo, così da evitare uno sbalzo pericoloso e renderlo permanentemente più percorribile, anche e soprattutto a piedi. Ovviamente, acconsentii.
In entrambi i casi non ci fu bisogno di firme, né soprattutto di chiavi, lucchetti o catene, in quanto lassù l’unica barriera contro l’esterno è uno steccato di pali di castagno che costruii io stesso anni prima, più che altro per tenere alla larga i cinghiali. Lassù, infatti, il concetto di confine ha a che fare più con qualcosa che assomiglia all’armonia, che non a categorie esclusivamente umane come la proprietà, il diritto o la geografia.
Ieri, 24 novembre 2015, un SU-24 russo è stato abbattuto da due jet dell’aviazione turca per aver transitato 17 secondi su un lembo di terra al confine con la Siria, largo a occhio e croce meno di due chilometri (quest’immagine l’ho prelevata io stesso da Google-Maps):
Fatte le dovute proporzioni, e considerando che la Turchia ha un’estensione geografica di 783’562 km², la violazione di quel paio di chilometri corrisponderebbe virtualmente, se trasposta sui campi intorno a casa mia, a una violazione di… cinque centimetri.
Questo episodio è stato prontamente giustificato dal Presidente degli Stati Uniti d’America (che come la Turchia è membro della NATO) e potrebbe passare alla storia come il fattore scatenante della Terza Guerra Mondiale.
Le risposte sono dentro ciascuno di noi. Sempre. Il nostro destino… pure. Purtroppo o, c’è da augurarsi, per fortuna.
Ognuno di noi, secondo l’odierno stile di vita ovunque promosso (ma poco godibile, ad esser gentili) è una fortezza, ciascuna in assedio perenne agli altri castelli, nel tentativo di carpire ciascuno all’altro una briciola di necessario che un Signor Qualcuno lascia cadere, sottraendolo alle tasse, agli inevitabili consumi, alle irrinunciabili e stracare dotazioni che ci servono per faticare e per cui fatichiamo, senza nulla tenere di saldo per noi stessi.
tristemente concordo con le vostre riflessioni…..Milioni di morti , fame carestia malattie non ci hanno reso più civili…i motivi e gli interessi si ripetono…
Sono in tanti ad aver capito che un nemico senza confini ed una guerra mondiale sono quello a cui governi e potenti stanno lavorando perchè hanno solo da guadagnarci. Curiosamente come il film “The Matrix” ha illuminato milioni di persone su come siamo schiavi inconsapevoli di un Sistema, anche “V per vendetta” è più che profetico.
Scopo della guerra non è la vittoria, ma la continuità.
Ieri ho avuto la stessa brutta sensazione, che ‘quell’invasione’ rilevabile solo grazie alla tecnologia, per un tempo che nella prima guerra mondiale era nemmeno il tempo di alzarsi e spostarsi con tutte le difficoltà di un equipaggiamento dei tempi, di un paio di metri? oggi potrebbe essere la scintilla del terzo conflitto dei paesi industrializzati e quarto mondiale perché includo quello che è in atto per la conquista della preziosa Africa.
Sensazioni pessime, confermo. Ed è a mio avviso indisponente e deprimente come si stia adesso entrando in un regime di verità ovattate (vedi lo slogan di ieri di “un euro in più per la cultura per ogni euro in più di spese militari”), solo per ammansire l’opinione pubblica e distrarla dal cuore dei problemi.