Il Grande Caldo

Qualche sera fa sono ospite in casa di amici. Entro nella splendida veranda. Al centro, un grande tavolo pieno di cose da mangiare. La stanza è tappezzata a giro, di persone che non conosco. Sono un gruppo omogeneo di colleghi della cara amica che mi ha invitato.

Sono un’intrusa. Lo capisco subito. Si tratta di una riunione di lavoro o simile. Si conoscono tutti a parte, forse, qualche rispettivo marito.

Vengo presentata come “quella dell’orto sinergico”. La cosa mi diverte sempre e mi fa piacere vedere le facce sorprese e curiose di chi mi sta davanti. Poi domande a non finire e io a inorgoglirmi della mia creatura.

Sono piombata nel mezzo di qualcosa di delicato, però. Mi sento una divagazione, sono una pausa, un istante vuoto che si riempie, sono la sospensione momentanea di confronti e sostegni, di riconoscimenti immediati, di immedesimazioni reciproche. Che a poco a poco mi fanno spazio per poi mollemente richiudersi come fa l’acqua quando inghiotte qualcosa. Con resistenza, quasi, prima. Poi cosciente, aperta, disponibile. A ricomporsi, poi, a riprendersi, a ritirarsi da quella distrazione.

L’aria è sottile, calda. Le persone sono morbide, come permeabili, sveglie. Mi piacciono da subito e le ascolto. Non so niente di nessuna di loro, ma riconosco le loro espressioni, il racconto di dinamiche certe e passate, forse non ancora del tutto digerite. Sento qualche fastidio nella mia memoria, qualche pesantezza che mi serve a gioire della mia momentanea leggerezza.

Fiammifero

Sono un gruppo di colleghi. Anzi, no. Sono amici. Si riconoscono. Sono capaci di essere insieme. Qualcuno ha appena concluso il suo rapporto di lavoro con l’azienda in crisi e in vena di tagli. Qualcun altro è restato, mi pare a diverse condizioni, qualcuno ha avuto incentivi e vi ha visto un segno del destino per pensare di scollocarsi con un piccolo aiuto. Un altro ancora, invece, sta bene. Gli piace vivere così. Ne ha bisogno, non si vede in altro modo.

Si parla di lavoro. Quello che ci rinchiude per ore dietro una scrivania a fare sostanzialmente cose inutili per il mondo. E, in definitiva, anche per noi. Quel lavoro che ci serve a pagare le spese che crea il lavoro stesso, quello che non ci permette di vedere albe e tramonti, quello che ci intrappola nel cemento e nel traffico, che ci riduce a trottole impazzite bisognose di aiuto in modo da creare altri posti di lavoro utili solo a sostenerne il peso.

Dev’essere il compagno di una di loro che mi si è seduto vicino. Interviene dicendo che, nonostante tutto, il lavoro è importante, fondamentale, che non se ne può fare a meno, foss’anche un lavoro che non propriamente ci piace. Il ragazzo ha una faccia aperta, ricoperta di barba folta e occhi profondi e chiari. Mi piace  che tenga il suo bambino in braccio e, mentre parla, mi sembra che il tutto strida con il suo aspetto forte, positivo, autentico, semplice. Ha un modo di fare che mi colpisce: come impegnato a trattenere la sua timidezza, come indaffarato a metterla da parte, come insicuro sul da farsi o come ad aspettare le reazioni alle sue parole. Quasi in attesa di essere smentito.

Gli chiedo d’impulso se sia giusto insegnare a suo figlio quello che ha appena detto. E’ già in ascolto. Gli chiedo che lavoro fa e mi dice che è un macellaio. Non chiedo altro ma continua dicendo che non gli piace e la cosa che più gli manca è la luce, l’aria aperta.

Così gli chiedo che cosa gli piacerebbe fare e qual è il suo talento. “Nessuno”, mi risponde velocemente lui. “Non ci credo”, ribatto io, “te lo sei dimenticato…”.

Così vengo distratta da altri commenti, da qualcuno che parla d’altro, mi faccio prendere da altre questioni. Fino a quando il ragazzo mi chiede attenzione come fosse rimasto fermo a pensare tutto il tempo alla mia domanda e mi dice: “C’era… qualcosa che mi piaceva. C’è… qualcosa che mi piace… Mi piace stare nei boschi, io vorrei vivere in una foresta, io sarei voluto essere un forestale, sarei stato molto felice se l’avessi potuto fare… Mi piace da sempre, fin da bambino…”.

Così si crea attenzione e un amico gli dice che può ancora provarci, un altro che dovrebbe farlo. Lui ci pensa un po’ su, prontissimo a farsi convincere, per niente rassegnato. Come fosse diverso da quello di dieci minuti prima. Lui continua a parlare. Diventa un fiume in piena. Come si fosse ricordato del suo talento, della sua struttura, della sua forma, della sua essenza.

Nella stanza siamo tutti in cerchio nella grande veranda. E tutti ascoltano tutto. E’ un ricordo corale.

A. è una ragazza con lo sguardo vivace, il viso continuamente espressivo, intento a dare tono ai suoi pensieri, un corpo compatto, di donna fiera, esuberante e colorata, che controlla allegramente il suo spazio. Le piace il suo lavoro, ma alla mia domanda mi dice che un tempo ha fatto l’attrice… A. è senza filtri, come la cosa più naturale al mondo, fa una dichiarazione d’amore all’uomo che ama, seduto dall’altra parte del tavolo. Lo fa come fosse un intercalare naturale, quotidiano, quasi inconsapevole. Mi colpisce al cuore, invece. Proprio adesso. Gli altri tacciono. La sua felicità mi sfiora e mette a tacere il suo uomo. Penso a quanto sia tagliente la felicità degli altri in alcuni momenti della nostra vita.

Un’altra ragazza di cui non conosco il nome parla del Bed & Breakfast che le sarebbe piaciuto aprire. La mia amica di fianco a me dice che ha sempre desiderato dipingere e diventare una pittrice. Adesso, a cinquant’anni, ci vuole provare.

Non so neppure quante ore siano passate. Non meno di sei o sette, intorno a quel grande tavolo nella grande veranda. A parlare, ad ascoltare…

Abbiamo dimenticato di continuare a credere ai nostri talenti, alle nostre passioni. Li abbiamo insabbiati, convinti che fosse la cosa più giusta e responsabile da fare. Abbiamo sottovalutato le inclinazioni che avevamo da bambini e che ora ritornano prepotenti, quasi violente, appena si crea un minimo spazio, un’atmosfera, un calore diffuso, un’energia di persone autentiche, pronte a svelarsi, a rivedersi, a concedersi. Appena si crea quel tempo utile, umano, offerto, tolto alla fretta del nostro continuo daffare. Appena si viene accolti come se questo fosse semplice, facile, naturale.

Come ci si mette in ascolto emerge d’incanto la possibilità di smettere di essere ciò che facciamo e, come dice il mio amico Andrea, iniziare a fare ciò che autenticamente e profondamente siamo.

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6 risposte a “Il Grande Caldo

  1. che bello di prima mattina leggere questo resoconto di una serata luminosa!
    Ora scappo…mi aspetta il mio week end di respiro e di vita (il mio MBA alternativo)…preparando il tempo (come un orto) per tornare a fare quello che amo…creare!
    Buona giornata a voi!

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