Emblema Bolsena

La settimana scorsa si è tenuta a Bolsena la Convergenza Internazionale sulla Permacultura. Una settimana intera dedicata all’incontro, al confronto, alla diffusione e alla condivisione di nuove idee e progetti da tutto il mondo. La permacultura si può definire come un sistema di progettazione per insediamenti umani ecosostenibili, fondati sulla centralità dell’agricoltura e su un’attenzione particolare al territorio. E’ un processo etico e consapevole che si ispira agli ecosistemi naturali e che mira a far star bene le persone, a rispettare il pianeta e a condividere le risorse. In sostanza, permacultura significa progettazione di un sistema umano (quindi anche una città e non solo campagna o agricoltura) che tenga conto del territorio in cui è inserito,  instaurando con esso una relazione di rispetto, di conoscenza, di scambio positivo. Una sorta, insomma di ecologia applicata nella vita di ogni giorno.

C’ero anch’io. Bolsena guarda il lago come fosse un po’ distante, perplessa, disinteressata. Appena arrivata ho avuto questa sensazione mentre passeggiavo sul lungolago verso il centro. Si respira un’aria come di ricchezza appassita, come di ordine stanco e inchiodato dal tempo. E’ bella l’idea: gli eventi sono sparsi per tutta la città. Come fosse una grande sala congressi vivente e pulsante. I nuovi modi e i nuovi pensieri volano dal centro alla periferia, dall’interno verso i giardini adiacenti al lago dormiente e indisturbato.

Bolsena è resistente o indifferente. Bella e curatissima nei suoi giardini incalpestabili, fatti solo per essere guardati. Ma non toccati. Il tripudio di ortensie fuori misura dai fiori passati e dalle foglie ancora forti, carnali, solo ripiegate dall’ultimo caldo, mi fa pensare. Le ville che si affacciano sul porto espongono ricordi anni 80 e 90. Di una vita come esclusiva, confortevole e appartata dal nastro isolante della rispettabilità, della famiglia, dell’agiatezza innata, della casta di appartenenza. Che non si discute né, d’altra parte, si percepisce. Perché non si percepisce l’esterno.

Il riversarsi di giovani provenienti da tutto il mondo colora la città ancora ignara, ma sono colori che si cancelleranno presto, alle prime piogge di settembre. Entro in un bar dove mi guardano perplessi alla richiesta di un estratto, mentre vicino ai coni gelato campeggia un cartello con scritto: NON ABBIAMO GELATO SENZA LATTE. Forse stanchi di ripeterlo…

Gli incontri e le conferenze continuano ostinati, sorridenti, leggeri come farfalle appena schiuse. Volano sulle passeggiate delle signore a fine carriera, delle moglimadri deluxe al tramonto delle loro villeggiature.

La sera, un amico mi invita a cena da gente del posto. Una casa splendida che affaccia sul corso, un giardino insospettato sul retro. Nascosto, rinchiuso, esclusivo, privatissimo, bellissimo. La sensazione che si respira è come di una calma indifferente, quasi annoiata. Come di protezione, di sottrazione, di sguardo che non può più accogliere sorprese, di separazione, di teoremi già ridimostrati.

Nessuno sa cosa sta succedendo in città. Nessuno si è accorto che un incontro internazionale sulla Permacultura si svolge a casa loro. Nessuno dei presenti sa che all’Auditorium, a pochi metri dalla porta di casa, un uomo che va in giro per il mondo a reidratare i deserti che con la nostra stoltezza abbiamo creato, ha detto che c’è una speranza per il nostro futuro. Nessuno sospetta che quell’uomo ha scoperto un modo, nessuno sa che ha nelle sue mani i semi di molte delle soluzioni che cerchiamo. Nessuno, intorno al tavolo traboccante di carne, sa che il bar sotto casa è diventato un’aula in cui un altro uomo ha scoperto una nuova relazione con gli animali e che crede che le api siano capaci di mostrarci la direzione. Nessuno sa. Nessuno si è accorto. Eppure la città è piena di gente scalza, la piazza è invasa dai gazebo, le sale sono piene di persone che vengono da fuori. Ci sono cartelli da tutte le parti, gruppi di giovani e non che si muovono alla ricerca del confronto, della sapienza e dell’esperienza degli altri.

Il cambiamento è come una malattia che rifiutiamo di guardare da vicino per non spaventarci.  E’ come chiudere gli occhi pensando che questo sia sufficiente per far svanire un pericolo. Bolsena, questa settimana, è stata l’emblema del mondo intero. Il nuovo è già dentro, è già vicino. Le soluzioni sono già a portata di mano. Ci sono persone, molte, già prontissime a condividere la loro nuova conoscenza, le loro intuizioni, la loro vita vissuta.  Ma noi non le vediamo. O non le consideriamo se non distrattamente, pensando che non ci riguardano. Esco di notte e sulla strada l’aria fresca del movimento. Ci sono le stesse persone di prima a parlarsi, a guardarsi, a sorridersi. Guardo la quantità di ragazzi che girano scalzi per le strade. Mi sembra un segno anche quello. Il Cambiamento non fa rumore, arriva senza farsi troppo notare, senza battere di tacchi, a passi leggeri, morbidi, silenziosi. Cammino sulla piccola spiaggia a notte fonda. Mi siedo a indovinare i contorni del lago e del buio che ci entra dentro. E penso a quante opportunità perdiamo ogni giorno per la paura di guardarci dentro e di scoprire chi realmente siamo.

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