Io sono più forte di te

Con quel legame che ci die’ comuni
ore di gioia ed ore di sconforto
anche un periodo della vita è morto
in quest’istante.

Ma non dobbiam però chinar la fronte.
Col ferro in pugno verso l’ideale
ci batterem con animo leale!
In alto i cuori!

Carlo Michelstaedter, “La scuola è finita!” (25 giugno 1905)

 

Io sono più forte di te. Sono queste le parole che rigurgitano quaggiù, da un anno a questa parte. Da quando, per intenderci, LLHT ha cominciato ad appassire. Ed io, inevitabilmente, con esso. Non mi sono mai scusato (perché non ho mai promesso nulla), ma la rassegnazione rasentava la resa.

Svuotato. E’ così che mi sono sentito da quel 12 luglio 2016, il giorno in cui per la prima volta varcai le porte dell’inferno. Il giorno che, più di ogni altro, ha cambiato la mia vita. Dentro e fuori.

Stamattina sono stato nuovamente al cimitero. In mezzo a una campagna immobile e muta di rugiada. Fresca. Protetta dall’argine. C’è stata un’altra prima volta, stamattina. Per la prima volta, stamattina, non ho pianto. Ed è forse solo per questo che adesso mi trovo qui a celebrare il principio di un nuovo distacco.

Ho guardato la foto di mio padre, statica ed estatica nel sole ancora giovane. Lui ha guardato me. Ad alta voce, ho sussurrato una preghiera (o era un’intenzione?). Si ricomincia. La colonna vertebrale sarà di nuovo imperiosa. Gli orizzonti, a portata di mano. Le cicatrici, pulsanti di forze inesplorate. La vendetta, vibrante di tensioni anzitutto interiori. (Perché la vendetta ha un suo valore, come ha recentemente sorriso uno strano maestro, mandato da chissà chi e da chissà dove.)

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Io sono più forte di te, sembra avermi sibilato dentro il Destino in questi venti mesi di abisso.

Non ci provare, Andrea! Non ci provare: io sono più forte di te, insinuava con minacciosa persistenza, mentre mille cose sono successe e duemila ne stanno accadendo. Le coltivo dentro… ma non basta. Le coltivo con la famiglia e i pochi Amici… ma è insufficiente. Le lascio riemergere… ma mi portano via. Lontano. Non oppongo resistenza. Io sono debole, ormai. Ostento orgoglioso le mie nuove fragilità. Ecco perché sono tornato.

Un padre scomparso improvvisamente a 66 anni, nell’inammissibile violenza dell’ennesimo episodio di malasanità è qualcosa di non coltivabile. Non qui, nel pressapoco del mio cuore. E poi altre insidie, nuove e pesanti coltri di nebbia sul nostro già barcollante cammino. Orizzonti di nuovo distanti e indistinti. Braccia lunghissime. Le sento. Le stendo. Le stanco. Tutto a me. A me tutto. Perché? Perché tutto insieme?

Perché tu mi hai sfidato, Andrea. Hai imboccato vie che non avevo previsto per te. E io ti sto quindi mostrando chi di noi due è più forte…

E allora è accaduto così, senza che quasi me ne accorgessi. E’ accaduto che stamattina, davanti a quel marmo, per la prima volta non ho pianto. Ma non solo. Ho capito che sarei tornato a Essere ciò che stavo diventando. Perché LLHT è emerso dalle ceneri della mia vecchia vita, prendendo per mano quella nuova. E perché i grandi ostacoli preannunciano sempre le grandi imprese. Non ne potevo più del mio rassegnato silenzio. Lo detestavo. Tanto, prima o poi, da qui passerà nuovamente tutto. E’ una consapevolezza per certi aspetti newtoniana: prima o poi, la mela si sarebbe staccata dal ramo. Gravidi di gravità come siamo, non era più credibile illudersi del contrario. Il peso ci trascina verso il basso. Il cuore, verso spazi incomprensibili.

E allora eccoci di nuovo qui. Pronti per missioni impensabili. Convinti di farcela. Perché, come è sempre stato, come è e come sarà per ciascuno di noi (se solo ce ne accorgessimo…), conteniamo moltitudini.

E soprattutto perché… io sono più debole di te.

(E adesso… come la mettiamo?)

rebirth

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