Articoli non in vendita

DeAndrè

Fabrizio De Andrè (1940-1999)

Vi consiglio di saltare direttamente al punto in questione (cliccando qui). Oppure, se volete ascoltarla integralmente sullo sfondo, mentre proseguite nella lettura, potete cliccare qui. In ogni caso “Carlo Martello” – oltre ad essere un capolavoro assoluto – è secondo me anche un capolavoro di pertinenza e di perfezione, relativamente alla notizia di oggi, la sentenza cioè che ha condannato in primo grado Silvio Berlusconi a sette anni di reclusione e lo ha interdetto per sempre dai pubblici uffici:

“Beh, proprio perché voi siete il sire
fan cinquemila lire:
è un prezzo di favor!”
“E’ mai possibile, o porco di un cane,
che le avventure in codesto reame
debban risolversi tutte con grandi puttane?”

A me non interessa se la sentenza sia giusta oppure no. Saranno i prossimi due gradi di giudizio a stabilire se Silvio Berlusconi si sia macchiato oppure no delle colpe che gli vengono attribuite. Questo post non ha come oggetto il Berlusconi-imputato. Nè il Berlusconi-imprenditore.  Nè, tantomeno, il Berlusconi-politico.

L’oggetto di questo post è invece il Berlusconi-uomo. O, almeno, quel poco di umanità che – in quel corpo – è forse rimasta. E mi chiedo, quindi:

Sentendo pronunciare quelle parole (“sette anni di reclusione” e “interdizione dai pubblici uffici”), quell’uomo sarà stato percorso per un attimo – un unico, inafferrabile attimo – da una sola, piccola, istantanea sensazione di… rimorso? Sarà stato trafitto, per un infintesimale e sfuggente istante, dall’ammissione di avere (almeno quell’unica volta) esagerato, credendo di poter comprare e poter consumare tutto?

Nella mission di LLHT, ricordiamolo, c’è l’educazione al rifiuto dell’ipnosi consumistica, quale principale minaccia postmoderna all’equilibrio armonico tra Uomo e Natura. Ebbene, Berlusconi incarna da sempre, in Italia e nel mondo, la sfacciataggine e l’arroganza del neoliberismo mercantile, in tutte le sue sfaccettature sia economiche che morali. Egli è l’emblema assoluto, incontrastato e (fino a oggi) incontrastabile di una morale che si arrende al Potere Politico e – nel suo specifico caso – al potere… d’acquisto: l’aberrante etica che quell’individuo rappresenta è l’etica perversa dell’onnipotenza del denaro e, indirettamente, della sua gigantesca – e assai più presentabile – foglia di fico: il libero mercato.

not for saleA me non interessano i finti moralismi. Non mi interessano le pompette, i travestimenti da suora, i diecimila euro mensili a un consigliere comunale che sfila in passerella, il presunto reclutamento di ragazze minorenni, i condomìni delle prostitute, i loro condòmini o i… mini-condom che si portavano dietro a Palazzo Grazioli. Non mi interessa nulla di tutto ciò che domani occuperà le prime pagine dei quotidiani nazionali. Non mi interessano le ripercussioni politiche di questa vicenda, o ciò che faranno domani i mercati in Italia. Non mi interessa la sospensione del titolo Mediaset in borsa. Non mi interessano le parole della Santanché o quelle di Enrico Letta. Non mi interessa ciò che interessa agli altri…

Mi interessa, invece, quell’uomo. Poiché quell’uomo, oggi, rappresenta il simbolo scalfito del neoliberismo più spregiudicato. E, con esso, di uno stile di vita costantemente ispirato al delirio di onnipotenza. Delirio che, in misura forse minore, ma con altrettanta determinazione, riguarda tutto l’Occidente. Mi interessa quindi illudermi che, mentre il giudice Giulia Turri pronunciava quelle sei parole (“pena di anni sette di reclusione”), la testa dell’uomo più potente d’Italia sia stata attraversata – per un solo, fugace istante – da quella inconfessabile constatazione:

Quanto mi è costato…

Quanto le è costato, signor Berlusconi? QUANTO? Su, ce lo racconti. Ci dica il prezzo! Ci spieghi che cosa si prova scoprendo che, questa volta, il rimorso non può esser cancellato. A nessun prezzo! NESSUNO! Quanto costa, quel rimorso? Che prezzo sarebbe disposto a pagare, adesso, per cancellarlo? Perché… la sa una cosa? Non si può! La cancellazione di quel rimorso… non è in vendita!

Separatore

Per quel che mi riguarda, ci tengo infine a precisare che la colpa più grande di cui si è macchiato quest’uomo – una colpa che non meriterebbe sette anni di carcere, ma settanta! – è l’abuso di credulità popolare. E non mi riferisco alle promesse da imbonitore. Non mi riferisco all’IMU restituita, al milione di posti di lavoro, ai ristoranti pieni e all’economia in ripresa. Mi riferisco a una cosa sola, a quando cioè, in campagna elettorale, ha provato a illudere alcuni italiani (speculando sul loro dolore e sulla loro ingenuità) che, votando per lui, sarebbe stato più facile sconfiggere il cancro:

Per questo, più che per qualsiasi altra cosa, quell’uomo meriterebbe di marcire in un carcere! Perché neanche la nostra memoria è in vendita…

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13 risposte a “Articoli non in vendita

  1. Sono sincero: vedere Berlusconi condannato in primo grado per concussione e prostituzione minorile per chi, come me, e’ anti-berlusconiano dal lontano 1994, e’ stata una soddisfazione impagabile.

    Pero’ e’ una soddisfazione con un retrogusto dolce-amaro: e’ un po’ come andare a vedere un film che hai gia’ visto e ne conosci gia’ il finale: tutti quanti se lo godono, perche’ non conoscono la trama, ma tu no, perche’ sai gia’ come va a finre.

    Anzi, peggio ancora: non puoi raccontare agli altri il finale, perche’ li disturberesti e saresti zittito, umiliato, allontanato dalla sala tra i fischi e le proteste del pubblico.

    Conoscendo il personaggio, il finale era scontato.

    Ecco: oggi io mi sento un po’ cosi’: come una moderna “Cassandra”, non creduta ed emarginata.

    Mi consolano le parole del grande Battiato, che descrive perfettamente la situazione:
    “Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene. Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni! Questo paese è devastato dal dolore…”

    • Ciao Marco-Cassandra. 😉
      Innanzitutto, BENVENUTO su LLHT! Mi auguro che il tuo intervento sia il primo di una lunghissima serie…

      Quanto al contenuto, credo di capire quello che provi: sotto molti aspetti anche io – quando tanti anni fa “pronosticai” (più a me stesso che ad altri, per la verità) che questo ordine delle cose non sarebbe potuto proseguire all’infinito – mi sentivo anch’io una specie di predicatore nel deserto. Ma non fa nulla, dai: l’intima soddisfazione, poi puntualmente suffragata dalla realtà, per aver avuto ragione (e per primi) credo che possa compensare qualsiasi incredulità.

      Ciao, a presto

  2. Caro Andrea, ho scoperto un articolo del nostro vicino di casa, esperto di agricoltura, Antonio. Vorrei sottoportelo e vorrei che tu mi dicessi cosa ne pensi. Parla di agricoltura ma anche di informazione. Lo trovi su channel giannella. L’informazione è sempre più dubbia!

    • Ci do un occhio sicuramente, Giovanna. Intanto ti pubblico il commento, limitandomi a cancellare il cognome del tuo vicino (meglio non far comparire sul web nomi di altre persone, a loro insaputa). Ciao e grazie. Andrea

  3. Sarò spietato, ma non mi interessa nemmeno l’uomo.

    Pensare a quanto è in fondo breve il passo che separa l’uomo dal subumano, questo mi preoccupa. Pensare a quanto è facile – senza malanimo, ma solo per un momento di superficialità – superarlo; da parte di chiunque, me compreso ovviamente. Questo mi spaventa.

    Berlusconi è solo la parte marcia che è in tutti noi (Gaber, altro grande, recitava: “Non mi fa paura Berlusconi: mi fa paura il Berlusconi che è in me”) e che dobbiamo essere in grado di tenere a bada, se vogliamo esser capaci di guardarci sempre allo specchio.

    Quanto al “abuso di credulità popolare”, mai sentito parlare di “Sindrome di Stoccolma”? Errare è umano, perseverare diabolico; continuare a perseverare – aggiungo io – è idiota.

    Chi ha votato Berlusconi ha votato la parte marcia di se stesso, essendone cosciente; almeno nel profondo. Dopotutto è questo il nocciolo della “democrazia rappresentativa”: si sceglie chi ci rappresenta, ma nel senso più completo del termine, il consenso giocandosi non sull’adesione ai contenuti proposti, ma sull’identificazione col candidato.

    Fessi, forse. Ma sotto sotto invidiosi e per questo complici. E fra le due cose non so quale sia peggiore.

  4. Per quanto lui passi (e in parte a ragione) per scrittore di ultradestra, io continuo ad avere in mente una frase di Ezra Pound, “Il tempio è sacro perché non è in vendita”. Quanti valori assoluti abbiamo svenduto per un frigorifero, un attico con poggiolo, una lavatrice, magari comprati di domenica? Il Berlusca non verrà mai condannato al terzo grado poiché noi cittadini abbiamo una giustizia troppo lenta e lui troppi avvocati. Perdonate il pessimismo.

    • Non è questione di pessimismo, Marco. Anzi. Apprezzo moltissimo il tuo intervento (di raro spessore, credimi).
      Quanto alla citazione, come dico da sempre, le etichette “di destra” e “di sinistra” non mi fanno né caldo né freddo, considerando io queste due categorie del pensiero ormai sepolte dall’attualità, prima ancora che dalla storia…
      Inoltre, proprio Ezra Pound – se non ricordo male – è l’autore di una delle massime che cito più spesso e volentieri, poiché la considero di un’attualità e di una potenza sconvolgenti:

      Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o non valgono niente le sue idee, o non vale niente lui.

      Ciao!

  5. Rimorso? Quale rimorso? E soprattutto per cosa? Mi spiace ma credo che pensare che quel sentimento possa attraversarlo anche solo di striscio sia molto lontano dalla realtà. Non si può essere attraversati dal rimorso quando si crede profondamente di essere nel giusto, quando si pensa di poter fare tutto, sempre, come, dove e con chi si vuole.

    E’ una cultura, una mentalità, un modo di vivere e credo che ne sia profondamente convinto. Il rimorso implica conspevolezza della responsabilità. E per fare questo ci vuole una certa capacità di autoanalisi profonda. Se, alla sua età, facesse questo, crollerebbero tutte le fondamenta su cui ha basato la sua vita con conseguenze personali, interiori catastrofiche.

    In ogni caso, sono fondamenta sulle quali (con le dovute proporzioni) si basano moltissimi italiani: quelli che lo hanno votato, quelli che lo invidiano, quelli che vorrebbero essere come lui. E sono tanti.

    • Ciao Marica,
      nella risposta a te, includo anche quella a Sara e a Stefano (che spero mi perdoneranno).
      Tutto, mi sembra, orbita intorno alla parola “rimorso”: ci ho pensato a lungo – sapete? – prima di usarla. E’ che, molto banalmente, non ne ho trovate di migliori. Forse, c’era “irreparabilità”. Ma non rendeva pienamente l’idea: non era sufficientemente… fatalista.

      Il rimorso è relativo a qualcosa che si è fatto e che non si sarebbe voluto fare.
      Il rimpianto, invece, a qualcosa che non si è fatto e che si sarebbe voluto fare.

      E’ evidente allora come, dei due, solo il primo si riferisca alla questione in oggetto: quanto sarebbe disposto a pagare, il soggetto in questione, per poter rimettere indietro le lancette dell’orologio a quella serata e… non aver fatto quella telefonata alla Questura di Milano, inducendo – anzi: costringendo (come recita la sentenza) – il capo di gabinetto a liberare la prostituta minorenne trattenuta per furto, inventandosi che fosse la nipote di Mubarak?

      Nella sua tragica semplicità, questa telefonata (il cui testo è liberamente consultabile sul web da chiunque) dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, come le sceneggiate dei Giuliani Ferrara, gli equilibrismi dialettici di politici amici e finti-avversari, le dotte dissertazioni giuridiche di giornalisti-pennivendoli e avvocati-vassalli, siano solo fumo negli occhi per distrarre l’opinione pubblica da quella che è, e che resta, una ovvia e banale verità: quell’uomo (come peraltro aveva anticipato la ex-moglie in una memorabile lettera a Repubblica) si circonda da anni di ragazzine a pagamento e, scivolato su una buccia di banana, ha probabilmente tentato di comprare silenzi e finte verità per farla franca. Non serve essere Sherlock Holmes: sono sufficienti solo un pò di buon senso e di buona fede.

      La sentenza di ieri ha “solo” dato rigore giuridico a buon senso, buona fede e – aggiungo – buon gusto.

      E’ infine altrettanto ovvio – spero di averlo trasmesso chiaramente nell’articolo – come la sensibilità di quell’individuo sia del tutto estranea a qualsiasi implicazione “morale” ascrivibile al concetto di rimorso: nel suo caso, il rimorso avrebbe avuto (e sono convinto che effettivamente abbia avuto) esclusivamente una valenza “opportunistica”; certo non “etica” (o “morale”, che sono sinonimi).
      In altre parole, credo sia fin troppo evidente come all’ex-premier non importi un accidente delle ripercussioni che tale vicenda (tale “rimorso”) potrebbe avere sulla sua coscienza: può, infatti, un vanesio narcisista come lui porsi problemi di coscienza? Lui, in qualità di massima e perversa espressione del delirio di onnipotenza indotto dall’applicazione seriale dei dogmi del libero mercato, può infatti solo valutare la realtà in termini di profitto o di mancato profitto.
      Ed è proprio per questo, ma esclusivamente in termini opportunistici, che mi chiedevo se – per un solo, fulmineo istante – si fosse domandato quanto gli fosse costata quella leggerezza. E mi piace (cinicamente, lo ammetto) illudermi che, almeno per una volta nella sua vita, si sia scontrato contro l’iceberg della “non comprabilità” di qualche cosa!
      Come, appunto, la possibilità di rimediare ad un proprio errore (da cui, il titolo del post).

      Ciao, a presto

  6. Non ho seguito le notizie stasera e non seguirò i commenti domani ovviamente…ma tirato un sospiro di sollievo. E solo per un attimo. Perché poi inizia la confusione italica dei pro e contro. Sarei d’accordo con te di valutare l’aspetto umano dell’imputato, ogni essere umano lo merita. Ma questo è il mondo alla rovescia: l’imputato è un perseguitato, non si aspettava una sentenza così…ricorrerà…rimorso Andrea? Quant’è costato? No, non lo sfiora questo pensiero. Non c’è peggior sordo, ricordi? E poi c’è mezza Italia che lo difende. Non è cambiato nulla dal 1943, ci sono due italie che non si capiscono e non lo vogliono. Odio ascoltare chi lo difende ma aborro anche chi lo depreca: in questi anni antiberlusconismo ha preso il posto della buona politica con i risultati che vediamo. E non ditemi che sono pochi quelli che lo sostengono perché allora ditemi dove vivere ed emigro subito (dalla malsana pianura padana) ps letto doc sull’infanzia?

    • Ciao Sara,
      in merito alla prima parte del tuo commento, ti inviterei a leggere la risposta a Marica, in cui “comprendo” anche il tuo intervento e quello di Stefano.

      Quanto invece al tuo “ps”, certo che l’ho letto! Subito dopo la tua segnalazione, anzi!
      Che dire? Una triste – direi quasi “lugubre” – declinazione del destino che ci attende, focalizzata sul mondo dei bambini. Purtroppo, ero già a conoscenza di molte delle classifiche che vengono riportate, principalmente quelle sulla scolarizzazione. E’ paradossale, credo, vantarci di uno dei sistemi universitari più invidiati al mondo (i nostri laureati, in giro per il mondo, sono richiestissimi) e registrare al tempo stesso una delle più basse percentuali di giovani laureati in Europa. Per non parlare di tutti gli altri indicatori, che delineano prospettive nefaste per la capacità del nostro territorio di accogliere, sviluppare e formare i nostri figli.

      Ha quindi senso, oggigiorno e in Italia, mettere al mondo un figlio? E’ un tema delicatissimo, sul quale ho idee piuttosto chiare e che – per ragioni di spazio e di tempo – non voglio affrontare qui e adesso.
      Spero ti basti sapere che – anche prescindendo dalle condizioni socioeconomiche della famiglia di origine – ho la radicatissima convinzione che mettere al mondo un figlio oggi sia un atto che non esito a definire eroico. I condizionamenti che l’attuale società liquido-moderna impone sia ai figli che ai genitori, sono oggi IMMANI e – credo – scarsamente sostenibili con efficacia, a meno di potersi dotare di un sistema di valori univoci, chiari, non scalfibili dal contesto e che – per questo motivo – possono trovare terreno fertile solo in contesti sufficientemente impenetrabili e, per questo, appartati.
      Ma ripeto: il tema è delicatissimo, in quanto tocca corde dell’animo umano e sensibilità che sono anche molto diverse da persona a persona.

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