Spero che mi perdonerete se, per una volta, darò una risposta agli interessanti contributi che avete fornito al post precedente, pubblicando un nuovo post. Spero anche sia inutile specificare che non lo faccio assolutamente per evitare di mescolarmi ai commenti, anzi. Lo faccio, al contrario, per due motivi:
- Innanzitutto proprio per comunicare, a quei lettori (spero pochi) che vengono su Low Living High Thinking principalmente per leggere i post di ultima uscita, che molto spesso (per non dire sempre) le repliche agli articoli, per la qualità e per lo spessore dei contenuti, fanno impallidire lo stesso post che li ha stimolati. Questo è, infatti, uno di quei casi.
- Dare il giusto risalto alle citazioni che farò fra poco e che, proprio per la loro dirompente autorevolezza, avrebbero rischiato di passare inosservate a una gran parte di voi.
Prima di proseguire, dunque, vi inviterei a leggere le risposte che alcuni di voi hanno dato al post precedente.
Aggiungo quindi alla discussione una storia che ha dell’incredibile: il 23 aprile 1982, in un discorso al People’s Forum Hope, Ivan Illich ha illustrato una efficacissima forma di protesta sociale. Nell’inverno precedente – raccontava – in una imprecisata città tedesca, si poteva assistere con una certa frequenza a una singolarissima manifestazione: in vari momenti della giornata, e per vari giorni alla settimana, alcuni gruppi di persone si riunivano all’aperto per… restare in silenzio:
[…] Restavano in piedi, silenziosi, al freddo, muovendosi un poco per scaldarsi di tanto in tanto. Senza dire una parola e soprattutto senza rispondere ai commenti e alle domande dei passanti e di qualche giornalista attirato dalla curiosa iniziativa. Alla fine dell’ora, se ne andavano in silenzio. Questi dimostranti silenziosi facevano in modo di non disturbare il traffico delle auto e dei pedoni. Erano vestiti in modo normale. Solo uno o due di loro, di solito, portava un cartello che indicava la ragione della loro presenza. […]
Io stesso ho partecipato a quei gruppi silenziosi. Il silenzio di un gruppo di persone così, parla con una forza e una chiarezza irresistibili. E’ un silenzio che urla, comunicando un orrore inesprimibile. […] Quei gruppi di dimostranti silenziosi rappresentavano una provocazione sia per i “falchi”, sia per tutto il campo delle “colombe”. I partecipanti al rituale si impegnavano a non dire una parola e a non rispondere ad alcuna domanda.
Una volta un passante, irritato, ha cercato di coinvolgermi nel dialogo per una buona mezz’ora. Era un sostenitore del disarmo nucleare, tanto convinto quanto lo sono io; ma, a suo modo di vedere, il silenzio non era il modo giusto per difendere le nostre convinzioni. Sul momento non potevo però rispondergli.
Alla fine della conferenza – e capirete così perché ritengo sacrosanto considerare Ivan Illich un GIGANTE della contemporaneità – aggiunge:
Il peso delle mie argomentazioni dipende dalla mia competenza in una materia complessa e la mia credibilità dipende dalla mia posizione sociale. Il dibattito pubblico – specialmente nella società odierna, dominata dai mezzi di comunicazione di massa – è inevitabilmente gerarchico. Ma così non è per un silenzio eloquente e razionalmente motivato. L’esperto più esperto e intelligente può servirsi del silenzio come la sua ultima parola. […] Mi rendo conto che il silenzio contiene la minaccia dell’anarchia. Colui che resta in silenzio è ingovernabile.
Ecco qua. Adesso avete imparato che il cosiddetto popolo del web non si è inventato neanche i flash-mob! 😉
Ora: io non ho la più pallida idea se sia più giusto, più sano e più costruttivo “urlare”, come io stesso feci in quel vicolo di Bologna (in fondo, per un futile motivo), o se sia invece più efficace starsene in silenzio. So però un paio di cose, molto importanti:
• Che, dopo essermene stato zitto per circa vent’anni della mia maggiore età, adesso ho deciso di farmi sentire;
• Che, come argomenta lo stesso Illich, il silenzio – se platealmente ostentato – può diventare molto più fragoroso di un urlo.