Aspettarsi che gli esseri umani decidano di cambiare vita principalmente sulla scorta di valutazioni razionali basate sulla conoscenza dello stato delle cose è una illusione pia e pericolosa. Possiamo accarezzarla fino al momento dello schianto finale e sentirci per questo assai nobili, ma in questo modo saremo utili solo al nostro amor proprio.
Se invece a motivarci è un amore che va oltre quello per le nostre idee, anche nell’ambito delle scelte di vita, potrebbe giovarci accettare che la mente umana ha due sistemi diversi: conscio, seriale lento ed esplicito il primo; inconscio parallelo, veloce e limpido il secondo. E che è il secondo a prevalere nella presa di decisione, soprattutto quando le sicurezze vengono a mancare.
Non sono io a dirlo, ma Daniel Kahneman, psicologo “vincitore, insieme a Vernon Smith, del Premio Nobel per l’economia nel 2002 «per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza».” [Wikipedia]
Chiunque aspiri a modificare lo stato delle cose, magari favorendo il cambiamento con l’informazione e/o la formazione, dovrebbe avere questa coscienza: il cambiamento è tanto più efficace, quanto più viene elaborato attraverso un costruttivo dialogo fra razionalità ed emozioni.
Mi spiego meglio: le idee, tutte le idee, perfino le migliori hanno bisogno di essere “vendute”, per diffondersi oltre i confini delle élite che le promuovono. Possiamo fornire tutte le informazioni del mondo a un mondo che di informazioni è sommerso, ma fino a quando non saremo capaci di conquistarlo ANCHE con la potenza delle emozioni saremo sempre un passo indietro rispetto a quanti ogni giorno, attraverso le emozioni, vedono con successo realizzati i propri piani di conquista della mente collettiva.
Dovremmo imparare a “vendere” un po’ di più le nostre idee. Quelle degli “altri”, della crescita infinita, del lavoro qualunque purché retribuito, della sicurezza in cambio della felicità, mi sembra che siano già vendute benissimo e con sistemi raffinatissimi, studiati per comunicare direttamente con il secondo sistema della nostra mente, quello inconscio e irrazionale. Quello che prende tante decisioni.
Nel blog dell’Ufficio di scollocamento di Torino sto pubblicando una serie di articoli sui “livelli del cambiamento”. Credo infatti che il tema sia complesso e richieda più strumenti di riflessione possibile. Quindi, proprio rivolgendomi al secondo sistema della mente umana (quello che si basa meno sulle cognitive e più sulle emozioni), d’accordo con Andrea propongo volentieri il riferimento ai due articoli che ho dedicato ai primi due livelli del cambiamento.
Buona lettura e grazie dei vostri eventuali commenti.
Flavio
Downshififting, scollocamento, cambiare vita: livello 1
Downshififting, scollocamento, cambiare vita: livello 2
Ho letto e riletto con attenzione il post di Flavio e l’ho trovato interessante. Non vedo nessuna contraddizione con i principi della decrescita e dello scollocamento e lo ritengo rispondente all’esigenza di diffondere le idee alte che stanno dietro a questo concetto. Credo, a mio avviso, che manchi la diffusione trasversale e capillare del messaggio della decrescita. Se per raggiungere un maggior numero di persone e’ necessario vende l’idea come fosse un prodotto, perche’ no? Io l’ebook di Andrea lo comprero’ perche’ do valore alle idee.
Francesca.
Solo una precisazione: non è stato affatto il principio della commercializzazione delle idee, ad avermi infastidito nell’intervento di Flavio, ci mancherebbe! La qualità, quando c’è, è giusto che abbia un prezzo.
Quello che ho trovato, diciamo… sorprendente, è stata piuttosto una presa di posizione – secondo me inutilmente aspra – contro l’efficacia e l’elitarismo di una comunicazione basata sulle cognitive, proprio in un luogo che fa di questo approccio la sua principale cifra espressiva.
A scanso di equivoci, ci tengo a dire che, dopo avere (anche pubblicamente) incrociato le spade, tra Flavio e il sottoscritto è tutto ok. Semplicemente, d’ora in poi procederemo su binari paralleli. Forse, è la soluzione migliore. Ciao.
Rispondo solo perché vedo che mi si continua a tirare in ballo. Ora diciamo cosa a me ha dato fastidio, mi pare equo, a questo punto: che l’autore di questo blog abbia letto il mio post come una critica “aspra” al suo approccio all’informazione, che io invece ho già dato prova in innumerevoli circostanze di apprezzare non molto ma moltissimo. Che egli abbia in qualche modo a me incomprensibile considerato il mio un post in contrapposizione al suo modo di fare comunicazione che è invece appassionato molto più di quanto lui stesso ravvisi (e quindi a me molto caro) e decisamente più pubblicitario e markting oriented di quanto pensi ( e lo dico in senso buono, sia chiaro una volta per tutte!).
Mi pare che un maggiore distacco sarebbe stato opportuno.
Elite è una parola che ha diverse connotazioni, non solo quella che si è deciso di scegliere. Quando si rappresenta un fronte di persone più consapevoli e informate della media, che si voglia o no, a una élite si appartiene. Per quanto mi riguarda questo può essere anche un vanto. Non necessariamente, basta scegliere. Ma può esserlo. Così come si può scegliere di leggere il mio post senza attribuirmi intenzioni che io non ci ho messo.
Quindi sia chiaro, per una correttezza che pretendo, che la lettura che dà Andrea del mio post è sua e solo sua. Il mio voleva essere uno sprone a metterci tutti in discussione e a interrogarci su come comunicare sempre meglio certe scelte di vita. Si è invece trasformato in… cosa?! La difesa di principi che io pratico da tutta la vita e come me tanti altri? Non ho bisogno che mi siano sbandierati, grazie. Le cognitive vanno benissimo, il blog va benissimo, va tutto benissimo. Attribuirmi intenzioni che non mi appartengono e scriverci un post? No, meno bene. Tra l’altro in quel post leggo che non avrei letto la risposta di Andrea, perché propongo un atteggiamento “et atque”. Solo che, di nuovo, io non lo proponevo all’autore di questo blog, la cui risposta avevo letto e assimilato.
Oltretutto il punto era stato chiarito anche la sera prima, in via privata, quando avevo dichiarato di considerare l’approccio più oggettivo e quello più soggettivo COMPLEMENTARI. Quindi, dato il mio assenso, ritenevo ovvio che proponendo un atteggiamento “et atque” non mi rivolgevo all’autore del blog ma alla comunità dei lettori. Invece di nuovo mi si taccia di riferirmi a lui. .. con un post niente meno! Eppure al centro della mia attenzione non c’era affatto (per la seconda volta) lo stimabile Andrea. Io di solito se voglio dire qualcosa a qualcuno, uso nome e cognome.
Detesto aver dovuto scrivere questa manfrina, ma ho sentito che mi si stessero attribuendo significati che sono totalmente fuori da ciò che ho scritto e da ciò che sono. Si rilegga il mio post e mente limpida e neutra, come mi pare che abbia fatto Francesca (grazie) e forse tutto questo sciocco esercizio di dialettica si sgonfierà come meriterebbe. Andrea, ti auguro di vendere il tuo ebook, di venderne tante copie. E anche di essere fiero di venderlo, di esserne felice. Anche perché incontrerai gente che ti criticherà per aver osato dare un valore economico a quello che sei, sai e hai il coraggio di portare avanti. Io non sono fra questi.
Cari, amici, caro Andrea. Voglio ringraziare tutti per i commenti. Il mio ultimo articolo su questo blog, perché dell’ultimo si tratta in tutti i sensi, ha avuto l’effetto di innescare molte emozioni, come prevedevo. Non è mia abitudine dover filtrare e modificare le mie parole per non risultare sgradito o pungere la sensibilità di alcuno. Se s’ha da pungere si punga. Che però succeda anche quando non c’è alcuna volontà di farlo mi dà da riflettere.
Sarebbe un pessimo servizio alla causa che da tempo mi impegno a sostenere con il mio coinvolgimento personale (quello della consapevolezza e delle scelte di vita consapevoli) se adesso accettassi di smussare le mie opinioni perché parole come “vendere” vengono associate a tutto un mondo di orribili esperienze alle quali non appartengo, mentre per me significa solo essere talmente appassionati a qualcosa da ingegnarsi in tutti i modi per far sì che qualcuno lo senta, lo comprenda, lo accetti, lo desideri (un po’ come quando si è innamorati).
Io uso con disinvoltura ogni genere di concetto senza sentirmene inquinato, perché ho sempre vissuto al di fuori di certi schemi. Mai stato manager, sempre operato in piccole realtà scelte con cura, mai guadagnato tanti soldi, anzi quasi sempre pochi, sempre evitato di entrare in certe dimensioni dove il potere c’è e si respira. Personalmente mi capita anche di frequentare di striscio uomini di potere, ma con loro uso la stessa schiettezza che ho qui. Entro in luoghi in stile “Grande bellezza” facendo spallucce e ridacchiando, con lo zainetto in spalla.
Una schiettezza che non può sempre piacere. D’altro canto era anche un po’ previsto. Io non amo salire in cattedra e rispetto troppo il valore dell’indipendenza per intavolare adesso una discussione sulla differenza fra vendere e turlupinare, fra marketing e linguaggio ipnotico o cosa significhi gratuità o in quanti modi diversi si possano manifestare l’umiltà e l’arroganza, il coraggio e la paura.
La mia mission e quella di LLHT di fatto NON sono la medesima.
Se rispetto la mia, io sono più felice di un bambino. Altrimenti, qualcosa non torna.
Sono felice e commosso di avere tirato fuori le tue emozioni, Andrea, come tu mi scrivi privatamente poco fa ringraziandomi (permettimi solo questa indiscrezione riguardo ai nostri messaggi privati).
Fare questo pezzo di strada con LLHT, che continuerò a leggere, è stato un onore e un piacere.
Ammesso che interessi a qualcuno, questo è l’sms che ho mandato a Flavio, dopo il suo in cui mi comunicava la sua decisione:
O, chissà, per fortuna.
“C’e’ ancora molta strada da fare, amici. Forse troppa.”
Mi rendo ogni giorno di piu’ che quando parlo delle mie scelte, per la maggior parte dei miei interlocutori, sembrano follia allo stato puro.
Il fatto di dover ‘vendere’ le idee puntando sulle emozioni, era parte dei vari corsi a cui mi hanno fatto partecipare da manager e non nascondo che mi ha deluso leggere questa affermazione qui, in un ambito che dovrebbe stare fuori dalle logiche di quel mercato che ho voluto fortemente allontanare.
A mio parere c’e’ da fare una distinzione tra le emozioni create su scenari progettati per creare ‘discepoli’ incatenati e le emozioni che si basano su un libero e autentico sentire. E non so quante persone abbiano ancora sperimentato il secondo ‘sentire’, cosi’ abituate a rispondere con emozioni a precisi stimoli controllati.
Immagino non si parli di questi stimoli, ma come dice Marica, il rischio e’ di ripetere lo stesso gioco solo con premi diversi per burattini e non esseri liberi.
MrsM
Poveri noi, qui si continua confondere il metodo con il fine. Si ha paura del rischio, come se non fosse inevitabile. Il rischio di cosa? Di commettere errori? Be’, li commetteremo, è pressoché inevitabile. Ma il bilancio sarà positivo o negativo? Si dà la responsabilità agli altri delle emozioni che ci avrebbero fatto provare. Si pensa che sia tutto da gettare, generalizzando. Discepoli incatenati? Dove? Io vedo discepoli volontari. Vedo persone che vendono le loro idee meglio a persone che comprano, comprano, comprano. E quelli che una volta compravano e ora hanno una crisi di rigetto spesso pensano che la colpa sia di quelli che sono stati persuasivi. Ma quando mai? Non ci eravamo attrezzati per ribattere, eravamo indifesi. E la responsabilità era tutta nostra.
Di che cosa stiamo parlando? Io questa solfa da “noi liberi, loro burattinai” non me la bevo più. Nel mondo decrescente/scollocando o come lo vogliamo chiamare, dovremo affrontare gli stessi snodi delle vite precedenti, solo traslate su un sistema diverso. Ma davvero pensate che i personaggi chiave dello stile low living, che spesso ammiriamo tanto, non siano straordinari venditori di se stessi e delle loro idee high (non mi riferisco a questo sito)?. E davvero pensate di non averle comprate anche per moto emotivo?
Su…
Credo ci sia un piccolo misunderstanding, io non ho ‘comprato’ le idee del downshifting, mi ci ha tirato dentro il mio corpo quando mi sono ritrovata strattonata a destra e sinistra in meeting, pianificazioni, strategie di cui non me ne poteva fregare di meno, dove scoprivo e intuivo un secondo fine che non era per nulla legato al benessere di nessuno se non degli investitori che seduti beatamente in cima ad una poltrona vedevano mille formichine correre per accaparrarsi una poltroncina in uno sgabuzzino senza finestre, dimostrazione che si era diversi dagli altri che vivevano in un openspace. Mi ci ha portato il mio corpo dopo che ho sofferto di ernie e sciatiche da cui non guarivo, quando mi sono ritrovata a viaggiare un’ora dopo su un treno di ‘commuters’ che diligenti ripetevano gesti istruiti quotidianamente per uno salario che permettesse loro di acquistare cose (cose!) e io godevo della luce del sole per la prima volta dopo mesi, perche’ quel lavoro mi faceva uscire di casa alle sette del mattino e rientrare alle sette e mezza di sera (quando mi andava bene). Mi ci ha portato il mio cuore quando mi sono resa conto di aver assecondato e aver svenduto la mia liberta’ per uno stipendio da sogno che mi stava rubando il tempo, avevo barattato il mio tempo prezioso per soldi.
Ecco nessuno libro e nessuna filosofia mi ha portato a vivere a molte di piu’ che una marcia in meno, a prendere decisioni che sono sembrate folli a tutti, tranne che a mio marito che ha capito benissimo cosa stava succedendo. Solo dopo, dopo aver fatto quelle scelte e aver scoperto e smascherato il meccanismo che mi stava avvelenando, ho scoperto che Tiziano Terzani in tempi non sospetti parlava di questo nei suoi libri e ho scoperto che esisteva il downshifting (testi letti nel tempo ritrovato dopo il licenziamento)..e ho scoperto che in altri avevano percepito il mio stesso disagio e le mie stesse esigenze di vivere con un significato che andasse oltre uno status simbol, del possedere cose e poter avere un titolo che ti contraddistingue. Solo dopo che ho spiegato la mia scelta con “prima guadagnavo il doppio e vivevo la meta’, oggi guadagno la meta’ e vivo il doppio” ho scoperto che prima di me c’era chi aveva gia’ previsto tutto questo…..
Quindi nel mio caso, non sono state ne’ la crisi ne’ libri illuminanti, ma l’esigenza di vivere in salute e piu’ in sintonia con ritmi umani e non di accontentarmi di sopravvivere imbottita di antidolorifici.
Non date per scontato che tutto si compra con le emozioni, in molti scelgono perche’ sentono qualcosa dentro che non va e si mettono in discussione. In questo dico, non ‘vendete’ idee per creare discepoli, non mi ci riconosco in questo sistema, ma piuttosto in una condivisione di esperienze.
ora vado a fare il pane va…ve ne mando una pagnotta appena possibile! 😉
Cari amici, vi propongo di abbandonare lo schema di pensiero aut aut e ti aderire al modello et atque. E la ragione e le emozioni. Usare bene entrambe e non immaginare che la ragione sia il frutto di un lavoro certosino e nobile mentre le emozioni sono solo ed esclusivamente una cosa che avviene e tutti hanno. Io parlo di qualità e gestione della ragione e di qualità e gestione delle emozioni. Ma capisco che suoni strano.
Ciao Flavio,
è molto interessante… però…
Però c’è qualcosa che proprio non mi torna, non mi convince. Non so perché ma non ci credo che le idee vadano vendute. “The others” lo fanno e sono d’accordo con te ma questo non significa che si debba imitarli. Quello che non mi piace di quel modello è proprio il fatto di essere imbrogliata un po’ come si fa con gli animali ammaestrati.
Se si deve parlare alle mie emozioni per farmi arrivare da qualche parte significa che non sono abbastanza matura o consapevole per arrivarci da sola con le mie gambe e sapendo quello che vado a fare.
Mi chiedo: ma se la strada che percorro non l’ho scelta io ma qualcun altro che mi ci ha portato, avrò imparato? Avrò capito perché mi ritrovo proprio lì? Sarò capace di diventare consapevole su un cammino non mio?
Il punto non è solo dove si arriva ma come ci si arriva e per quale strada. Le strade possono essere diversissime, ma devo scegliere io la mia, devo percorrerla pian piano, devo fare io continuamente la scelta di che direzione prendere ogni volta che mi troverò a un bivio.
Preferisco le strade difficili: la consapevolezza, l’intelligenza, la sensibilità, l’infelicità e persino la necessità. Difficili, durissime alcune, ma verissime e senza scorciatoie.
Altre volte si è parlato di questo aspetto qui ma io rimango sempre molto perplessa davanti a questo approccio… Non so…
Cara Marica, se si deve parlare alle tue emozioni è solo perché sei un essere umano. Quello che sostengo è che in ogni decisione importante a condurci sono anche loro. Quando replichi che preferisci le strade difficili mi stai in realtà parlando anche delle emozioni che preferisci, quindi mi pare che confermi quanto ho scritto. Le preferisco anche io perché sono quelle che fanno crescere di più e perche mi danno emozioni che apprezzo. Ma io parlo di come diffondere la voglia di scegliere la strada difficile fra tante persone, per essere sempre di più e dico che non ci si può illudere di farlo come preferiremmo, ma che sarebbe opportuno agire come meglio funziona (in questo, me lo riconoscerai, sono molto razionale). Passare prima di tutti dai fatti, educando e informando, è il primo e imprescindibile modo, seguito da LLHT, ed è fondamentale. Ma io parlo di come arrivare a produrre cambiamenti sempre più diffusi. Non negando la nostra umanità ma riconoscendola. Qui per salvarci da disastro dovremmo avere una campagna di informazione globale e di persuasione potentissima (non basterebbe da sola, senza politiche adeguate, chiaro) e credi che funzionerebbe con il solo approccio razionale? Te lo dico io. NO.
E quando dico NO, intendo,il film NO: http://www.mymovies.it/film/2012/no/
Dalla scheda di My Movies: “[Il film] Non manca però anche di sottolineare come tra i sostenitori del NO non fossero pochi quelli che non avevano compreso quanto fosse indispensabile impostare una campagna di comunicazione che andasse oltre la riproposizione delle pur gravissime colpe del dittatore per approdare a una proposta che parlasse di vita, di gioia, di speranza nel futuro […]. E’ in questo ambito che il personaggio impersonato con grande understatement da Gael Garcia Bernal si trova a muoversi consapevole, inoltre, della difficoltà di contribuire alla riuscita di un fondamentale cambiamento del proprio Paese partendo dalle proprie basi di eccellente imbonitore. Pronto, una volta ottenuto l’esito sperato, a tornare a promuovere telenovelas.”
Marica, Flavio…
vi ringrazio entrambi. E Flavio sa perché lo faccio.
A tutti gli altri (Marica in primis) spiego che ieri sera, prima di sdoganare questo pezzo, io e Flavio abbiamo, virtualmente e garbatamente, s’intende, incrociato le spade.
Da un lato, la convinzione che ogni vero, profondo e radicale cambiamento non possa che partire nell’emisfero sinistro del cervello. Dall’altro lato, la convinzione che occorra ANCHE il supporto di quello destro. Ragione e sentimento. Servono entrambi, ci mancherebbe!
Quando io, la mattina del 28 gennaio 2006, svegliandomi sul giaciglio fatto di pannelli isolanti e un sacco a pelo, dopo la prima notte che trascorsi, accanto al fuoco, nella mia casetta in montagna, contemplavo l’alba che mi sorprendeva dal basso della vallata… bè, avevo la pelle d’oca (non per il freddo) e i peli del corpo che facevano… la hola! 😉
In quei momenti, l’emisfero della razionalità manco esisteva! Il mio cervello pesava il 50% in meno.
Però.
Però, per arrivare a quel momento (così come per arrivare al momento in cui ho capito che LLHT sarebbe diventato un mezzo affidabile e riconosciuto per la condivisione di pensieri “alti”), ho dovuto usarlo molto, MOLTISSIMO, quell’emisfero razionale!
Quale dei due è prioritario, per arrivare alla svolta? (Oddio, sto adottando la terminologia di Renzi… devo curarmi!)
Sono, ovviamente, necessari entrambi. Non c’è altra risposta possibile.
Ma qui mi vedo costretto a esprimere una considerazione: tutti noi, chi più chi meno, siamo capaci di… emozionarci. Agire su questa componente delle determinanti del cambiamento è quindi, da un punto di vista meramente statistico, piuttosto agevole: più speaker (anche se pochi, per la verità, qualificati come Flavio) e platea più ampia! Abbastanza ovvio, no…?
Ma introdurre un piano ulteriore (e anteriore), fatto di conoscenze, di macrolivelli e di presupposti “di contesto” (che LLHT ha la presunzione di saper introdurre piuttosto bene, come ripetuto a sfinimento, sui terreni dell’Economia e della Sociologia) credo sia un’operazione assai faticosa e, per certi aspetti, imprescindibilmente preliminare al livello esclusivamente emozionale.
Non ne ho mai fatto mistero: mi piace agire principalmente sugli scettici. Oltre che da agricoltori, LLHT è frequentato da avvocati, da chirurghi, da professori universitari, da filosofi, da informatici. Cioè da persone che forse mai – fino a qualche anno fa – si sarebbero sognate di aprire un libro di Latouche. Complice anche questa benedetta crisi/declino, ovvio.
Ieri ero a un convegno. Alla mia vicina di sedia, parlandole di LLHT, ho rapidamente spiegato cosa fosse una casa passiva, il concetto di impronta ecologica e il co-housing. Non lo sapeva. Ed era molto incuriosita dalle mie spiegazioni.
C’è ancora molta strada da fare, amici. Forse troppa.
Ma agire sulle (sole) emozioni può rischiare di non far spuntare le radici.
Io voglio le radici. LLHT lavora per quelle. Senza quelle, la pianta non cresce.
E niente frutti per nessuno.
Ciao, buon fine settimana.
Andrea