In questa raffigurazione dell’epoca, un conquistador spagnolo sfracella un bambino azteco contro un muro, mentre un suo “collega” alimenta le fiamme che ardono gli indigeni adulti.
All’inizio del XVI secolo, le popolazioni native dell’America settentrionale contavano, a seconda delle stime, tra gli 8 e i 12 milioni di persone. Trecentocinquanta anni dopo, ne restavano 400’000. In Messico e nell’America del Sud, il massacro ad opera dei colonizzatori europei assunse proporzioni ancor più spaventose: il 95% della popolazione autoctona fu sterminato.
A confronto, i crimini dei totalitarismi del XX secolo sarebbero stati un’esercitazione per educande.
(Fonte: Civium Libertas, tramite “Il genocidio degli Indiani d’America“)
Dove va posizionata la lancetta della Storia, affinché l’orrore per certe immagini che oggi vediamo sia dignitoso, e le parole che singhiozziamo siano… oneste?
Detta in altri termini (e rivolta a me stesso): come si spiega che la sensazione di disagio che avverto vedendo le immagini della decapitazione di James Foley* e quella che avverto vedendo questa litografia siano… perfettamente identiche?
PRECISAZIONE (INUTILE)
Questo blog – lo ricordo a scanso di equivoci – si chiama (anche) “high thinking”. Pertanto, suo obiettivo primario è anche quello di stimolare riflessioni e considerazioni che vadano al di là dell’avvilente banalità con cui l’attuale civiltà dell’immagine ci costringe a considerare (e valutare) la Storia. Chi si affida alla violenza per la risoluzione di un conflitto è comunque un animale, si chiami esso Obama od Osama. Oltre a questa più o meno ovvia considerazione, questo post non pretende di scrivere alcun nome sulla lavagna dei buoni e dei cattivi, ma semplicemente ricordare a chi quei nomi – invece – ama scriverli, che quella lavagna è molto, ma molto grande… Se poi qualcuno (come mi è stato fatto notare privatamente) preferisce affidarsi alle categorie di “Bene” e di “Male” relativi, ad esempio affermando che il modo di vita occidentale è oggettivamente meno sanguinario e più orientato al benessere di quello di altre zone del pianeta, rispondo che:- quanto ai litri di sangue versato, lo rimando alla raffigurazione iniziale del post e, più recentemente, ad alcune sequenze del film “Trashed“;
- quanto al concetto di benessere, proprio ieri era l’overshoot-day 2014, il giorno in cui pareggiamo i nostri conti con l’ambiente e dal quale cominciamo ad andare a debito con il Pianeta. Da quasi trent’anni, tale giorno “simbolico” (che traspone sul calendario l’insostenibilità dell’impronta ecologica umana rispetto alla biocapacità del pianeta) arriva prima: l’impatto dell’essere umano sul suo habitat, cioè, si fa più grave e irreversibile.
- quanto allo scontro di civiltà e alla loro “classifica” meritoria, bè… direi che potremmo parlarne per anni!
Ricollegandomi a quanto ho scritto prima, se volete togliervi la curiosità guardate il filmato della presunta decapitazione qui:
Ai particolari dell’autors io ne aggiungo un’altro (già notato dai Russi): il vento muove la casacca della apparente vittima ma non l’erba del luogo dove si svolge la scena.
Ciao Giusavvo. So che l’hai fatto con intento esclusivamente documentale e ti chiedo quindi per favore di non fraintendermi, ma ho rimosso il link al video.
Mi offri infatti l’occasione per specificare che LLHT non si presta in alcun caso a qualsivoglia forma di sensazionalismo (anche se indiretto e, come nel tuo caso, in buona fede). Più precisamente: questo blog non alimenta in alcun modo lo strapotere della “civiltà” dell’immagine (cioè della forma) su quella del pensiero (cioè della sostanza).
Ciao e grazie comunque per la condivisione. Andrea
O anche, Andrea, tempo dopo, come ci è arrivata la sua gente. Deportati dal loro paese come schiavi e poco più di carne da lavoro. La storia si ripete tragicamente. E mi chiedo se non sia proprio l’uomo il problema. Le vittime stesse dimenticano e possono diventare carnefici peggiori dei loro assassini in nome di un’idea, di un dio, di un’ideale, di un libro da adorare, di un interesse economico qualunque.
L’uomo ci prova a darsi delle regole. Ha i suoi momenti di illuminazione o suoi rappresentanti illuminati che appaiono nella storia. Qualche volta lasciano tracce profonde e significative che durano lo spazio di qualche momento. Presto però anche quelle tracce vengono cancellate misinterpretando, reinterpretando ai propri fini, cambiando in modo doloso le intenzioni, creando storie e culture intere che in nulla ormai ricordano l’origine di quel messaggio.
Basta considerare quello che è stato fatto del messaggio rivoluzionario di Gesù o del libro di Maometto…
E’ come se l’uomo si fosse perso, avesse dimenticato la sua origine, chi è e di cosa è fatto. Da quando è iniziata la “civiltà”.
È certamente il genere umano, il problema. O, almeno, alcuni suoi sottoinsiemi (purtroppo maggioritari).
Di fronte a ciò, si hanno solo due strade: o si pensa solo a se stessi (finendo a pieno titolo nel sottogruppo maggioritario), oppure si prova a combattere per cambiare qualcosa. Nel proprio piccolo, senza velleità utopistiche, col preciso scopo di rendere la propria vita esemplare. Almeno, di fronte alla propria coscienza. Ciao.
Andrea, conosci Thomas Gray (“Elegia du un cimitero di campagna”)?
A volte la differenza fra un oppresso e un oppressore, fra un distruttore di mondi e un povero seminudo armato di lancia non la fanno né le intenzioni né la cultura ma semplicemente i mezzi, quelli che permettono tanto al bene quanto al male di fare il salto di qualità, di aumentare di scala, insomma. Ricordo più che altroper amore di discussione (so che lo sai) che non bisogna glorificare il nativo. Toro Seduto e Custer erano due guerrieri e probabilmente avevano pure due teste molto simili, solo che avevano due ruoli diversi nella storia e ciascuno di loro un punto di vista opposto ma ugualmente limitato sul piano etico (“i nostri” e “i loro”). Custer, o più che altro i suoi visto che si fece pure battere, fu genocida per via del maggior volume di fuoco.
Idem per gli Aztechi, anch’essi famosi per atrocità a sfondo religioso, che probabilmente avrebbero incluso anche conquistadores alla brace se i conquistadores non fossero stati ben corazzati e gliel’avessero permesso
Anche tra i Nativi Americani (che glorifico solo perché applicavano uno stile di vita davvero sostenibile) c’erano le guerre, ovvio. Tuttavia, almeno nel Nord America, spesso la guerra fra tribù era poco più di un rituale. Non ci sono notizie di clan, tribù o intere Nazioni che soggiogavano altri clan, altre tribù, altre Nazioni. Le guerre non avevano finalità coloniali, ma dimostrative.
La prova? Seppure con sfumature diverse, TUTTE le civiltà del Nord America pregavano lo stesso dio: il culto e la salvaguardia di madre Terra era un principio sacro e trasversale.
I mezzi, da soli, non significano invece granché, a mio parere. Almeno, se le intenzioni sono nobili. L’uomo rosso assimilò l’uso di strumenti quali il cavallo e la polvere da sparo (e persino l’alcool), ma non per questo mutò le sue intenzioni. Che, fino alla sopraffazione finale, restarono ispirate a una coesistenza il più possibile pacifica tra l’invaso e l’invasore.
La Terra, infatti, era sufficientemente ricca per tutti. Con il “loro” stile di vita, almeno.
Ci sono, Marco, due errori in quello che scrivi; e uno – secondo me – è piuttosto grave, perché è un errore “di prospettiva”.
Il meno grave è che tu consideri Toro Seduto un guerriero alla pari di Custer: se tecnicamente è vero (cioè parliamo di due persone “esperte nell’uso delle armi e delle tattiche di guerra” (ma Custer un po’ meno…), probabilmente non sai che Toro Seduto non era un “capo-di-guerra” (come per esempio Crazy Horse, se rimaniamo al contesto del Little Big Horn), ma un “sachem”, cioè una guida spirituale. E nei fatti tentò di tener aperto finché possibile il dialogo con noi bianchi.
Ma il punto è l’errore di prospettiva: c’è una differenza fondamentale nell’atteggiamento dell’uno e dell’altro, che non cogli: e che dubito perciò ti faccia cogliere la differenza fra gli antagonisti in gioco oggi.
La differenza è che uno era lo strumento attraverso il quale una certa forza economica voleva imporre un certo modello di comportamento a tutti coloro che si opponevano alla sua visione del mondo; l’altro era un capo (non uno strumento), che difendeva il sistema di vita e di pensiero di un’etnia: ma senza voler imporla agli altri.
Ti va un po’ meglio con gli Aztechi: perché sì, c’erano questi sacrifici umani di mezzo. Però – e anche questa è una differenza fondamentale – non imponevano a nessuno di onorare i loro Dei. Da questo punto di vista, gli episodi offensivi o persecutori delle credenze altrui, da parte dei Politeisti, sono infinitamente minori di quelli operati dai Monoteisti: come anche i recenti accadimenti dimostrano.
Ecco: se non ti rendi conto di queste differenze, con tutta la tua buonafede e la tua buona volontà, sarai sempre manipolabile da qualcuno.
Andrea, fermo restando che condivido l’analisi del tuo articolo, siamo proprio certi che la “decapitazione di James Foley” non sia un falso?
Io nutro qualche perplessità…
Temo non sia un falso, Giusavvo. Tecnicamente, si chiama rischio reputazionale: vale anche per quegli animali del califfato.
Forse per “falso” giusavvo intendeva un “false flag”: cioè un’azione riprovevole firmata da chi si vuole colpevolizzare, ma “pilotata” da chi ci specula su.
Gli statunitensi sono maestri in questo, dai tempi della guerra per Cuba (contro la Spagna), fatta scaturire dal sabotaggio di una loro corazzata, attribuito ovviamente a mai individuati “agenti spagnoli”.
Anche quanto accaduto l’11 Settembre andrebbe letto in questo modo; e ci sono state “discrepanze” anche nel caso di atrocità attribuite a integralisti islamici, dai tempi dell’Iraq e dell’Afghanistan. Molti siti di informazione possono darvi parecchi spunti su ciò.
Beninteso, non è che quelli che oggi chiamiamo jihadisti siano degli stinchi di santo: è un po’ come fra israeliani e palestinesi: Israele ha realizzato, con la striscia di Gaza, il più sofisticato campo di concentramento della storia; ma quelli di Hamas non sono certo agnellini…
Quello che si deve fare, secondo me, è in questi casi, abbandonare l’idea che ci sia qualcuno nel giusto e qualcuno di “cattivo”: in realtà ci sono solo due parti, entrambe le quali ritengono l’uso della violenza l’unico modo, non per risolvere le cose, ma per poter far meglio i propri interessi.
Un po’ diverse le cose se parliamo degli indiani d’America: ma risponderò a Marco fra un po’.
Esatto Alberto. Era ciò che intendevo.
Allora ho capito male io, scusate. Quanto alla tua domanda (corretta), invece, faccio veramente fatica a seguirti su questo terreno (come chiunque altro, non ho alcun elemento per giudicare in un senso o nell’altro). So solo che, se fosse come dici, ci troveremmo di fronte ad animali “al quadrato”. Ma voglio costringermi a pensare che non sia così. Ciao.
E’ una semplice questione di sensibilità: tu ce l’hai a un certo livello, la maggior parte della gente, ce l’ha a un livello decisamente inferiore; in qualche caso, praticamente non ce l’ha.
Anche perché, se no, non sarebbe definibile con quel termine, generico ma etimologicamente sbagliato, che è “gente”.
Poi ti dirò, che io provo più pietà per gli indios raffigurati là, che per Foley; io – per eccesso di sensibilità o di stronzaggine, dipende dai punti di vista, immagino – faccio dei distinguo: prima di commuovermi troppo per il giornalista americano, vorrei capire da che parte stava.
Per la faccenda che “certe morti pesano come una piuma, ecc. ecc.”, se era andato là per dimostrare quanto sono bravi gli Occidentali a disgregare una Nazione, per renderla libera e democratica, non è che ci spenderei su troppe lacrime.
Spiace se ho deluso qualcuno, ma è così.
Già, Alberto. Anche se, più che di sensibilità, credo si tratti di… coerenza storica. Ad ogni modo, io mi limiterei al terreno delle evidenze e non mi addentrerei in quello (minato) delle supposizioni, tipo “Se era andato là per glorificare gli americani”. Perché, onestamente, non lo sappiamo.
Sappiamo che, in entrambe le situazioni, le vittime sono persone che non hanno preso parte alla decisione di crearle, quelle situazioni.
E sappiamo soprattutto che chi oggi grida al genocidio (come Barack Obama), forse farebbe bene a ricordare a se stesso le origini del suo popolo.
Sono perfettamente in linea con te Alberto.