La guerra dei mondi

L’obiettivo è infatti quello di mettere fecondamente in contatto due concezioni della realtà destinate e incontrarsi, ma oggi ancora distanti. I due mondi di cui parlavo prima, e che potremmo simbolicamente rappresentare con i nostri due emisferi cerebrali, appaiono infatti animati da obiettivi diversi, ma – a uno sguardo più attento – hanno invece più di un elemento in comune. C’è un mondo razionale e calcolatore che, come tutti sanno, fa dell’accumulo di denaro la sua unica stella polare: un mondo, cioè, che potremmo definire individualmente utilitarista. E, specularmente a questo, c’è un mondo meno spregiudicato e più attrattivo che, invece, considera i beni relazionali e la salvaguardia del proprio habitat come le principali risorse per il benessere collettivo. Un mondo, diciamo, socialmente utilitarista. Ma… sempre di utilità si tratta! Credo che chi ha sperimentato dall’interno entrambe queste dimensioni – magari potendo esibire sulla carne qualche cicatrice – possa raccontare più autorevolmente di altri quanto sia spettacolare e formativo sintetizzarle in qualcosa di nuovo e, per molti aspetti, nobilitante. Ma, per farlo, occorre inventarsi nuovi codici espressivi, un po’ ricchi di contenuti qualificati (per qualcuno, assai noiosi) e un po’ evocativi e onirici (per qualcuno, assai idealistici): in una parola, occorre… creare un nuovo linguaggio. Mi riferisco a un nuovo modo di creare connessioni – concettuali e progettuali – fra questi due mondi. Un linguaggio che sia capace di suscitare interesse e di essere ascoltato dai rispettivi abitanti, i quali oggi, non conoscendosi fra loro, nella migliore delle ipotesi si ignorano. Più spesso, si detestano.

Con queste considerazioni, l’8 aprile di quest’anno dichiaravo al quotidiano online “il Cambiamento” il nocciolo della filosofia del progetto LLHT. Quante cose sono accadute, quel giorno! Era un martedì, lo ricordo ancora benissimo. L’uscita dell’articolo avvenne mentre salivo le scale del dentista: ricordo bene come, mentre mi sedevo sulla sua odiosissima sedia, pensavo a quanto avrei invece voluto dedicarmi alla promozione, presso amici e conoscenti, di quell’intervista, così importante per me e per questo blog. Sono accadute anche tante altre cose, quel martedì. Tutte, in un modo o nell’altro, pesano ancora.

Ma la cosa che pesa più di ogni altra è la constatazione di come quella dichiarazione d’intenti si sarebbe rivelata tremendamente ostica. Immaginare codici espressivi, creare linguaggi, connettere mondi, suscitare interesse, abbattere barriere di diffidenza. Sono tutte imprese titaniche. Persino pericolose, se affrontate con pervicace ostinazione come di solito faccio io. Inevitabile, allora, qualche volta esitare. Soffermarsi. Valutare. Ponderare. In qualche caso, scontrarsi.

Ogni giudizio è sempre mediato da una condizione, se non già da un preconcetto. E le condizioni sono diverse. Gli schemi interpretativi, quindi, altrettanto: la stessa cosa è bianca per me, grigia per qualcun altro, nera per qualcun altro ancora. Esistono linguaggi, forse. Ma non esistono colori che mettano d’accordo tutti. A volte, però, più che di un linguaggio, ci sarebbe bisogno di un colore. E’ un discorso che va oltre i dualismi della ragione e del torto. Del giusto e dello sbagliato. Della vita e della morte. Dell’assolutismo e del relativismo. E’ un discorso molto più carsico, che ha a che fare con qualcosa di molto più… energetico.

No, è molto più semplice: o si intercettano certe “onde”, o non lo si fa. O si possiedono certe antenne, o non le si possiede. Privandosi, così, della capacità di ascoltare. E uniformando i giudizi, amalgamando le impressioni, omologando le opinioni, cristallizzando i dualismi.

Non è facile, no. Soprattutto se, come nel mio caso, si parla di intuizioni generative, di sogni creatori. Di visioni, cioè, radicalmente discontinue. La discontinuità come business, come opportunismo o come semplice… opportunità? Domande come questa non smettono di assillarmi. E, in qualche caso, di innervosirmi. Sessanta persone la concepiscono come business, trentanove come opportunismo, una come opportunità. Meglio non mescolare i gruppi. Sennò, qualche scintilla diventa purtroppo inevitabile.

War of the worlds

Immagine dal film “La guerra dei mondi” del 2005, tratto dal celebre e omonimo romanzo di H. G. Wells del 1897, considerato come uno dei capostipiti del genere fantascientifico. “La guerra dei mondi” venne inoltre adattato da Orson Welles in un celebre programma radiofonico nel 1938: la storia, narrata in forma di cronaca, venne interpretata in modo così realistico che una parte del popolo statunitense credette realmente che stesse avvenendo un’invasione di extraterrestri, rimanendone scossa e turbata.

Ricordo, come se l’avessi letto ieri, il monito di Popper, contenuto in un libro che non aprirò da vent’anni (“Il mito della cornice”):

Io posso avere torto e tu puoi avere ragione, ma per mezzo di uno sforzo comune possiamo avvicinarci alla verità.

Il problema vero, allora, è che alla potenza di questo messaggio si devono sempre inchinare entrambi quei mondi. Non uno solo. Sennò, è fatica sprecata. E’ tempo perso. E il tempo, ormai, ho imparato a non sprecarlo più.

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4 risposte a “La guerra dei mondi

  1. Leggo: Spiritualità scientifica… ebbene ieri ho avuto l’opportunità di assistere alla proiezione del film Un Altro Mondo di Thomas Torelli dove si parla appunto di scienza, filosofia, fisica quantistica, religioni e credo ancestrali degli indiani d’america e orientali. Ebbene, tutte queste discipline, alla fine, confluiscono nella spiritualità. Spiritualità che non è altro che la vibrazione energetica dell’Universo. Della mente dell’Universo. Una teoria del Tutto, insomma. L’energia che sottende alla spiritualità esiste; esiste e influenza anche la materia in alcuni casi.
    Questo per dire che tutti siamo parte dello stesso elemento universale, dello stesso disegno. Ogni uomo, animale pianta o minerale è parte di me ed io sono parte di essi.
    Bellissimo. Ancora non so se crederci pienamente, ci sto meditando su. Ma intanto sono rimasto colpito e affascinato. Soprattutto dal fatto che una assunzione del genere ci fa chiedere a noi stessi: “ma se io sono te e tu sei me perché dobbiamo farci la guerra, farci del male o lederci in qualche modo? Perché dobbiamo ledere gli animali e la natura in genere per fini materiali ed egoistici? Viviamo invece in armonia e in pace con tutti gli essere viventi (che poi lo sono tutte le cose) e riusciremo sicuramente progredire”.
    Ultima cosa che mi ha colpito è stata la previsione di Itamo Montecucco: siamo sempre in di più a pensarla così. Intorno al 2025-2030 (stando alle statistiche) saremo la maggior parte degli uomini a pensarla così (il 51% ha proprio detto!) e allora raggiungeremo la massa critica. Ci sarà una grossa rivoluzione nelle menti, nella cultura e nel modo di intendere la vita e sarà una nuova era per la civiltà umana.
    Spero di esserci ancora quando questa cosa accadrà e di non essere troppo vecchio per non capirla.
    Un abbraccio.
    Alessio M.
    Firenze

  2. il mondo del solo ‘utile’, usa e getta oggetti e persone e ci siamo immersi fino ai capelli: l’ultima news sul congelamento degli ovuli lo ha reso anche piu’ chiaro se ci fossero stati dubbi!
    sto praticando a mio modo per trovare la via di mezzo..e ‘compassione’ vuole essere la mia stella polare, ritrovare il contatto con le persone se non crearlo laddove forse non e’ mai esistito.
    detto da me che sono per un buon 90% ‘eremita’…e’ tutto dire!

    • La notizia a cui fai riferimento – lo dico a chi non ne fosse a conoscenza – è la disponibilità di Apple e Facebook a finanziare il congelamento degli ovuli alle loro giovani dipendenti che, preferendo intanto dedicarsi alla carriera, posticipano la maternità a quando il lavoro avrà meno bisogno di loro. Di fronte a queste cose (che non indignano nessuno) mi chiedo a cosa servano le quote rosa nel CdA, i programmi di work-life balance, gli asili aziendali… e più in generale tutti quei sistemi di tutele e di “caring” che si attuano oggigiorno. La risposta è che si tratta solo di una immensa ipocrisia planetaria, che si nutre della nostra tacita accettazione e del nostro complice asservimento al culto del Lavoro.
      Se le persone non hanno più nemmeno la forza per indignarsi, io posso al più compiacermi di come forme di reazione radicale come la mia acquisiscano ancora più valore, ma… è comunque giusto che finisca così. Purtroppo. Non esistono altri avverbi.

      • ho lavorato ‘sotto’ una ‘super CEO’, una donna che aveva un potere di comunicazione ed empatia incredibili….ma solo per convincere gli impiegati ad eseguire mandati per rendere felici: investitori e azionisti. Faceva sognare stelle e intanto tu facevi il lavoro sporco sulla frontline…
        era una donna, ho voluto credere fosse diversa….ma per fare il suo lavoro (fare profitti costi quel che costi) ha preso bonus stratosferici in entrata e in uscita e ora e’ approdata in una delle due aziende qui sopra citate (con super bonus di benvenuto)…non mi sorprenderebbe ci sia lei tra le promotrici….

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