Senso vietato

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Omino del subbuteo

Sei tu, amico mio. Con le tue zavorre, la gavetta e la borraccia fresca, ben sistemate nello zaino. Hai tutto ciò che ti serve. Ma… non parti. Te ne stai lì a lamentarti. Cosa succederà? Cosa può succedere? Cosa… farai succedere? Sarai solo tu a scegliere. O, forse, lo hai già fatto. E non te ne sei accorto. E allora vieni qui. A trovare conforto nell’immagine riflessa di chi, sulle spalle, quello zaino se lo è messo. Ma non ti convince. Resti sospettoso. Un angolo della bocca, ogni tanto, continua ad arricciarsi. Cosa mi nasconde? Non me la sta raccontando tutta.

E’ semplicissimo. Se sei persuaso, ti identifichi. Se invece sei scettico, delegittimi. Reazioni perfettamente note. L’aspetto curioso è che tutto questo – vero o falso che tu lo voglia ritenere – non lo faccio per te. Ma… per me.

Quindi, ironia della sorte, i tuoi sospetti e il tuo giudizio diventano del tutto accessori. Ininfluenti. Ti lascio il giudizio, quindi. Ti lascio la rassicurante illusione che si tratti dell’ennesima suggestione digitale. Così come, però, per reciproca correttezza ti lascio anche il badge da strisciare ogni mattina, ti lascio la chiavetta delle macchinette e la password per aprire il pc (al lunedì, c’è sempre un attimo di esitazione in più nel digitarla, eh? come se non lo sapessi…). Ti lascio le riunioni inconcludenti alle sei di sera. Ti lascio l’abnegazione, lo stacanovismo, le mail notturne, solo per mostrare al tuo capo che vali più del tuo collega di scrivania. Ti lascio le pallide routine con i colleghi meno insopportabili di altri: le pause-caffè con loro, le frecciate alle spalle degli assenti, i whatsapp carbonari durante le riunioni, i racconti delle imprese eroiche nel weekend… Insomma, tutto quel repertorio di opache liturgie quotidiane che accomunano i membri del board agli aiuti-facchini, e con cui hai imparato a sedare l’impronunciabile insofferenza per ciò che fai.

Topo nel labirintoQuanto c’è di te in quello che fai? Quanto può durare, ancora? Quanto saranno ancora sopportabili, quei compromessi quotidiani? A quale prezzo? Quanto resisterai ancora, rispondendo SI quando vorresti urlare NO, e viceversa? Quanto è salutare la partecipazione a quel disegno che non hai progettato tu, ma di cui sei l’assoluto protagonista? Quel disegno che a volte ti inganna, ti disillude, ti manipola, ti seduce. Ma che anche, ovviamente, ti premia. Certo: perché il groviera, alla fine, devi trovarlo sempre. Hai saltato nel cerchio infuocato. Hai fatto i tripli salti carpiati con avvitamento all’indietro. E hai portato a casa il budget: ovvio che il pezzo di formaggio arriva. Guai se non fosse così, fa parte del disegno studiato a tavolino. E con quel formaggio allora sì che farai nascere la tua stella danzante. Allora sì che realizzerai il tuo fabbisogno quotidiano. Il meccanismo è perfettamente oliato, non c’è alcun bisogno che te lo spieghi. Solo che, quasi sempre, ti fa comodo pensare che sia tutto perfettamente sensato.

Tu non devi preoccuparti di nulla, amico mio: il senso lo ha già perfettamente stabilito qualcun altro, progettando e realizzando al posto tuo quel disegno, affinché si compisse nel silenzio generale. Lo ha fatto prima di te. Prima che tu dovessi preoccupartene. Tu devi solo fidarti. E soprattutto non devi perdere tempo ad ascoltare gli uccelli del malaugurio che insinuano il sospetto che quel disegno stia perdendo qualche colpo. Che te ne frega, in fondo? Pensa solo a stare bene attaccato all’albero maestro. Segui le istruzioni del comandante. Lo hai delegato tu, in fondo, no? Quindi, non hai altra opzione che fidarti di lui, adesso. L’alternativa non esiste, lo dicono tutti. Dal ponte principale qualcuno cadrà fra le onde, ci sta, il mare è molto mosso. Ma tu non cedere, tieni duro! Non preoccuparti se i salvagenti pian piano finiscono. Fìdati del comandante, non hai altra scelta. Anche se qualche volta le sue istruzioni non ti convincono al cento per cento. Anche se qualche sospetto su di lui ogni tanto lo nutri. Anche se il prezzo che ti chiede di pagare è sempre più alto. Credigli comunque: lui possiede le mappe nautiche. E conosce la rotta. Ti tirerà fuori dalla tempesta. Fidati di lui. Perché il suo senso, in fondo, sei tu.

15 risposte a “Senso vietato

  1. … concordo con Marco, trovo che il “tono” usato nell’articolo sia supponente, ma anche provocatorio e soprattutto … superbo e lo dico perchè anche io, nel passato, tendevo ad essere provocatorio e superbo, per cercare di spronare gli insoddisfatti a cambiare, ma non ho mai ottenuto dei risultati positivi.

    Quasi tutta la mia vita è stata fuori dagli schemi e ai “margini” di una società che mi pareva ingiusta da tanti punti di vista (due esempi: mi sono innnamorato e ho iniziato ad occuparmi di agricoltura biologica nel lontano 1981, quando eravamo pochi utopisti e nel 1993, quando mi sono ritrovato disoccupato, ne ho approfittato per fare un anno sabbatico).
    2,5 anni fa ho deciso di entrare “nelle stanze del potere” per capire come funzionano le cose “dal di dentro”.
    Mi sono omologato in un lavoro “normale” e mi sono reso conto, tra le altre cose, che chi si lamenta di come vanno le cose e non fa nulla per cambiare, è perchè ha (e gli hanno messo) tanti lacci che lo imbrigliano continuamente. Quando riesce a toglierne uno, subito ne arriva un altro a ricordare che tanto non può andare da nessun’altra parte.
    Chi invece riesce a svincolarsi, come mi pare hai fatto tu, innnazittutto ha delle qualità che sono abbastanza rare e particolari, ha delle esperienze dirette o “indiriette” di !autonomia” e spesso lo fa perchè è arrivato a un punto “di non ritorno” e pertanto “non gli resta che … ridere” e poi cambiare!.
    Penso (e spero) che ormai il cambiamento culturale della società sia in atto, ma far seguire a ciò anche un cambiamento nei fatti serve ciò che mi pare proponga Marco: aiutarsi vicendevolmente e soprattutto “amorevolmente” a trovare le alternative praticabili e consone ai propri talenti e capacità per costruire un mondo migliore per tutti.
    L’uomo è prioritaroamente un animale sociale e i cambiamenti importanti della società sono sempre arrivati da gruppi concordi nei propri pensieri e nelle proprie azioni (oltre che nel proprio cuore).

    Ho visto che “cazziare dall’alto della propria posizione” (e l’ho fatto anche io nel passato), determina nel cazziato ulteriori frustrazioni e incapacità nel cambiamento e spesso approfondisce la sensazione di inutilità della propria vita e di opposizione a chi cazzia, in altre parole non porta a nulla.
    Ho visto che funziona meglio provare empatia con chi sta male, immedesimandosi nei suoi panni, allungargli la mano e supportarlo nel cambiamento, sapendo comunque che spetta solo a chi è nel problema la decisione di cosa fare e come farla.
    Collegato a ciò non mi convince proprio la tua proposta di cambiamento “individualista”, mi sembra molto “americana” (self-made man) e poco “sociale”.
    Sono d’accordo che il cambiamento può arrivare solo se le persone smettono di lamentarsi e si rimboccano le maniche, però è la somma di singole unità, collegate nella stessa operazione, che può fare la differenza,
    Enrico

    • Ciao Enrico, ti ringrazio innanzitutto per la garbatezza delle tue considerazioni, che considero uno spunto assolutamente costruttivo. Premesso che io non ho alcuna intenzione di “cazziare nessuno dalla mia posizione” (a che titolo potrei farlo? e da quale posizione, soprattutto?), posso semmai risponderti che una cosa che mi piacerebbe che accadesse, questo sì, è che LLHT desse una mano nell’innalzare il proprio livello di “responsabilità diretta” contro le perverse contraddizioni della cultura dominante. Che, in tutta onestà, mi sembra invece che continuino a farla da padrone e condizionare i comportamenti della maggioranza delle persone, nonostante gli esempi tuo, mio e di tanti altri.
      Tieni presente che, se tra i lettori di LLHT ci sono tante persone virtuose che si sono già messe sulla retta via, ci sono anche tanti lettori che vengono qui solo per curiosare, animati da un mix di scetticismo e voyeurismo. Quelli che con un bonifico all’anno a Medici Senza Frontiere, per esempio, si sistemano la coscienza, credendo di aver risolto i problemi planetari che con i loro comportamenti quotidiani contribuiscono invece ad alimentare. Quando alzo un po’ i toni, do per scontato che i destinatari sappiano responsabilmente riconoscersi nell’oggetto dei miei stimoli (stimoli, Enrico, non cazziate).
      Condivido in pieno con te l’esigenza di un approccio al cambiamento che sia microcomunitario. Dal basso, appunto. Ma condivido soprattutto con tutti una delle cose che dico dall’inizio di questa esperienza (non so da quanto frequenti LLHT): ognuno a suo modo. Ognuno a suo modo, capisci? Non c’è un modo unico per svincolarsi dall’abbraccio mortale del dogma dell’accumulo. Ognuno trovi il suo. Ma… lo cerchi, prima di tutto! Non si limiti a proiettare le sue insoddisfazioni o frustrazioni sui tentativi di qualcun altro. Le condizioni per far emergere uno spirito solidale e collaborativo sono ormai sotto gli occhi di tutti: approfittiamone! Per questo, ogni tanto, mi affido all’ironia e provo a scuotere l’albero, sperando che qualche mela cada. Non c’è alcun intento di irridere nessuno. Ognuno a suo modo, ripeto.
      Infine una semplice curiosità, se me la puoi dire (se non puoi, capisco benissimo): in che senso sei entrato “nelle stanze del potere”?
      Ciao.

      • ho iniziato un lavoro che mi ha messo a capo di circa una quarantina di collaboratori, oltre che a contatto con il ministero, in un’azienda che ha un’economia di numeri non piccoli.

  2. Ma posso solo confidarti una cosa. Pronto?
    Io NON POTEVO farlo. Ma… l’ho fatto ugualmente.
    ciao andrea
    io sono curioso di capire!!!???
    cosa significa NON POTEVO scritto maiuscolo?
    cosa hai scavalcato di oggettivamente inscavalcabile??
    a volte il non sapersi ben esprimere crea incomprensioni,la mia è la domanda che stai leggendo senza se e senza ma
    sempre con stima
    buena onda
    morris

    • “NON POTEVO”, perché farlo si sarebbe scontrato, come in effetti è stato, con un muro di convenzioni, di aspettative e di vincoli oggettivi (anche economici) che inevitabilmente – in base agli schemi mentali con cui una certa modernità ci ha abituato a soppesare le cose – sarebbe oggettivamente apparso insormontabile.
      Poi, verissimo quel che dici anche tu: l’insormontabilità di molti muri è solo il frutto di un condizionamento occulto.
      Buena onda anche a te, ciao.

  3. Che amarezza vedere tutto questo e sopratutto viverlo tutti i giorni. Hai ragione, sarò solo io a scegliere: una scelta maturata, rimandata, ripensata mille volte e ancora una volta rimandata… forse il punto più difficile è accorgersi che lo zaino è pronto e sapere che nella borraccia c’è acqua a sufficienza per il viaggio o sufficiente almeno a raggiungere la prima tappa. Perché il requisito essenziale penso sia proprio quello di avere le scorte adeguate per affrontare il viaggio.
    Il pericolo è quello di perdersi cercando conferme, cercando di tracciare una strada priva di pericoli, sicura al 100%… impossibile da trovare. Nel cercare l’itinerario sicuro e infallibile non ci si rende conto che rimandare una scelta è già di per sé LA scelta! Cioè quella di non cambiare, diventando complice di chi ha costruito la “ruota del criceto”.
    Grazie per avermi ricordato tutto questo.
    Spero di avere gli occhi giusti per vedere la mia strada e di trovare la forza per imbracciare quello zaino!

    • Grazie a te, sognatorenonstop. Credo che in parecchi passaggi (che mi sono permesso di evidenziare in corsivo) tu abbia perfettamente centrato il cuore del problema. Il momento in cui riuscirai a issarti quello zaino sulle spalle arriverà. E vedrai: quando sarai pronto, tu non dovrai fare nulla: quello zaino quasi salirà da solo su per la tua schiena. Le tue parole dimostrano chiaramente che il tuo grado di consapevolezza è già molto alto. Ciao.

      • Ciao Andrea, grazie della risposta che hai pubblicato sul llht… felice di questo filo diretto riservato per email. Purtroppo insieme alla consapevolezza è arrivato anche il logorio per il non riuscire a svincolarsi velocemente dalla situazione (ormai è da tempo che ci penso, se non sbaglio avevo già commentato in questo senso uno dei tuoi post più letti). In questi casi sarebbe ideale frequentare persone che la pensano allo stesso modo per non cadere nei soliti schemi…peccato non conoscersi di persona, avrei approfittato per fare un chiacchierata e chiarirmi alcuni dubbi. In attesa del prossimo illuminante post, ti saluto. Alessio

  4. I contenuti sono giusti ma lo stile è supponente e volendo ci si potrebbe vedere non un pungolo ma un certo disprezzo alla “noi pochi ma buoni”, peraltro senza l’idea di inclusione e comprensione che di solito ne fa un orgoglio legittimo. Quello che sembri non calcolare è che alcuni non hanno gli strumenti per voltare pagina, per altri i rischi non sono gestibili e altri ancora sono ormai troppo dipendenti da un modo di vivere per poter rimettere in discussione tutto al livello che vorresti tu. Se n’è discusso tantissimo di questo nel blog e credo, per essere sintetico, che se la cosa fosse così lineare e fattibile, pur ovviamente con l’impegno e l’apertura mentale…l’avrebbero fatto già tutti.
    Se così non accade non è solo e banalmente perché manca conoscenza o buona volontà ma perché un sistema secolare è studiato bene e la stessa ignavia di cui tu accusi una parte della collettività non è solo la sua base ma il suo prodotto ultimo, non dunque una bruciante responsabilità individuale ma una logica conseguenza di un modo di vita collettivo e storico che è debilitante e che risale a ben prima delle persone, peraltro pur interessate e autocritiche, che sono i tuoi bersagli polemici (per intenderci la tua polemica ha senso ma ha la stessa falla di certe femministe che ti chiamano ad essere un uomo nuovo in un mondo che è la solita tristezza mercificante…il tutto magari cercando di farti rispondere delle colpe di due generazioni fa. Dobbiamo capirlo che il guaio siamo noi, non un qualche generico “loro” ma una volta capito non c’è nessun rito purificatorio, al massimo un passetto incerto avanti per volta, tenendo conto anche dei passetti indietro ogni tanto).
    A volte questo individualismo “pionieristico” mi sembra un invito a mettersi a svoutare il deserto con un cucchiaio. Meglio di niente ma il mondo non si cambia uno ad uno, in fretta, e colla sola volontà

    • Hai ragione, Marco: ne abbiamo parlato già tante volte. E mi spiace che tu ti ostini a considerarlo un “individualismo pionieristico”. Tu dai infatti per scontato che io “abbia potuto farlo” e che, da questa presunta condizione di privilegio, arrivi quasi a considerare con supponenza chi non lo fa. Io sto solo cercando, con l’aiuto della mia testimonianza diretta, di smuovere qualche coscienza.
      Non ho ovviamente gli elementi e la forza per farti cambiare idea, Marco. Ma posso solo confidarti una cosa. Pronto?
      Io NON POTEVO farlo. Ma… l’ho fatto ugualmente.

      A volte le gabbie non sono fuori, ma dentro di noi. Dipende solo da quanto e da che cosa si è disposti a rimettere in discussione. Poi, è ovvio: c’è chi davvero non può. Ma sono fortemente convinto che per una persona che davvero non può, ce ne siano almeno nove a cui conviene autopersuadersi di non potere.

      Infine permettimi, ma la tua ultima considerazione è secondo me una trappola pericolosissima: il mondo, infatti, lo si cambia proprio uno ad uno.

      • Fai benissimo a stimolare ma secondo me non dovresti usare questo stile. A parte che alla gente, persino quando è vero, non piace sentirsi dare dei pecoroni, per me dovresti avere maggior comprensione quando si tratta di considerare gli ostacoli notevoli altrui. Secondo me è una trappola anche questa enfasi eccessiva sul “farcela” uno per uno, che poi è applicata anche nel lavoro massificato e nell’ideologia dominante, visto che pure il successo consumistico ti considera come singolo e ti dice che devi farcela da te e intanto riesce così a trovarti sempre in inferiorità di fronte ad entità collettive come aziende, stati, cartelli o associazioni varie per profitto. Vogliamo poi parlare di quanto oggi si cerchi di dire che se il lavoratore non ce la fa è lui che è poco flessibile, poco o troppo formato, non sufficientemente al passo con qualsivoglia idea o progresso? Anche quello è dire che uno conta uno…peccato che chi ti parli ti parli colla voce della Società (sia essa quella degli uomini o quella per azioni) per cui SOLO TU vali uno e lui, pur essendo uno, vale mille. Ecco perché, quando si risponde ad un mondo così, bisogna essere, appunto, in mille e possibilmente d’accordo già da prima., Ciascuno dei mille si da da fare da sé, ovvio, ma non basterà mai, siamo un mondo troppo grande per cambiarlo uno a uno

  5. ho la vaga sensazione che le posizioni in questi ‘mostri’ organizzati siano cloni uno dell’altro e cloni sono anche gli impiegati che pensano essere tutti ‘piu’ furbi!’…..ah viva la VITA fuori da queste grosse trappole!

    • Nell’omologazione (anche delle consuetudini, delle affezioni, delle disaffezioni…) è più facile esercitare il controllo.
      La verità è che per decenni, a quella favoletta, abbiamo passivamente creduto quasi tutti. Ma ora, per fortuna, sempre più persone stanno finalmente cominciando ad aprire gli occhi.

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