Orto bambino

Vieni qui che ti cullo io, orto bambino, che sei appena sveglio. La terra ti ha appena partorito, delicata, profonda, come rotta nelle sue viscere si ricompone piano come per una sapienza lontanissima e profonda.

Vieni qui che ti curo, ti prendo, ti guardo e ti sorrido. Sono tua madre e tua figlia, sono te, sono io, sono quella di cui sei fatto e io della tua stessa linfa.

Vieni qui che ti riconosco come so fare io, mi è rimasto un barlume di memoria. Che fortuna che ho avuto, che onore, quale privilegio, quale istinto che mi ha salvato, quali braccia che mi hanno preso per riportarmi dove dovevo andare…

Tu sai tutto. E così anch’io so tutto. Stavolta ti abbraccio io, ti ho aspettato, ti ho visto, ti ho scorto appena mentre ero persa a cercare la strada.

Vieni qui che ti guardo, ti avvolgo, ti ringrazio, mi inchino al tuo cospetto come mio amante riconosciuto. Fecondami tu che io ti fecondo di me e di te insieme. Dammi la terra per il mio spirito vago, che possa avere una fine e un inizio ancora, ancora e ancora mille volte.

Vieni qui che mi specchio nella tua bellezza, che mi prendo quello che è mio che è quello che è tuo.

Aspettami che anch’io imparo l’attesa. Entrami dentro a farmi diventare le radici che cercavo e che non sapevo di essere.

Vieni qui che ti cullo io, adesso. Finché rinasci sarò viva.

Orto bambino

Orto bambino

Vieni qui, orto bambino, sapiente, vivo, eterno, pensante. Che sussurri le risposte alle mie domande, che tracci i contorni dei miei dolori, che li spieghi, li assolvi, li accogli, li fecondi e li trasformi, che concentri nel tuo perimetro la mia noce di libertà, che riporti tutto al centro, all’essenza, alla vita…

Quello che mi basta entra tutto in un solo seme. Rimasto nascosto nelle righe della mia mano.

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Una risposta a “Orto bambino

  1. Parole per un orto bambino, e adulto, compagno e amante, parole per la vita cullata, generata, feconda, sapiente, racchiusa nel seme della tua mano. Il rapporto che si fa sessuale ritrovando quel sentiero nascosto ma mai perduto delle sacerdotesse che seguendo i cicli naturali, perpetuavano la rinascita della primavera dopo l’inverno.
    Una poesia che è canto e devozione alla terra e alla sua sacralità.
    Brava Marìca !!

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