Folle

“Sarebbe pretenzioso voler predire se questa era, nella quale i bisogni vengono modellati da progetti di professionisti, sarà ricordata con un sorriso o con un’imprecazione. […] Molto probabilmente verrà ricordata come l’epoca nella quale un’intera generazione se ne andò alla ricerca frenetica di un benessere che impoverisce, dove tutte le libertà umane furono svendute; un’epoca che, dopo aver impostato ogni politica pubblica sulle lamentele organizzate degli utenti del welfare state, si è finalmente estinta in un totalitarismo bonario.” (Ivan Illich)

Separatore

Ovvio che te lo chiedi. Se non te lo fossi mai chiesto, non saresti umano.

Perché… ci sono le insidie. Striscianti, seppur animate dalle migliori intenzioni. Incipriate di ammirazione. Perfettamente mimetizzate dietro a comunicazioni di secondo e di terzo livello. Ma le vedi. Le senti. O, comunque, le avverti. Un’ombra nello sguardo, a volte. Un labbro arricciato. Un fremito nella voce. Raccogli tutto. Guai se non fosse così.

Qualcuno non è pronto per questo, è comprensibile. Qualcuno è solo capace di proiettare paure preconfezionate e inconfessabili incertezze su chi sta sfrontatamente infrangendo una consuetudine, alla costante ricerca di un Senso. Un Senso con la “s” maiuscola, al di fuori del comodo recinto che gli hanno costruito intorno; al di fuori, cioè, del labirinto con il formaggio.

Ma so benissimo, ancor prima di cominciare, che anche stavolta qualcuno fraintenderà. Sono rassegnato al fatto che chi dovrà capire non lo farà, e che chi crederà di aver capito non era invece fra i destinatari di queste considerazioni. Quindi chiudete qui: è meglio. Davvero, è meglio per tutti.

Pendolari

Il “la” me lo ha dato un articolo letto chissà dove, chissà quando e chissà perché. Pulviscolo digitale. L’indignazione dell’autore per gli armenti di pendolari, a suo dire incapaci di protestare e reagire per le disumane condizioni a cui i treni li sottopongono quotidianamente: ritardi, sporcizia, calca, puzza. E ritorno. Perché non reagite? Reagite! Pretendete una sistemazione comoda! Pagate l’abbonamento, quindi ne avete il diritto! REAGITE! Era questo il “senso” di quell’articolo. Articolo di superficie. Intellettivamente stanco.

Perché non reagiscono? Te lo chiedi anche tu, però. Vai a fondo. Scavi. Perché quelle donne e quegli uomini si comportano come mandrie? Perché accettano quella condizione? E, più vicino a me: perché quell’ombra nello sguardo? E quel labbro arricciato? E quel tremolio della voce? Stessa questione, contesti diversi.

E’ una questione sociale, non soltanto personale. Il carnefice di quei pendolari è lo stesso di chi attribuisce scelte come la mia a una presunta condizione di privilegio (economico, culturale, attitudinale). Arroccamento nella propria zona di comfort, ecco cos’è. Rassegnandosi al proprio destino in un caso, insinuando sospetti di corsie preferenziali nell’altro. Conservo sempre la presunzione di parlare a chi desidera pensare alto e a chi sa dismettere le proprie armature (pre)concettuali, non certo a chi arriva qui per caso o per morbosa curiosità. Se facessi dipendere ciò che penso, dico e faccio dal consenso che ricevo (o dai “like”, per apparire moderno), significherebbe per me una nuova… sconfitta. Esattamente come quando, fino all’anno scorso, lavoravo anch’io dietro a una scrivania e il giudizio che gli altri davano di me era ferocemente più rilevante di quello che, sempre di me, davo io. Chi ha un’occupazione alle dipendenze di qualcun altro conosce benissimo questa sensazione dissociante.

ComfortZone

Subire le umilianti condizioni di quei vagoni sporchi, lenti e appiccicosi ha la stessa spiegazione sociologica di quel labbro arricciato, che garbatamente mi rinfaccia di essere un privilegiato, un narcisista o – nel migliore dei casi – semplicemente un folle. Va bene, va benissimo così: non mi interessa convincere nessuno del contrario. Per consolidarci sempre più nelle nostre zone di comfort, additare come folle chi ha invece provato ad uscirne è un esercizio indubbiamente efficace, come se non lo sapessi! Il problema è però ancora quello di prima, non ne siamo usciti: perché tutti quei pendolari non reagiscono? Ogni mattina ed ogni sera trascorrono diverse ore imprigionati in quei convogli sferraglianti, avvolti nella puzza dell’olio bruciato dei freni, abbracciati a sudatissimi sconosciuti, condannati alla stessa sorte dopo interminabili giornate di lavoro, la cui ricompensa quotidiana sarà mezz’ora di Lilly Gruber in tv (ciclicamente interrotta dalla pubblicità del “deodorante a cui chiedere di più”, visto che “la vita ci chiede sempre di più”). Amen. Passando dal Via, ritirate pure le vostre ventimila Lire. Slurp.

Il motivo per cui quegli schiavi accettano quella condizione (o per cui gli operai dell’Ilva scelsero di rischiare un tumore pur di lavorare) non è l’assenza di immaginazione, no. Non è la carenza di opportunità. O di coraggio. E non è nemmeno la paura. Il vero, impronunciabile motivo per cui subiscono quella condanna quotidiana è che sono intimamente consapevoli di trovarsi sotto ricatto. Sanno perfettamente che il gioco a cui stanno giocando è truccato alla fonte. Sono perfettamente al corrente di aver barato per anni (prima di tutto con loro stessi) e di aver puntellato – avendovi accondisceso – quel sistema consumistico-produttivo totalmente privo di Senso. Sanno perfettamente che il vero prezzo da pagare per l’illusione di avere una qualche chance tra il “Parco della Vittoria” e il “Viale dei Giardini” passa anche per quel tacito supplizio quotidiano. Professioni inutili. Metodicamente frustranti. Che ti obbligano a dire dei SI quando vorresti urlare dei NO. E viceversa. Professioni fondate su una sistemica inefficienza (la vera, segreta risorsa dei giorni nostri) e distanti anni luce da ogni naturale bisogno, sia per le persone che per le organizzazioni a cui appartengono. Opache liturgie quotidiane per certificare, ogni giorno, di avere avuto un ruolo.

Credete che queste atroci considerazioni siano ignote, a quei pendolari? Ovvio che no: sono stati meticolosamente addestrati a ritenere che fuori da quel labirinto il loro pezzo di groviera non siano in grado di trovarlo. Quindi stanno lì. Guardandosi bene dal reagire. Perché la patta sporca ce l’hanno innanzitutto loro, lo sanno benissimo. E, quel che è peggio, lo sa perfettamente anche chi stabilisce le regole del gioco. A sua volta vittima di un carnefice più in alto in grado, ma come lui animato dal medesimo burattinaio. E’ un modello, questo, fondato sul ricatto della reciproca inutilità: tutto è ammissibile, perché niente è davvero indispensabile. E’ solo per questo, che salgono ogni giorno su quel treno. Ed è sempre per questo che qualche labbro, ogni tanto, ancora si arriccia.

Ma è anche per questo, in fondo, che piccole folle si radunano con maggiore insistenza intorno a Vivere Basso, Pensare Alto, dando vita a indimenticabili momenti di condivisione come quelli nelle foto:

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Una risposta a “Folle

  1. Sì, è inutile negarlo; la maggior parte della “gente” sa benissimo cosa sta facendo, perché e come uscirne: quello che spaventa sono le conseguenze del “come uscirne”. Con ciò intendo non le conseguenze magari a livello economico (in primis la rinuncia ad avere o desiderare certi status symbol), ma a livello personale profondo; a livello di autostima.

    Vale anche per la politica, se tu o qualcuno di quelli che stanno leggendo, si fossero mai posti la fatidica domanda. “ma perché continuano a votare”?

    Lo fanno per un problema di autostima, che non oserebbero mai confessare agli altri; anche se questi “altri” lo sanno benissimo, sia che si trovino nella loro stessa situazione, sia che ne siano venuti fuori. Una sorta di tacito consenso di massa.

    Provate a pensare: cosa dovrebbe dire, alla propria famiglia, chi da una vita dà il proprio consenso a una feccia di mafiosi e arraffatori? Forse “l’ho fatto per voi”? Dovrebbe dire: “Cara moglie, cari figli, sono un idiota. Avete davanti a voi un povero coglione, che pur sapendo che avrebbe messo il cappio al collo a se stesso e ai suoi cari per tutta la vita, ha fatto finta che, in quel modo, si sarebbe stati tutti meglio”. Un purificatore, catartico salto dalla finestra (se ci si trovasse dal terzo piano in su) potrebbe sottolineare l’ultima frase detta.

    Perché è ovvio che c’è un’altra possibilità (c’è sempre un’altra possibilità), ovvero quella di cambiar registro. Ma come lo spieghi, alla moglie e ai figli, che devono rinunciare all’I-pad, al vestito all’ultima moda (o alla sua imitazione, visto che non se lo possono permettere), alla paghetta da sperperare nelle gare di spritz?

    Meglio dar la colpa agli extracomunitari e continuare a votare, maledicendo il governo ladro. Meglio far (quasi) tutti finta di niente.

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