Allacciate le cinture e trattenete il fiato: questa volta non ci sono uscite di sicurezza… 😉
Non dovrei essere io a dirlo, ma il post che state per leggere, appartenendo alla categoria che preferisco, è uno di quelli destinati ad aprire nuove prospettive e, auspicabilmente, a svegliarvi domattina osservando il mondo con occhi diversi. Per me, almeno, è stato così.
Parleremo di società e di economia. Parleremo di questioni sostanziali sullo stato di salute della società e su come questo dipenda strettamente dalle politiche economiche che vengono adottate. Affronteremo questi temi – i più cari ad LLHT – da un punto di vista squisitamente razionale e documentaristico, senza lasciare spazio a impressioni, emozioni o suggestioni di sorta. Alla fine del viaggio, mi auguro, avremo tutti capito qualcosa in più della piega che stanno prendendo le cose. E, soprattutto, del perché ciò stia avvenendo. Qualcuno, forse, intuirà anche come trarre qualche giovamento personale…
Partiamo dalla Libertà. Quella con la elle maiuscola. Pensateci: quante volte questa parola ricorre nelle vostre vite? Quante volte la leggete sui giornali? Quante volte la ascoltate? Fate una prova: fissatevela bene in testa e, nei prossimi giorni, contate per quante volte vi ci imbatterete. La comunicazione sociale ne è piena zeppa. Pensate alla propaganda elettorale, o anche solo al nome dei partiti politici: Polo della Libertà, Sinistra Ecologia e Libertà, Futuro e Libertà, Alleanza di centro per la Libertà, Libertà e Autonomia, per non parlare della “Libertas” che ha troneggiato per cinquant’anni al centro dello scudo crociato, simbolo della Democrazia Cristiana. Se si pensa al marketing pubblicitario, invece, non basterebbe un intero post per elencare tutti gli slogan che abusano di questa suggestione: penso a “Liberi di…” (Sky) e a Esprit Libre (sia Peugeot che BNP Paribas), o penso direttamente ai nomi di prodotti e modelli che si affidano a questo concetto per evocare e catturare le emozioni dell’acquirente, come Freelander o Freemont (per dire solo le prime che mi vengono in mente). La promessa della libertà è diventata ipocritamente evangelizzante: è una parola diventata ormai come il prezzemolo: dà sapore, impreziosisce i piatti da un punto di vista estetico, non dà mai fastidio. Ma se manca, si è tuttavia portati a storcere il naso!
Pensiamoci: rivendicare oggi la libertà (almeno nel mondo occidentale), prometterla nella comunicazione mediatica, propagandarla come un messaggio salvifico… che senso ha?? Chi, oggi, può davvero dirsi privato della libertà? Pretendere o garantire la libertà è un po’ come rivendicare – che ne so – il suffragio universale! O il diritto di opinione! Stiamo parlando di qualcosa che, fortunatamente, è ormai dato per scontato. La libertà, semmai, diventa piuttosto per qualcuno la versione nobile e spendibile del neoliberismo… Ma su questo torneremo più avanti.
Questo post, tra le altre cose, tenterà di dimostrare quanto questa parola sia invece anacronistica, vuota e inutile. Inoltre, con l’ausilio di un autorevolissimo studio, anticiperemo come questa parola sia destinata, a brevissimo, ad essere soppiantata nella comunicazione sociale da un termine che, invece, è stato sbrigativamente accantonato e messo a prender polvere in soffitta: sto parlando dell’uguaglianza.
Lo studio citato è “La misura dell’anima. Perché le disuguaglianze rendono le società più infelici.”, un testo che è già stato consigliato su LLHT e che ora, dopo averlo concluso, riletto e sviscerato, sono arrivato a considerare nientemeno che una bibbia della contemporaneità. Un manuale di sociologia (teorica e pratica) che dovrebbe avere un posto d’onore sulla scrivania di ogni policy-maker occidentale, di ogni ministro dello sviluppo economico, di ogni primo ministro. E – lo dico piano – vista l’importanza che sta assumendo questo tema, non è escluso che così sarà. Non sono io a suggerirlo: il fatto che il maggior sociologo vivente, cioè Bauman, gli dedichi un intero capitolo del suo ultimo libro, “Cose che abbiamo in comune”, credo sia una referenza assai più autorevole della mia… Fidatevi: guadagnate tempo e correte a leggerlo!
“La misura dell’anima” è infatti un testo fondamentale per capire, essenzialmente, due cose: (1) come siamo arrivati a questo punto e (2) come se ne può uscire.
Gli autori, Richard Wilkinson e Kate Pickett, due epidemiologi che hanno applicato alle scienze sociali metodi statistici di laboratorio, offrono un quadro assolutamente completo, fruibile e scientificamente inattaccabile di come una variabile-chiave su tutte, cioè la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi nelle economie sviluppate, sia il fattore scatenante del peggioramento di un set (predefinito) di indicatori della qualità della vita.
Gli indicatori sono in tutto 9 e l’intero volume è dedicato ad indagarne la correlazione, sia nel panel delle nazioni sviluppate che – relativamente agli USA – in quello dei suoi cinquanta Stati, con l’equità distributiva dei redditi: il legame tra questa grandezza e ciascuno dei 9 indicatori è incredibilmente rivelatore. Nella fattispecie, gli indicatori esaminati sono:
- Fiducia sociale
- Disagi mentali (nevrosi, depressione, tossicodipendenze)
- Speranza di vita e mortalità infantile
- Obesità
- Rendimento scolastico
- Gravidanze in età adolescenziale
- Omicidi
- Carcerazione
- Mobilità sociale
Ma andiamo con ordine…
Già la premessa, di per sé, è sconvolgente: prima di analizzare uno ad uno i nove indicatori, si utilizza infatti un loro mix (media aritmetica semplice) e, nel campione delle economie sviluppate (23 in tutto), si prova a correlare questo indicatore sintetico (da loro chiamato per semplicità “indice dei problemi sanitari e sociali”) sia con il reddito medio procapite, che con l’indicatore-chiave di tutto lo studio, cioè appunto la disuguaglianza distributiva dei redditi. Ebbene, mentre nel primo caso non esiste correlazione, nel secondo caso la correlazione è… schiacciante!
Per i meno avvezzi a questa terminologia, questa prima, incredibile evidenza dimostra che, mentre non sembra esistere un legame di reciproca influenza tra una misura sintetica delle problematicità sociali (che potremmo anche definire di “qualità della vita”) e il livello di reddito medio della popolazione, sembra invece che il peggioramento della qualità della vita sia in qualche modo legato all’ampliarsi delle disuguaglianze economiche e, viceversa, che i paesi con minori problematiche sociali siano anche quelli in cui il reddito è distribuito più equamente.
Già la portata di questa prima evidenza, si capirà, è colossale, è di quelle che dovrebbero far tremare i polsi! Non stiamo infatti parlando di impressioni o di chiacchiere da bar, stiamo parlando di un tema – se vogliamo intuitivo – ma… dimostrato scientificamente!
In pratica, stiamo dicendo che, ai fini del benessere di una nazione, non conta tanto il livello medio di ricchezza dei suoi abitanti, bensì il grado di equità con cui questa è distribuita tra le persone! Così, economie anche mediamente più povere, ma con la ricchezza distribuita più equamente, godranno di un maggior benessere rispetto ad economie mediamente più benestanti.
Due grafici aiuteranno a fissare meglio questo concetto epocale:
Si può chiaramente notare, nel grafico di destra (fonte: Equality Trust) come i paesi con una minore disuguaglianza distributiva (asse orizzontale) siano anche quelli caratterizzati da un minor livello di problematiche socio-sanitarie (asse verticale): Giappone, Svezia, Norvegia e Finlandia. Viceversa, nei paesi contraddistinti da una maggiore iniquità nella distribuzione del reddito (USA, Regno Unito, Portogallo), l’indicatore sintetico della qualità della vita si deteriora.
Osservando invece il grafico di sinistra, in cui il medesimo indicatore di benessere socio-sanitario è incrociato, per ogni economia, con il reddito medio della popolazione, tale legame… scompare!
Da questo assunto – autenticamente spiazzante per gli addetti ai lavori – discende poi un’ampia trattazione (la parte centrale e più interessante dello studio) che focalizza sulle relazioni che legano ciascuno dei nove fattori sopra indicati alla solita grandezza-chiave, cioè quella ormai candidata a spiegare il diverso livello di benessere nelle economie sviluppate, cioè appunto la disuguaglianza distributiva.
Non mi soffermerò ora sulle evidenze emerse, le quali – in molti casi – sono altrettanto stupefacenti (incredibile scoprire come le cosiddette “minacce da valutazione sociale” e altri fattori psico-sociali rivelino un’influenza dirompente sui nostri comportamenti, sulle nostre performance e, soprattutto, sulla nostra salute…). Anche perché, ripeto, quel libro è già diventato un “must” per chi si occupa o anche solo per chi è affascinato da questi temi. Solo a titolo di cronaca, ricordo che proprio in questi giorni, in Bhutan, è riunita una equipe di esperti e studiosi (rappresentata per l’Italia dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini) che, sotto il patrocinio della Nazioni Unite, ha il preciso compito di individuare una grandezza alternativa al PIL per lo studio del benessere delle economie. Sempre in questi giorni, si svolge a Roma l’ottava edizione del “Festival delle Scienze”, avente ad oggetto la fattibilità della creazione di un indicatore per la misura della felicità (tema certo non nuovo, ma sempre più attuale). La settimana scorsa, a Davos in Svizzera, si è svolto il meeting annuale del World Economic Forum, il cui tema centrale è stato quest’anno la ricerca e l’attuazione dei sentieri di resilienza, sia nei paesi emergenti che in quelli sviluppati. Sono temi, insieme alla questione climatica, che il mondo non può più posticipare, specialmente alla vigilia dell’esportazione del capitalismo su scala globale. Sono temi che determinano non solo il nostro futuro, ma già il nostro presente. Temi che, legittimamente, autorizzano ad effettuare delle scelte…
Tornando alla “Misura dell’anima”, non potendo e non volendo affrontare la questione di come la distribuzione del reddito minacci empiricamente ciascuno dei 9 indicatori del benessere socio-sanitario, mi limiterò a proporre una tabella riassuntiva (creata da me), in cui vengono tratteggiati, per ciascun “ingrediente” dell’indice sintetico di benessere sociale, sia la metrica adottata per la sua quantificazione, sia soprattutto le principali relazioni causali che spiegano la connessione tra il livello di disuguaglianza sociale e il valore dell’indice: è solo una traccia, non si pretenda di esaurire l’argomento con questa tabella. Mi auguro però che accenda ugualmente qualche lampadina…
Infine, una domanda: avete per caso sentito parlare di queste cose, in televisione o sulla carta stampata generalista? Non dico che i convegni internazionali sopra citati abbiano qualche chance di pervenire a qualche risultato concreto (troppi interessi economici e troppi retaggi del passato), ma è indecente come questi temi, che stanno affliggendo l’umanità, non siano ritenuti degni di essere sottoposti alla pubblica attenzione!
Soprattutto: siamo in piena campagna elettorale! E, sebbene io ne stia intenzionalmente fuori, non mi risulta che alcuno dei partiti si sia ancora preso la briga di dire una parola, una sola parola, su questi argomenti. Si tratta di temi che, mi sembra ormai chiaro, rappresenteranno lo snodo cruciale del benessere sociale ed economico dei prossimi decenni, in tutta Europa e a maggior ragione in Italia. In compenso, assistiamo alla peggiore dimostrazione di pochezza programmatica degli ultimi vent’anni! In fondo, posso capirlo: il margine d’azione che questi signori hanno sul destino dell’Italia è meno dell’uno per cento. Siamo entrati in un vicolo cieco nel quale saranno solo e soltanto le tecnocrazie europee a decidere per noi!
Se qualcuno ancora si azzarda a sostenere che non andare a votare, o dare un voto ritenuto “di pancia” (o “di piazza”), stavolta sia sbagliato, bè… dopo questa indecente dimostrazione di “passione civile” e di “premura prospettica” da parte dei nostri politicanti tradizionali (tutti quanti, nessuno escluso!), credo che farebbe meglio a starsene zitto!
Prima di chiudere questa “cavalcata”, rivolgo a tutti gli intrepidi che hanno resistito fino in fondo un appello (essendo la prima volta che lo faccio, spero sia chiaro quanto la mia richiesta sia genuina e aliena da interessi personali): divulgate questo post, per piacere. Fate conoscere questo libro al maggior numero possibile di persone. E, soprattutto, leggetelo voi per primi. Grazie.
Sono un amico di vecchia data dell’ottimo e scrupoloso autore di questo bellissimo blog. Mi intendo poco di economia, mi interesso un pochino di politica, senza grande passione. Il mio approfondire e’ mosso da un senso di inquietudine, generalizzato e oscuro. Ho letto qua e la’, raccogliendo suggestioni. Ho letto anche diverse cose che appartengono alla cosiddetta “teoria del complotto globale”, che forniscono combustibile alle peggiori fantasie. Vorrei dare un modesto contributo alla riflessione di questa eterogenea comunità’ di lettori del blog. Di mestiere faccio lo psicoterapeuta, mi occupo quindi di emozioni, e di malessere. Io non so se questa crisi e’ davvero “uno strumento”. Ma se così’ fosse alcune cose avrebbero una logica. Sapete perché? Perché’ il malessere che viene prodotto dalla crisi, nelle vite e nelle coscienze delle persone, e’ il presupposto per far maturare il bisogno di una completa e incondizionata delega. La storia ce lo insegna, in modo clamoroso nella Germania che usciva dalla prima guerra mondiale, che delego’ a Hitler la risoluzione del malessere. Ma è’ così anche nello spionaggio. Le vessazioni rendono arrendevole il prigioniero, che arriva ad affidarsi completamente al carceriere, REGREDENDO ad un livello di funzionamento infantile, in cui la personalità diventa dipendente e bisognosa. Il malessere provoca stress, lo stress spegne la parte più’ evoluta e creativa del nostro cervello, cresce un senso di sopraffazione e si cerca il più’ possibile di semplificare, anche tagliando ciò’ che in altri momenti non taglieremmo mai, come la nostra libertà’. Io non so se questa crisi e’ voluta e pilotata da qualcuno, ma il risultato della crisi, sarebbe comunque lo stesso. Preparare il terreno per la ricerca di soluzioni SEMPLICI, da parte dei cittadini sempre piu’ impoveriti, deprivati, spaventati. È chi è’ che si offre di assumere la delega? Chi è’ che ne ha già’ assunta una sostanziale fetta?
Un abbraccio a tutti, specie all’autore di questo interessante blog. E complimenti per il lavoro fin qui svolto.
Cois
Ciao Cois,
essendo noi carissimi amici, tu mi insegni (vista la tua professione) che ogni forma di reciprocità, tra te e me, subirebbe inevitabilmente il condizionamento della nostra conoscenza.
Motivo per cui, “non” ti ringrazierò per le tue bellissime parole.
“Non” ammetterò quanto sia onorato del tuo intervento e quanto piacere mi abbia fatto leggerlo.
“Non” ti confesserò (cosa che scoprirai da solo, se continuerai ad esplorare il blog) come la mia principale fonte di orgoglio sia constatare come LLHT riesca a polarizzare l’attenzione di persone che io definisco “di qualità”, espressione volutamente evocativa, ma dal significato per me inequivocabile.
E “non” attribuirò infine le tue suggestioni sulla “teoria del complotto globale” alla tua ancora giovane conoscenza del blog: se proseguirai, infatti, scoprirai che LLHT non crede in questa forma di europeismo, stabilita da decenni a tavolino, prima sulla base di una ingenua politica monetaria, poi di una (questa, scellerata) politica fiscale. Due politiche che, come tu brillantemente sintetizzi, stanno creando migliaia di carcerieri e milioni di prigionieri. Questo io non lo chiamo complottismo. Lo chiamo, appunto, Europa.
Sei il benvenuto, Cois. Chiavi di lettura che solo tu sai dare sarebbero importantissime, per questo spazio. Anche credendoci, si fa fatica.
Un saluto affettuoso alla Stefy e ai ragazzi.
argomento molto interessante, è rincuorante sapere che esistono delle persone che spendono il proprio tempo nel sapere e divulgare notizie utili per l’elevazione dell’ essere.
Ah, en passant, complimenti per come si sta strutturando il sito. E’ sempre più completo: le tendine coi link, i punti salienti, le frasi dei politici non le avevo notate
Ti ringrazio, i complimenti che il blog riceve mi fanno sempre piacere: specialmente poiché LLHT è davvero nato quasi solo per gioco e, tutto sommato, mi dedico alla sua manutenzione solo nei ritagli di tempo. Ciao.
Noto come il Giappone salti agli occhi come una specie di paradiso se compariamo i due grafici. Uguaglianza, reddito stabile, pretese della società chiare. Il chè può essere vero ma significa anche che chi a quelle pretese non vuole stare immagino venga escluso di punto in bianco. Personalmente ammiro i giapponesi ma accantono la meraviglia per la loro forza collettiva-ormai in crisi- quando mi si dice, fatti alla mano, che è figlia di un’unica, rigida volontà. I ragazzi giapponesi che adesso avranno la mia età e gli artisti hanno sempre denunciato questa voglia di uniformità. Sembra che neanche l’uguaglianza, quando cala dall’alto, non sia priva di contrindicazioni.
Un conto è l’uguaglianza, un altro conto è l’uniformità o – se preferisci – l’omologazione. Lo studio di Wilkinson e Pickett (che non spetta certo a me difendere) si limita tuttavia ad indagare le ripercussioni e i nessi causali tra la distribuzione del reddito e un set di indicatori sociali e, soprattutto, sanitari. Tra questi, ovviamente, non compare la creatività o la tutela degli artisti. Che, evidentemente, non attiene strettamente alla sfera della salute pubblica. Ciao.
Que maravilloso lugar! Mi hai messo addosso una voglia ed una curiosità di andarci pazzesca!
Sì, i due interventi di Mikhail sono stati superlativi! Non è facile trovare una simile capacità di diagnosi, nel bene e nel male, nei confronti di qualcosa che comunque si conosce bene: il rischio di scivolare in qualche pregiudizio è sempre in agguato…
Che faccio, Mikhail? In previsione di quando ti trasferirai, creo intanto l’account Twitter @LLHT_cuba? 😉
Andrea, COMUNICAZIONE DI SERVIZIO:
Ma dove sono le donne? Comincio a sentirmi un po’ sola qui o almeno in nettissima minoranza 🙂 … mi piacerebbe che partecipassero di più e sarebbe bello conoscere approcci diversi alle questioni poste qui…
COMUNICAZIONE DI SERVIZIO N. 2
Non è che la carta di sfondo dei post si può cambiare? Non è perché sono una donna e che mi piacerebbe quella rosa e viola con il pizzo macramé… no no… è solo che fa male agli occhi ed è, in ultima istanza, leggermente respingente:-)
Quanto alla comunicazione di servizio numero 2, se non ricordo male, credo di aver già affrontato il tema nella risposta ad uno dei primi post: lo sfondo della carta stropicciata è oggettivamente orripilante e me ne scuso con i lettori. Purtroppo, però, questa è una impostazione di default che non dipende da me, ma viene automaticamente definita da WordPress. Da quel poco che ne so, credo che per modificarla occorrano o una versione più evoluta di WordPress (a pagamento) o delle conoscenze informatiche che (purtroppo) non ho.
Quanto invece alla comunicazione di servizio iniziale, al di là della citazione “capovolta” dell’ultimo libro di Simone Perotti (che credo gradirebbe), bè… mi piacerebbe davvero che a rispondere fossero proprio loro: le donne. Coraggio, niente paura! Fate come Marica, che dice un sacco di cose interessanti e, quelle che invece non sa, le chiede! (Sempre che io sappia poi rispondere…)
Ciao
E’ un posto bello Andrea. Dove si imparano molte cose. Soprattutto a farsi le domande e questo già mi sembra un motivo sufficiente (per me) per esserci…
Sulla carta da sfondo: va beh, ci possiamo adattare!-)
In effetti temo che il peso della tesi ed il rigore scientifico con cui è stata sviluppata, non graverà molto sui polsi che dovrebbero tremare… Purtroppo se anche l’equazione fra disuguaglianza ed infelicità non era un teorema, quantomeno il buonsenso e la decenza avrebbero comunque dovuto far intuire il nesso fra queste due condizioni e turbare le coscienze, eppure…
Comunque il lavoro è molto interessante, e costituisce un intralcio cospicuo per i seguaci bellimbusti della favola del mercato. Mi è venuto però da chiedermi una cosa che trovo curiosa e che non penso gli autori possano aver trascurato: fra i paesi con meno disuguaglianza spiccano Giappone e paesi Scandinavi, caratterizzati da un elevato tasso di suicidi… Se fosse integrato questo parametro nell’indicatore, quale sarebbe l’impatto?
Per quanto riguarda la politica.. se è vero che il partitismo è un cesso, la dimensione politica è da coltivare, come partecipazione attiva, senso di cittadinanza, provocazione delle istituzioni, voglia di condivisione e coesione sociale.
E’ vero.. la politica del partitismo non proporrà alcun cambiamento. Solo l’impegno dei singoli, la loro voglia di fare tessuto, di cercare un minimo comune multiplo su cui riconoscere le proprie “motivazioni fondamentali”, potrà indicare una rotta di uscita.
Per riallacciarmi poi al post precedente.. non credo sia facile pensare di rinunciare a tutto… non sono neppure convinto che le scelte giuste siano solo quelle nette. Io almeno non mi sento pronto a questo tipo di orizzonte.
Credo che però sia fondamentale interrogarsi, provocare la propria coscienza, ed addestrarsi alla rinuncia.
Per me la rinuncia non è un valore di per se, ma il prodotto di due esigenze: la ricerca di essenzialità, perché credo che in ciò che è semplice ci siano le ricette della felicità, e soprattutto la ricerca di “prossimità”, ovvero attribuire a se stessi le stesse esigenze fondamentali che hanno gli altri, e quindi il tentativo di rinunciare all’eccesso, per non togliere ad altri ciò che è fondamentale per me. Questo credo valga più di ogni gesto di carità più o meno genuino. Un po’ come l’obolo della vedova!
Mi sono solo permesso di evidenziare in neretto alcune tue affermazioni. Che fanno di te un interprete perfetto del messaggio. Ciao Simone.
Sono abbastanza d’accordo con Simone, mi sa che non vedremo molti polsi scossi dal tremito… ci saranno molti pruriti a molte mani, ma anche qui temo che verranno imbanditi circenses a sufficienza per anestetizzare le coscienze.
Tanto più se ci si impoverisce uniformemente (quasi) tutti. In questo senso temo che quanto lo studio rivela indichi che sarà molto facile far dimenticare a tutti il welfare perduto (o predato…) senza troppi scossoni.
Già più o meno tutti ci stiamo ripetendo come un mantra che (pur pagando fior di contributi) non avremo mai la pensione, e nessuno sta mettendo a ferro e fuoco le piazze.
Intendo leggermi il libro, come anche quello di Stiglitz:
“The Price of Inequality: How Today’s Divided Society Endangers Our Future”
Tu Andrea lo hai letto?
Grazie per questo blog che leggo con interesse.
Può darsi. Ma può anche darsi di no. La Storia procede a cicli. Cicli che, anche se per forza di cose facciamo fatica a comprenderlo, hanno una lunghezza d’onda assai superiore alla durata delle nostre vite: dipende solo da quali generazioni si sovrappongono al punto di svolta…
E poi, è vero: le coscienze potranno essere anestetizzate dal circo, hai ragione.
Ma le pance, invece, richiedono il pane…
Quanto al libro di Sitglitz, ho letto una recensione e un’intervista sul suo libro. Quando avrai letto il libro per intero, sappi che se vorrai pubblicarne una recensione LLHT è ovviamente a tua disposizione (c’è la sezione “Pensare High” fatta apposta)!
Se ne hai voglia, dai un’occhio anche a questo post di Paul Krugman, che ho trovato molto interessante.
Ciao.
Grazie per il commento. Vado a leggermi Krugman, che in generale apprezzo.
Sono d’accordo sul fatto che potrà essere la pancia vuota a far saltare il banco… ma forse riusciranno a distribuire anche il “panem”, oltre ad ammannirci i “circenses”. Vedremo.
Intanto ho scoperto che esistono interi mondi economici, anche qui da noi, che funzionano in base a concetti e valori di solidarietà e condivisione. E’ così una parte importante del terzo settore, che forse può costituire un modello di economia e sviluppo alternativo.
Ho anche letto i lavori di Yunus e sono in contatto con lo Yunus Centre di Firenze (ancora in embrione, ma c’è e sta tentando di importare il social business “alla Yunus”) – tu che ne pensi?
Esiste anche, e guarda caso ancora in Toscana, un polo della cosiddetta “Economia di Comunione”, uno strano modo -nato in ambito cattolico- di fare impresa coniugando imprenditoria tradizionale e sociale. Insomma, tante cose bollono in questo melting pot da basso impero…
Nel frattempo leggo Siglitz e, sì, ti preparo una recensione. Grazie per l’ospitalità!
Giovanni, non devi ringraziarmi. L’unica cosa che mi sono sempre aspettato dagli amici di LLHT è che non “scadano” in argomenti e toni da… Bar Sport! E, fortunatamente, non c’è mai stato bisogno di esprimere e ribadire il concetto! Questa, aggiungo, è la cosa di cui vado più fiero!
Quindi, non appena sarai pronto con la recensione, mandamela pure: vedi tu se spedirla via mail o caricarla direttamente su “Pensare High” (in ogni caso, avrei pensato di pubblicarla lì).
Quanto a Yunus, credo che il suo lavoro rappresenti un inimitabile punto di riferimento per una tendenza che sta fortunatamente diffondendosi anche qui (anche se mooolto lentamente): non penso solo a Banca Etica, ma più in generale alla progressiva attenzione al microcredito alle imprese e alle realtà che hanno meno accesso ai finanziamenti. La cosa che apprezzo però più di lui, in apparente contrasto con lo spirito della sua banca, è la forma-mentis del suo progetto. E’ uno dei pochi, credo, in grado di coniugare una vocazione “umanitaria” ad una struttura “imprenditoriale”: il social-business è certamente “social”, ma – per far breccia ed evolvere – deve necessariamente essere anche… “business”!
E, fidati, nel mondo dell’associazionismo e del movimentismo in genere, sono due vocaboli che spesso stridono. Per non dire che sono come il diavolo e l’acqua santa! E, a mio parere, non c’è nulla di più sbagliato. Ma su questo tema torneremo. Eccome! 😉
Ciao
la demolizione del welfare è una cosa a cui assistiamo quotidianamente. Mi preoccupa e mi avvilisce. Anche qui mi viene da pensare che l’unico modo per tamponare (e curare?) l’emorragia sia creare esperienze di condivisione…
E’ paradossale come nel mondo moderno, penso in particolare all’esperienza di vita “urbana”, le persone che si incontrano per strada si considerino estranee. La gente ha lasciato le campagne ed i paesi, dove tutti si conoscevano, e per quanto possibile si sostenevano, per trovarsi a vivere in luoghi molto più densamente abitati, ma in situazioni di relativo isolamento. Ed è curioso il successo dei social network, in cui riconosco il bisogno di rompere questo isolamento, ma “in modo schermato”… pertanto inefficace.
E’ compito nostro, quello di riappropriarci della confidenza del vicino, del piacere delle relazioni, della mutua dipendenza… Ho 34 anni ed anche io ho quasi rinunciato all’idea di andare in pensione ad un’età in cui quella pensione potrà permettermi di godere un ventennio di vita libera in buona salute… il prossimo passo è convincersi che senza la pensione integrativa quello che percepirò a settant’anni non basterà a pagare le spese mediche e la badante.
E se per evitare l’ansia le persone tornassero ad appoggiarsi al vicino? Penso a tante esperienze interessanti, come quelle di cohousing… o di tutte le esperienze di comunità in genere…
Una provocazione questa, che trovo molto più forte della scelta di rinuncia ad una qualsiasi comodità a cui ci siamo più o meno assuefatti…
Condivido al 100% quel senso di demoralizzazione per l’inaridimento delle relazioni nella vita urbana! Anche se, in base alla mia esperienza, spesso vedo che basta solo rompere il ghiaccio per primi, per poi scoprire, anche nel vicino di casa, delle persone inaspettatamente splendide. Forse, è proprio solo quella innaturale diffidenza inculcataci dalla società moderna urbanocentrica, a frenarci… (qualcosa di simile alle famose “social-evaluation threats” accennate anche nel post)
Quanto invece al tema della rinuncia, oltre a “maledire” la volta che ho deciso di scrivere quel post su San Francesco… ;-), vorrei ribadire una volta per tutte che la rinuncia a certe cose non equivale a privarsi di benessere o a indossare un cilicio! Qualcuno, non ricordo più chi, aveva detto che certe cose (come per esempio la “solita” tv) procurano comunque un’utilità, se sapute usare bene. E che, quindi, la loro rinuncia avrebbe comunque comportato una (evitabile) penalizzazione. Questa è un considerazione che considero del tutto opinabile, in quanto:
a) personalmente, non ritengo infatti la tv nè utile (e neanche neutra): la ritengo gravemente dannosa (salvo in pochi, limitatissimi casi); eliminare quindi la tv non è un esercizio di rinuncia, ma è un incredibile percorso di accrescimento individuale/famigliare;
b) al di là del pluridibattuto tema della tv o di altri gingilli high-tech (che trovo ormai, nel 2013, sinceramente stucchevole), ribadisco come la loro rinuncia non sia “la” soluzione, ma sia un banale esercizio di allontanamento da certe forme di condizionamento occulto e, simmetricamente, di avvicinamento ad una salutare propensione alla coesione sociale che, in prospettiva, non si discostano molto dalle soluzioni che prospetti anche tu (co-housing, transition-towns, esperienze comunitarie…).
Ciao
E’ vero, Andrea, quanto tu dici sul mondo dell’associazionismo e movimentismo (e aggiungerei di certa parte della cooperazione) ed il suo rapporto malato con il business. Molto vero.
E ritengo che la visione di Yunus sia ancor più apprezzabile proprio per il concetto che pone alla base: la sostenibilità economico-finanziaria di ogni attività “social business”, che non può e non deve reggersi su volontariato e/o donazioni. In più, chi ci lavora, deve guadagnare quanto e più di quanto guadagna chi svolge una mansione analoga in un’impresa tradizionale. Insomma, non è un business di serie B o per sfigati, anzi!
E’ un business in cui il ROI, il ritorno dell’investimento, non è in dollari ma viene dalla soluzione di un problema sociale che, se irrisolto, genererebbe costi diretti ed indiretti sulla società. Un “dividendo sociale” che è anche economico!
Ciao!
PS. Non sono il Marco che ha scritto di “Libertà e Partiti” ma quello del commento successivo
In realtà l’assunto dello studio, così come le profezie di Bauman sullo sbriciolamento della società e delle certezze, sono sotto gli occhi di tutti, anzi sono le nostre vite se ci si ferma a guardarle (cosa da non dare per scontata). Il merito dello studio è piuttosto quello di aver portato l’equazione fra felicità e uguaglianza dal regno dei concetti e delle dimostrazioni astratte a quello dei dati statistici e delle dimostrazioni strettamente per gradi, in modo che adesso neanche i meno sensibili all’argomento possano fare spallucce di fronte all’evidenza di un’idea vecchia come la ricchezza e la povertà, un’intuizione autentica da migliaia di anni che non ha mai smesso di mostrarci la via, anche quando in mezzo ci stavano mari e monti. Basterebbe dire che l’uomo non ha mai valutato nulla, nemmeno il freddo o il caldo, procedendo per valori assoluti ma sempre confrontando il valore con quelli vicini nel tempo e nello spazio. Naturale che un uomo povero in mezzo ai poveri si senta perfettamente a posto mentre un cittadino pieno di lussi lamenti povertà se gli è messo di fianco Silvio Berlusconi.
Il merito dello studio è che DIMOSTRA, numeri alla mano, i pericolosissimi effetti collaterali del pensiero economico dominante degli ultimi trecento anni! E che, dal 1989 in poi, si sta naturalizzando nella Storia.
Come ho detto nel post, è roba da far tremare i polsi.
Ma – aggiungo – credo debbano tremare più i polsi di chi, grazie a questo pensiero, si è arricchito sconsideratamente (e in spregio delle più elementari norme di convivenza civile). A tutti gli altri, infatti, più che i polsi cominciano a prudere le mani…
Si naturalizza perchè è un’ideologia. Se fosse scienza sarebbe già incontestabile, cosa che non è, non importa quale sia la quota (non per forza maggioritaria, peraltro) che sostiene questa che è un’interpretazione del mondo, anche piuttosto limitante e forzata, peraltro
LIBERTA’ E PARTITI: io continuo a sentire forte l’esigenza di libertà. Vogliamo parlare di temi etici, di controllo dell’informazione, di educazione, etc…? Certo la libertà in bocca al mercato e alla partitocrazia è una parola vuota il cui utilizzo indigna. Del resto lì l’uso è penosamente strumentale alla vendita di prodotti, “merceologici” o politici…come i partiti. I partiti politici infatti sono un prodotto come un altro. Per me un partito medio ha lo stesso valore che so…di un dopobarba o di uno shampoo nutriente.. Questo non perché la partecipazione politica sia deprecabile, semplicemente perché la partitocrazia è diventata un’industria che lavora per mantenere se stessa (ad ogni elezione nascono nuove liste che dicono di essere per “il cambiamento” (altra parola svuotata), ma ormai crederci è da ottimisti sfrenati!!!) Ogni tanto la partitocrazia ha bisogno di dare una bella immagine di sé per restare sul mercato, poi torna alle sue attività. Ben che vada non fa danni e mantiene lo status quo.
VOTO: Per questo votare è inutile? Si,credo che in buona parte lo sia, come mi pare sia scritto anche in questo blog, il potere credo sia ormai dell’economia consumistica, un potere così grande da fare della politica la sua ancella…sempre più fedele… Esempi piccoli piccoli…non le lobbies occulte, …basta che si arrabbino i tassisti e i farmacisti e si blocca il parlamento. Figuriamoci i notai e gli avvocati…e poi basta andare a vedere chi finanzia la politica.. Non credo che i partiti si preoccupino più di tanto se le persone non vanno a votare, quindi non credo che l’astensione incida sulla politica, credo che votare sia come buttare le 100 lire nella fontana di Trevi… Vai al seggio, esprimi un desiderio…già che ci siamo facciamoci anche la foto ricordo!
UGUAGLIANZA: Che dire, hai fatto un gran lavoro, la scelta del tema, la sintesi, la tabella riassuntiva… Fai sul serio e questo è il bello del blog. Si, le società economicamente “impari” creano malesseri sociali…per lo stesso motivo Robin Hood rubava…ma si sentiva un giustiziere. Per lo stesso motivo manipoli di manifestanti molto incazzati ma poco lucidi non sentono ingiusto incendiare un Mc Donald o sfondare le vetrine di una banca…eppure quasi quasi pure Draghi, mi pare, ha detto “hanno le loro ragioni” (lo penso anche io che non ho mai rotto nemmeno una matita). Per lo stesso motivo la lotta “proletaria” negli anni ’70, le lotte per i diritti civili… E anche la rivoluzione francese… Portata a casa la dimostrazione statistico-sociologica mi resta che non ho comunque capito quale sia il nodo della questione. Cioè da chi dobbiamo aspettarci la redistribuzione dei redditi?.
CONSUMATORI: io non ho fiducia che la redistribuzione dei redditi arrivi da qualche ente che si riunisce in qualche parte del mondo, in questo momento credo che l’unica possibilità sia che i cittadini “mollino” la società mercantile, si riapproprino di un ideale, anche di una utopia. Provino a pensare come loro o i loro figli o i loro nipoti potranno sfruttare il progresso fin qui fatto per una maggiore autonomia e indipendenza individuale, come si possano allontanare dagli attuali concetti di mercato e di lavoro e si concentrino sul concetto di uomo e di ambiente. Che l’accumulazione di beni, il consumo compulsivo o come mezzo di gratificazione a se stante, l’idea del lavoro o del possesso come indicatori di uno status sociale cedano il passo ad un uomo libero, indipendente che nella sua autonomia si confronta con gli altri e che cerca nella sua forza creatrice e creativa quello che i greci chiamavano “il daimon”… Daimon è la parte dell’uomo a metà tra “la terra e il cielo”, la sua parte “divina”. Quella della eu-daimonia, cioè la felicità. Cosa potrebbe il mercato delle diseguaglianze contro un INDIVIDUO così? Questo mostro tornerebbe ad essere un docile micetto al servizio dell’uomo. Provare a cambiare oggi si può, la “crisi” lo sta indicando…facciamolo! Curiamo il nostro giardino…se poi arriverà qualcuno e ci porta pure dei fiori bene…altrimenti amen…
Scusa la lungaggine, complimenti ancora, ciao!
M.
Non ho ancora letto tutto perché all’inizio a vedere il post mi sono un po’ spaventata:-) … Mi ricorda un po’ la conferenza di Heinberg, quella che c’è anche in cineteca… Anche lui faceva vedere questi rapporti… ma devo finire ancora di leggere…
Bellissimo post!
carissimo, hai messo giù un articolo impressionante, ne ho letta solo metà perchè prima di andare avanti voglio buttare giù qualche spunto di riflessione: 1. Cuba, la gente “eke out a living”, possiede davvero poco ma è tutelata sotto il profilo sanitario come in poche altre parti del mondo; incontri le persone per strada che trasudano povertà, ma…sorridono! gli si legge negli occhi che amano la vita, e non hanno la fottutissima democrazia. 2. le epidemie di cancro e malattie cardiovascolari del nostro tempo hanno alla base tanti fattori concausali, ma ce n’è uno che condividono: sono figlie di comportamenti messi in atto dalle persone (consapevolmente o meno non importa) nel tentativo di appianare il divario socio-economico con le classi superiori (antropologia allo stato brado) 3. scrive Massimo Fini in un suo saggio (mi pare fosse “Sudditi”) che le classi inferiori nell’era pre-democratica avevano un alibi meraviglioso, che fungeva da sedativo per la loro situazione: la presunta origine divina del re e della sua discedndenza (per la serie: “Sono povero, ma tanto non posso farci nulla, non dipende da me ma da una volontà superiore, perciò non è problema di cui possa preoccuparmi contando di risolverlo). ora leggo il resto….un salutone.
O hai già letto il libro e non me lo vuoi dire, Davide, o hai un sesto senso eccezionale!
A un certo punto dello studio (che è anche una miniera di riferimenti ad altre utilissime ricerche), infatti, c’è un interessantissimo grafico che mette in relazione, per tutti i paesi del mondo, l’impronta ecologica procapite e l’HDI (Human Development Index, l’indice che usa l’Onu per misurare la qualità della vita, mixando tre fattori: la speranza di vita, il grado di istruzione e il PIL procapite). Bene, sai qual è l’unico paese al mondo che coinuga un HDI superiore alla soglia “accettabile” di 0,8 (stabilita dal Wwf) e un’impronta ecologica procapite inferiore alla biocapacità mondiale disponibile procapite (cioè: globalmente sostenibile)? Tieniti forte: Cuba.
E’ inutile che prima fai lo gnorri e poi sfoderi queste perle di saggezza, Davide: ti ho beccato!! 😉
Ciao Andrea, io non ho letto il libro però a proposito di quello che si dice su Cuba mi viene di fare una riflessione. Mi è venuto in mente quando ho letto Davide che qualche giorno fa una mia amica russa mi diceva che era meglio prima perché “prima almeno eravamo tutti uguali”… La cosa mi ha colpito molto… Alcune settimane fa alla radio ascoltavo un’intervista a un esponente di Alba Dorata il quale diceva cose sulle quali mi sembrava di essere d’accordo e tra queste l’uguaglianza… Su altre mi faceva venire i brividi, ma sai… l’uguaglianza…
Leggendo Davide ho messo in relazione le cose e riflettevo…Ma l’uguaglianza senza la libertà non è ancora disuguaglianza? Non è ancora disuguaglianza se c’è qualcuno che quella uguaglianza la impone al prezzo altissimo della rinuncia alla libertà di espressione e di pensiero?
Ciao Marica,
proprio ieri ho rapidamente scambiato qualche battuta, sul tema, con un professore di filosofia del diritto. Lui sosteneva, non a torto, le equazioni: Destra = Libertà, Sinistra = Uguaglianza.
Non mi stancherò mai di dire, però, che le categorie di Destra e di Sinistra sono ormai soltanto dei nauseanti cimeli ideologici, delle inutili reliquie buone soltanto per degli ossari.
Partendo da questa premessa, e per sgomberare il campo dagli equivoci, un conto è il comunismo (quello praticato nell’Unione Sovietica, o a Cuba), altro conto è il comunitarismo, che ha matrice assai diversa, si ispira a posizioni politiche non solo di sinistra (penso al pluricitato saggio del 1999 “Comunitari o Liberal: la prossima alternativa?” di Marcello Veneziani, filosofo non certo ascrivibile alla sinistra…) e rappresenta davvero, a mio modo di vedere, lo snodo culturale di questo secolo. Siamo ancora troppo in pochi a farci solleticare da questa intuizione, me ne rendo conto. Ma la strada è questa, ne sono convinto e lo sto dimostrando (questo blog vi “offre” contenuti e spunti di un certo spessore, e lo fa… gratis: nel pieno spirito comunitario di condivisione di un’idea e un progetto).
La comunità, la coesione, la reciprocità: sono queste le chiavi di volta del Terzo Millennio. Almeno qui, in quel logoro e ridicolo zerbino della Vecchia Europa, che ha nome Italia…
Sono sostanzialmente d’accordo con quanto affermato in questa risposta a Marica, ossia che le chiavi di volta del nostro tempo, ma soprattutto del nostro ristretto mondo elitario, quello dei paesi industrializzati e/o occidentali ricchi, sia quello del comunitarismo e che qui da noi la vecchia contrapposizione destra vs sinistra è decisamente superata dagli eventi.
Non così invece in gran parte del mondo, nel cosiddetto sud del mondo, a cui cuba, pur non trovandosi nel emisfero meridionale, appartiene in pieno ed in cui sta giocando un ruolo guida sraordinario in considerazione del suo esiguo peso economico e di popolazione.
In questo sud del mondo in cui lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è ancora massicciamente presente, il discorso destra vs sinistra ha una valenza vera, tangibile ed i “moti rivoluzionari” hanno una loro sacrosanta ragion d’essere.
Essendo sposato con una meravigliosa signora cubana, da oltre 10 anni passo alcuni mesi dell’anno sull’isola e penso di poter affermare senza tema di smentita, che va altresì detto che non è tutt’oro quel che luccica, almeno a cuba. In altre parole cuba ha una politica estera ed una immagine all’estero decisamente idealizzate. Naturalmente non mancano a sostegno di tale immagine politiche estere intelligenti, convincenti, efficaci e di grande ritorno in termini di propaganda a livello onternazionale per il paese.
Personalmente ammiro molto la politica estera di cuba ed il concreto e tangibile esercizio di solidarietà che negli ultimi 4 lustri la contraddistinguono. Politica che ha dato indubbiamente i suoi frutti: la collaborazione con il ricco (di risorse) venezuela ha salvato l’isola dalla bancarotta, mentre l’immagine di paese sicuro, avanzato dal punto di vista dell’assistenza sanitaria e della cultura, nonchè decisamente affascinante per storia e per la presenza del modernariato pre-revoluzionario, ha contribuito ad una costante e sostenuta crescita dei fussi turistici, peraltro gestiti più o meno efficacemente ed in modo qualitativamente equivalente alla concorrenza dell’area (caraibica).
I punti dolenti di cuba sono purtroppo tutti interni. E’ pur vero che la popolazione gode di un’assistenza sanitaria decisamente superiore a quella di cui debbono accontentarsi i popoli circostanti e gli altri popoli dell’america latina. E’ pur vero che la scolarizzazione è decisamente superiore a quella media dell’area di riferimento (america latina). Ma non è vero che questi servizi pubblici siano confrontabili con quelli delle socialdemocrazie europee. E non è neppure vero che le condizioni di lavoro, quelle vere, non quelle formali ed ufficiali, siano anche solo lontanamente paragonabili a quelle da noi vigenti.
Diritto di sciopero, diritto ad un salario adeguato rappresentano diritti sostanzialmente sconosciuti a cuba.
Il cubano cerca di sbarcare il lunario mediante una “lucha” (battaglia per la sopravvivenza) quotidiana senza certezza alcuna del domani e la precarietà è la conzione assolutamente dominante. Precarietà sostanziale, non certo ufficiale o formale. Comunque va detto che anche se gli va tutto male (perde la merce in un sequestro di polizia, viene truffato da un compatriota, o perde il lavoro perchè sorpreso a “rubare”), un pasto caldo al giorno in qualche modo gli è in ogni caso garantito. La precarietà riguarda quindi un certo agio derivante dalla sua capacità “commerciale” sul mercato nero o anche più semplicemnete nel caso di un semplice impiegato, dal cambio del direttore dìufficio o di negozio, che stabilisce nuove più restrittive regole per quanto concerne le posibilità di sfruttare il posto di lavoro per “arrangiarsi”.
E’ vero che i cubani sono generalmente più allegri e vitali degli stressati europei, ma in cambio debbono giornalmente fare i conti con rinunce, disservizi, ingiustizie (non so se chiamarle sociali) e limitazioni di ogni genere.
Purtroppo le ultime “liberalizzazioni” altro non sono che il tentativo di regolamentare il diffusissimo mercato nero per cercare di arginare in qualche modo la diffusissima corruzione e cercare di reintrodurre un poco di morale e correttezza nella vita economica del paese e nelle relazioni economiche fra cittadini ed entità impresariali dello stato e micro-imprese private.
Ed è assolutamente necessario fare o cercare di fare ciò, in quanto negli ultimi 5 anni tale diffusa corruzione ha pesantemente minato anche la convivenza civile e la proverbiale socialità e solidarietà cubane. Ossia, anche i rapporti interpersonali fra gli stessi cubani hanno iniziato a deteriorarsi e la tanto decantata solidarietà ha cominciato a scricchiolare, e non poco. Tanto che ultimamente la diffusissima abitudine delle casalinghe cubane di chiedere il sale, lo zucchero o le uova alla vicina nel accorgersi di esserne sprovvisti all’atto di mettersi ai fornelli, sta scomparendo, perchè incontra sempre più spesso facce contrariate, atteggiamenti “snob” e persino rifiuti netti.
Il risultato della nuova micro-impreditorialità, che ancora si trova in una fase che teneramente potremmo definire embrionale e che ai nostri occhi occidentali appare decisamente “infantile”, sono inevitabilmente le prime avvisaglie delle tanto temute (e ufficialmente combattute ed inesistenti) diseguaglianze sociali.
Si aggiunga a ciò la mentalità decisamente “latina” del cubano e si spiegano così le grandi cautele adottate dal regime nella introduzione delle aperture e delle micro-libertà economiche. Tali ilibertà infatti comportano inevitabilmente un sistema tributario ed il pagamento di tasse e la dichiarazione di un imponibile 😉 (anche se per ora ci si limita a riscuotere un fisso mensile più simile ad una tassa di licenza che ad un tributo progressivo in percentuale sugli ingressi).
Sono convinto che ne vedremo delle belle. La mentalità popolare cubana è assai più vicina a quella americana che a quella russa.
Per fortuna fra qualche mese riparto per l’isola. Non voglio assolutamente perdermi questi momenti cruciali di cambiamento e voglio “assaporare” ogni dettaglio delle a volte grottesche situazioni che vengono, verranno a crearsi.
Situazioni che rivelano inequivocabilmente la natura mercantile dell’uomo per quanto concerne le relazioni economiche con i suoi simili, anche a dispetto delle forti limitazioni e dei paletti apparentemente insormontabili che i “guru” del regime cubano stanno ponendo per mantenere, almeno formalmente, intatti i principi della rivoluzione e del socialismo cubani. 🙂
Ciao Mikhail, voglio innanzitutto scusarmi per non averti risposto (né, onestamente, letto) in tempi più rapidi. Avevo infatti autorizzato la tua risposta, ma me lo sono letta con calma solo stamattina. Che dire? Fai un’analisi incredibilmente lucida e profonda della realtà sociale cubana. Cuba è uno Stato che, personalmente, non ho infatti mai visitato (né, in tutta onestà, idealizzato). Ma, attraverso le tue parole, l’ho conosciuta talmente bene che adesso mi sembra di averci vissuto per anni! Apprezzo molto diagnosi di questo tipo, che qualificano cioè la realtà senza condizionamenti o pregiudiziali di sorta.
Ti chiedo infine una cosa: anche se evidentemente avete già fatto e ponderato le vostre scelte, e nonostante le “pecche” e le progressive “contaminazioni” occidentali che denunci, avete mai pensato di trasferirvici definitivamente, prima o poi? Solo una curiosità, niente di più…
Ciao
“En eso estoy!” Ossia, proprio ciò sto facendo. In effetti è già da oltre un lustro che vivo all’Avana una consistente parte dell’anno, i mesi invernali.
Mi fa piacere che ti interessi la vita a cuba e la realtà sociale cubana.
Sono tornato da pochi giorni e come sempre mi ci vuole qualche giorno per raccogliere idee e far sedimentare impressioni ed esperienza. A cuba conduco vita sostanzialmente famigliare, ossia vivo con la bella famiglia di mia moglie. Ci sono tre bambini, figli di mia cognata, a dir poco pestiferi che occupano non poco del mio tempo.
Ciò non di meno questa volta abbiamo avuto modo di condurre in porto con successo e soddisfazione ben due operazioni immobiliari. Pare impossibile, ma tutto è filato liscio e regolarmente, nel senso che non abbiamo dovuto ungere nessuna ruota per avere i documenti e le registrazioni, i timbri notarili in tempi accettabili (io stesso ancora non ci credo). Forse perchè in uno dei casi abbiamo comperato da persona autorevole e nota nel quartiere e presso gli uffici ed enti nei quali abbiamo svolto le burocrazie. 😉
Fatto sta che in settembre, dopo aver sbrigato alcune incombenze qui in europa, mi trasferirò per un periodo decisamente più lungo degli abituali 3-4 mesi invernali e con mio cognato, persona giovane e volenterosa, proveremo a mettere in piedi una piccola attività gastronomica.
L’impressione generale che ho portato a casa è quella che nell’ultimo anno, anno in cui sono praticamente mancato per intero, molte cose, fra cui alcuni servizi dello stato, i trasporti urbani, lo stato delle strade e soprattutto la rete elettrica hanno fatto dei ragguardevoli passi in avanti. Altri aspetti, come purtroppo l’intensificarsi della microcriminalità e la presenza della droga (ancora assai esigua rispetto ad altri paesi dell’area, ma comunque presente) risultano decisamente meno piacevoli. Lo stesso dicasi per una ampia diffusione della corruzione.
Comunqe non bisogna neanche sopravvalutare questo aspetto negativo della criminalità. Personalmente non mi è capitato di vedere nulla, ma naturalmente certi quartieri di notte a piedi non li frequento. I cubani non fanno altro che parlare dell’aumento dei furti e furtarelli, degli scippi etc; ma bisogna anche considerare che essi sono campioni mondiali assoluti della lamentela e della critica, soprattutto ed in primis quando commentano lo stato del loro portafogli 😉
Naturalmente un aumento della microcriminalità vi è. Ma tradizionalmente nel periodo di fine anno questo aumento è fisiologico. E le autorità stanno prendendo le adeguate misure. Ormai quasi tutta l’Avana vecchia è coperta da telecamere, come anche i quartieri residenziali “ricchi” del vedado e di miramar.
In ogni caso le recenti aperture alla microimprenditoriaità hanno accelerato il formarsi di diseguaglianze. Si badi bene che le diseguaglianze esistevano anche prima, ma erano decisamente più mascherate, in quanto generalmente frutto di attività illecite o al limite della legalità. Ora, chi ci sa fare ed ha la fortuna di avere a disposizione un piccolo capitale (rimesse famigliari da miami), gode di una qualità della vita decisamente superiore a quella degli impiegati statali, ossia la stragrande maggioranza della popolazione.
Vi sono poi gli appartenenti alla nomenklatura, ma quelli fanno elite a parte e non hanno bisogno di nascondere alcunchè; vivono sostanzialmentcome dei re, anche se materialmente ostentano poco, almeno in pubblico.
Naturalmente anche qualche impiegato fa la bella vita, ma deve essere come minimo direttore, magazziniere capo o vicedirettore di un negozio, ristorante, mercato od hotel (ovviamente statali).
Molti di questi signori, magari anche spaventati dalle cicliche “campagne di moralizzazione” (in cui generalmente saltano parecchie teste), si mettono una mano sul cuore, prendono il gruzzolo risparmiato in anni di “lucha” (se sono stati intelligenti e non hanno speso tutto in vino y mujeres) e lo investono in una piccola attività privata. Oggi come ieri l’attività che rende maggiormente è quella del trasporto, del taxi a percorso fisso. Occorrono 15.000-18.000 dollari per comperare un “almendron” (una vecchia auto americanan degli anni 50 opportunamente trasformata con 7 sedili e motore diesel toyota), occorrono 10 ore giornalier di massacrante lavoro, sabati e domeniche inclusi, ma si portano a casa facilmente 2.500 – 3.000 dollari al mese, che a cuba sono un praticamente un patrimonio (Lo stipendio di un impiegato normale, medici compresi, non supera i 30 dollari l mese). Se questi non debbono essere impiegati per la manutenzione e riparazione del mezzo, ossia se si è fatto un buon affare nell’acquisto, in meno di una anno ci si ripaga l’invesimento ed il grasso comincia a colare.
Ma per chi ha qualche soldino in più, vi sono altre possibilità negli esercizi gastronomici, settore che inizierò a conoscere dal lato imprenditoriale a partire da settembre-ottobre.
Voglio aggiungere qualche dato riguardante il sistema sanitario statale (l’unico che esiste a cuba). Le missioni estere negli anni passati hanno un poco ridotto il numero di medici a disposizione della popolazione interna. Per fortuna questa “emergenza” è in via di superamento, nel senso che i nuovi laureati degli ultimi anni hanno rimpiazzato i medici che in grande, grandissimo numero esercitano all’estero nell’ambito di collaborazioni, che in definitiva hanno un tornacconto utilissimo per cuba. (non tutte: alcune missioni sono assolutamente gratuite e parte di una programma di solidarietà che ha il solo tornacconto politico e di immagine, ma non monetario od utilitaristico, come ad esempio a Haiti).
Lo si deduce dai commenti dei cubani, soliti a lamentarsi di tutto. Se invece dicono, come dicono, che l’attenzione sanitaria è migliorata ultimamente, come minimo dobbiamo pensare che sia ancora migliore dei tempi anteriori al “periodo especial” (periodo posteriore alla caduta del muro di berlino ed alla perdita del “partner commerciale” unione sovietica).
Le missioni in venezuela ultimamente vanno meglio (conosco personalmente dottori che ci sono stati). Nei primi anni i medici cubani erano spesso bersagli di minacce e persino attentati. Qualcuno ci ha anche rimesso le penne.
Ciò detto, vi racconterò che mi è venuto un ascesso ad un molare proprio pochi giorni prima del mio volo di rientro in italia. Due notti di dolore acuto. Per fortuna nel “policlinico” (presidi ospedalieri di quartere, piccoli ma numerosissimi) della mia via una gentile dentista mi ha risolto il problema in un paio di sedute, stappando il dente, purtroppo già morto da tempo e pulendo i canali in via provvisoria.
Il policlinico in questione fortunatamente era uno di quelli oggetto della ultima campagna di ristrutturazione e miglioramento delle infrastrutture sanitarie cubane. Debbo dire che nel aspetto non ha nulla da invidire, anzi, ad un qualsivoglia ospedaletto di provincia italiano (del nord); invece nell’attenzione al paziente va detto che a cuba sono avanti anni luce. Naturalmente sono facilitati dal aver a disposizione medici, infermiere, assistenti e segretarie in numero almeno dieci volte superiore ai nostri standard, il che consente di dedicare il tempo necessario ad ogni paziente. Ma vi è poi quel calore umano e quel modo di fare rassicurante e cordiale che non ha eguali dalle nostre parti, almeno non in un ospedale pubblico.
Naturalmente le infrastrutture e le tecnologie (soprattutto quelle usa e getta) a disposizione sono inferiori alle nostre, ma la competenza e l’impegno dei medici compensano ampiamente queste carenze.
Dulcis in fundo va detto che la dottoressa non mi ha chiesto esplicitamente nulla, ma entrambi sapevamo che si aspettava un pur esiguo “compenso extra”. Dicretamente le abbiamo regalato 20 dollari e, tosto, ci ha dato il suo numero privato, dicendo di chiamarla a qualsiasi ora in caso di urgenza. Quando sono andato il giorno successivo per la seconda seduta non ha più accettato nulla.