Alcuni mesi fa, il cestello porta-posate della nostra lavastoviglie ha cominciato a denunciare i primi segni del tempo. Molte maglie del fondo hanno cominciato ad aprirsi, non trattenendo più le posate e lasciandole scivolare giù, bloccando così il braccio rotante che spruzza l’acqua.
A disposizione, avevo un paio di soluzioni:
- Comprare un nuovo cestello (14,28€ + spedizione);
- Ripararlo.
Oggigiorno, il 90% delle persone propenderebbe per la prima opzione, soprattutto quando il costo unitario della sostituzione è relativamente basso. (Ammesso che 20 euro per recuperare un pezzo di plastica sia basso!)
Però, come forse qualcuno di voi ricorderà dal post “La discontinuità immaginata“, poiché alle ultime elezioni politiche (per la prima volta) non sono andato a votare, sostenendo che – con le mie azioni quotidiane – io “voto” comunque ognuno dei restanti 364 giorni dell’anno, non potevo ovviamente che optare per la seconda soluzione.
Materiale richiesto: un avanzo di rete da giardinaggio, qualche fascetta stringicavo (rimasta da un precedente lavoretto elettrico), un paio di pinzette per sopracciglia e… un po’ d’inventiva.
Risultato:
Il recupero della manualità, del saper fare, dell’attrezzarsi per risolvere sono elementi fondamentali e fondativi del nuovo paradigma che qualcuno chiama, appunto, Decrescita. Possiamo saper parlare di Fiscal Compact, possiamo conoscere a memoria il trattato di Lisbona e possiamo saper riconoscere il corporate-bond col rendimento più conveniente, certo…!
Ma la piena esaltazione delle facoltà umane si compie soltanto nell’adozione di un approccio creativo che, tramite l’ingegno, sfoci nella realizzazione di qualcosa. E’ sempre stato così, se ci pensiamo: da quando siamo scesi dagli alberi a quando abbiamo acceso il primo fuoco; da quando abbiamo piantato il primo seme in terra a quando abbiamo lasciato il primo segno sulla parete di una grotta…
Oggi, in un’epoca cominciata più o meno con la Rivoluzione Industriale, l’animale-uomo ha progressivamente smarrito questa facoltà, drogato e annichilito da un impianto socio-economico che lo ha lentamente sedotto e brutalmente illuso di poter fare a meno di due componenti essenziali della sua natura: pensiero e azione.
Se ci pensate, l’evoluzione industriale, tecnologica e – adesso – quella digitale, hanno avuto come unico effetto quello di atrofizzare queste facoltà umane, sostituendo ad esse una soluzione per ogni bisogno (spesso, a sua volta, indotto): strumenti per approvvigionarsi (supermercati), strumenti per cucinare (gli evolutissimi robot da cucina), strumenti per muoversi (aerei, automobili…), strumenti per orientarsi (gps), strumenti per ricostituirsi (palestre), strumenti per decidere o anche solo per delegare una facoltà di… pensiero (il web).
La crescente, programmata limitatezza dell’espressività e delle facoltà umane è stata progressivamente sostituita con l’illimitatezza delle soluzioni offerte per le sue “necessità”. In pratica: soppressione dell’Uomo, a favore dell’esaltazione dei suoi bisogni! O, come direbbe Ivan Illich, dei suoi fabbisogni (cioé, stabiliti a tavolino). Esito: consumismo ipertrofico.
Ecco perché, nella stupida riparazione di quel cestello, credo ci sia un messaggio che vada ben al di là di un banale intervento domestico.
Basta, la smetto di annoiarvi e vi auguro una buona domenica.
Andrea
Ah, è vero: ieri hanno aperto la crisi di governo e, verosimilmente, qualcuno avrebbe potuto attendersi da parte mia un commento sulle prospettive dell’economia. Bé, è esattamente quello che ho fatto…
Se, poi, qualcuno volesse sapere cosa penso che accadrà, credo che – indipendentemente dalle modalità – l’effetto sarà uno soltanto: aumento dell’IVA, ripristino della rata IMU e, probabilmente, aumento della benzina. La verità è semplice. Il resto è teatro.
In effetti – a proposito di lavastoviglie più o meno indispensabili – da quando mi son messo con Lorenza, che mi lava i piatti, il mio contributo alla salubrità dell’ambiente e all’economia alternativa, ha avuto un’impennata…
Va beh, lasciamo stare le battute: questo è un sito serio.
A margine di quanto scrivi sull’impoverimento culturale dovuto alla tecnologia, Andrea, sappi che c’è una nuova frontiera nel cosiddetto “analfabetismo di ritorno”: se – fino a un paio di decenni fa – con questo termine si indicava chi perdeva la capacità di scrivere correttamente, malgrado avesse frequentato con regolarità la scuola; ora si intende chi riesce a trovare le nozioni che cerca per esempio in Internet, ma non sa collegarle fra di loro per riutilizzarle, o controllarne la congruenza con quanto effettivamente cercava.
Te lo dico da insegnante, ovviamente, perché questo è un problema che sta esplodendo fra gli adolescenti.
“E’ un problema che sta esplodendo fra gli adolescenti” o, piuttosto… sono gli adolescenti che stanno implodendo nel problema?
Scherzi a parte (vedi che le battute si possono fare, anche se questo… “è un sito serio”? ;-)), temo che tu abbia ragione.
L’informazione che si ottiene oggi, specie sul web (ma non solo…), è di superficie. E’ vivida, sempre nuova, accattivante. Ma… basica, sfuggente, liquida.
Mettere insieme i pezzi, farli combaciare, realizzare il puzzle diventa una manovra non scontata, spericolata. Forse, addirittura, pericolosa.
Meglio tenerli nel torpore questi giovani, no? Meglio assopirli! Meglio illuderli che l’unica selezione, nella vita, può farla al massimo Maria De Filippi ad Amici o X-factor. Decontestualizzare l’impegno. Trasferirlo nel regno immaginifico della televisione e della rappresentazione. Delegarlo ad altro da sè. Molto meglio, non trovi?
Sai poi che cosa accadrebbe il giorno in cui dovessero scoprire che, per potersi permettere un i-phone, devono andare a raccogliere l’uva sul carretto del contadino? Potrebbero persino scoprire che un grappolo di ribolla è più succoso di un display LCD…
Ciao.
Ciao Alberto,
beh magari ti potrà sembrare divertente e forse anche un po’ ingenuo. Io sono serissima, però, quando affermo quello che hai letto. La tua “impennata alla salubrità dell’ambiente e all’economia alternativa” è, secondo me, fondamentale se non consideri solo la tua ma quella di tanti altri che tutti insieme lo fanno.
Il punto non è la lavastoviglie in sé ma ancora una volta il bisogno “creato” e di certo non naturale o reale di delegare a qualcun altro o a qualcos’altro qualcosa che puoi fare tu con le tue mani. Siamo arrivati al punto che non si possono raccogliere neanche le briciole sulla tovaglia se non c’è un elettrodomestico che lo fa per noi. E meno che mai spremere un limone o un’arancia senza l’aiuto di una macchina da comprare (che poi naturalmente si romperà) e dell’elettricità indispensabile a farla funzionare.
Sì, credo che questo sia fondamentale anche se può far ridere. Perché questi comportamenti sono di massa e hanno, sul pianeta, sulla società, su di noi effetti a cascata di cui non siamo consapevoli del tutto.
Credo molto a quello che può fare il singolo, lui, da solo, nella sua casa, col suo comportamento, con le sue abitudini. Cose che sembrano molto piccole, certo. E che però, invece, sono grandi.
Io per prima ad avere avuto in casa lavastoviglie, spremiagrumi, raccoglibriciole e anche oltre. Solo che a un certo punto è finito il sonno e mi sono svegliata.
Ciao Marìca,
ti ho evidenziato un passaggio che potrei inserire nel bandone della homepage, tanto lo considero importante! L’apporto del singolo al bene della collettività è un tema su cui insisto da quanto è nato questo blog, come ricorderai… (soprattutto tu, che sei una delle seguaci della primissima ora!).
Proprio oggi un mio carissimo amico (perfettamente a conoscenza del fatto che noi non possediamo la televisione, ma che sul tema si è sempre mostrato abbastanza scettico), dopo aver assistito all’ennesima e squallidissima messinscena politico-istituzionale di queste ore, mi ha confidato con un sms che se ne sarebbe finalmente e definitivamente liberato anche lui!
Al di là della mia convinzione che – nel giro di una decina d’anni – quasi nessuno ne sentirà comunque più il bisogno, sono stato felicissimo nel leggere quel messaggio. Felicissimo per me, per l’esempio che ora darà anche lui ai suoi amici, ma… soprattutto felicissimo per lui!
La rinuncia alla tv, infatti, si traduce inevitabilmente, nel giro di qualche mese, in una crescita interiore senza precedenti:
• si sviluppa un’attenzione alle cose molto più critica e mirata, avulsa dal condizionamento degli orpelli e dai dettami dell’immagine;
• si arriva dritti dritti al cuore dell’informazione, in quanto ci si abitua a ricercarla nei luoghi in cui essa è più autentica e incontaminata;
• ci si sottrae al bombardamento subliminale della pubblicità, acquisendo una nuova consapevolezza nei consumi;
• si guadagnano infine tante ore preziosissime, destinabili ad attività molto più rigeneranti e qualificanti, per il corpo e per la mente.
Ciao e grazie per le tue preziosissime testimonianze.
Una domanda che potrebbe avere una risposta molto più estesa, oltre un semplice commento. Io la TV non ce l’ho ma non capisco chi pensa che il mezzo, non il contenuto, sia nocivo. Perché pensare che internet sia meglio quando ci sono già abbondanti segnali che la Rete diventerà più varia ma molto simile alla TV non appena sarà la tecnologia dominante e verrà adottata anche dai grandi gruppi, sulla base di pubblicità, esclusione dei piccoli, aumento della banalità, pagamento di royalties, copyright fatto rispettare e compagnia cantante?
Nemmeno il web potrà essere sempre una landa di libertà, uno spazio franco di sperimentazione. Se tutti ci si trasferiranno, a meno che il mondo non cambi sarà il mondo con tutti i suoi poteri ed ingiustizie connesse ad informare di sè il web come qualunque altro medium.
Forse sperate nella natura intrinsecamente anarchica (o meglio policentrica) del web e credete che la legge, specie se scritta per tutelare i soliti noti, non riuscirà a tenergli dietro? Anche il mare o le americhe finché non furono esplorate palmo a palmo erano covo di pirati, esuli, sognatori e società alternative: oggi però non c’è granello di terra che non sia posseduto da qualcuno e sotto una qualche giurisdizione uniformata al trend generale della proprietà privata e della plutocrazia. Forse è lo spirito delle singole iniziative a contare, nel lungo periodo, più dei mezzi usati, e magari la tv ha ancora qualcosa da dire a patto che ci sia qualcuno disponibile a fare buona tv.
Sì, in effetti più che una domanda, potrebbe essere il tema di un dibattito.
Premesso che sul ruolo della tv e – ancor più – su quello di Internet sono stati scritti fiumi di inchiostro, proverò a darti quella che è soltanto una mia interpretazione personale.
In linea di principio quanto dici è vero: è il contenuto, più del mezzo, ad essere nocivo. E il contenuto, in entrambi i casi (tv e web) e con i suoi tempi, si piega alle regole del mercato. Quindi, convengo sulle tue posizioni che, a tendere, anche il web si presterà sempre più a un inevitabile impoverimento.
Però… c’è una sola, piccolissima differenza nel “mezzo”, che secondo me non va sottovalutata.
Mentre la comunicazione televisiva è esclusivamente unilaterale (cioè l’utente, al 100% passivo, può solo scegliere “da dove” o “da chi” ricevere un messaggio), Internet è bilterale o, almeno, è contemplato che lo sia.
E’ vero: molte persone utilizzano internet passivamente, come una televisione con milioni di canali. Tuttavia, il web è in grado – per ora – di ospitare interventi e messaggi anche in direzione ostinata e contraria. E nota che non ho citato uno qualsiasi…! 😉
Per fare un esempio molto pragmatico, LLHT (o un suo omologo) in televisone non sarebbe mai potuto esistere. E questa, mi sembra, è una bella differenza tra i due mezzi!
Che poi, a tendere, anche qui sopra arrivino dei nuovi padroni… chi lo sa? E’ probabile. Per non dire scontato. Guarda cosa accade in Cina, dove le limitazioni all’uso del web già esistono…!
Diciamo che… finché dura, sarebbe da stupidi non approfittare di questa macroscopica differenza, no?
Ciao
Se ancora penso che, sulla base di leggi del tempo del Fascismo, stavano per equiparare (anche come costi artificiosi di gestione, bolli, iscrizione) i blog a testate giornalistiche…e non ci sono riusciti sostanzialmente per una virgola.
(I blog almeno in teoria sono aperiodici. Che non siano professionali, il ché è la differenza reale, pare non importare nulla ad un legislatore decisamente ottuso e in linea con la stessa idea che partorì gli ordini professionali, soprattutto quello dei giornalisti)
Fai bene a ricordare la teoricità del carattere bidirezionale della Rete: basterebbe che i siti chiudessero i commenti ai post e che lo Stato impedisse ai privati di aprire siti propri e si avrebbe in un attimo un media identico ad una grossa tv, con l’odiosa differenza che le difficoltà di trasmissione del messaggio non sarebbero più tecniche ma imposte artificialmente, esclusive pur se costruite sulla base di una tecnologia de facto inclusiva
(Si creerebbe comunque quello che già succede da parecchi anni per la caccia alle streghe legata alla pirateria audiovisiva, dove i dvd e i videogames vengono suddivisi per aree geografiche di possibile fruizione oltre ad essere protetti da copia. E tutto ciò non per differenze di standard locali o per difficoltà di masterizzazione. Anzi sono gli standard ad essere imposti a tali tecnologie, di per sè semplicissime da eseguire e riprodurre, al fine di renderne ostica e controllabile la diffusione.
Mi piace molto la definizione che si è data a questo oscurantismo anticulturale perchè plutocratico: “defective by design” ovvero “appositamente difettoso”)
Ciao Andrea,
a tutto quello che hai scritto aggiungerei anche la grande soddisfazione che si prova nel riparare qualcosa con le proprie mani. E’ da un po’ che in casa nostra consideriamo la sostituzione di una cosa rotta come l’ultima spiaggia… prima cerchiamo in tutti i modi di ripararla! Per adesso l’impresa più difficile l’ha portata a termine mia moglie che è riuscita ad aggiustare la lavatrice! Altro esempio: un computer portatile ormai da buttare (2 ore per accendersi e per aprire un’applicazione….) è diventato come nuovo dopo aver installato il sistema operativo linux mint al posto di microsoft windows. Credo che in tutti i campi si possa fare sempre di più per evitare di buttare e ricomprare. Certo i produttori cercano di metterci il bastone fra le ruote con l’obsolescenza programmata.
Concordo dalla prima all’ultima parola, Roberto. Mi sono limitato, come faccio ogni tanto, a evidenziare in neretto un concetto davvero molto importante (che non avevo enfatizzato nel post). Ciao.
C’è qualcuno che avrebbe cambiato direttamente lavastoviglie! Esagero?
No, Marco, secondo me non esageri affatto… E’ proprio così… Quest’anno ho girato mezza Roma per cercare un calzolaio che mi aggiustasse il “pirulino” (non so come si dice, io lo chiamo così) che tira su la chiusura lampo dei miei stivali.
Gli stivali non sono certo nuovi però sono in perfetto stato e io ci cammino benissimo… I calzolai dove li ho portati mi hanno detto uno dietro l’altro che tanto valeva comprarne un paio nuovi. “Per un pirulino che si è rotto? Stivali in buono stato e chiusura lampo ok?” Mi sembrava un’assurdità… Mi sono arrangiata da sola con un’attache di metallo dipinta di smalto nero che tirava su perfettamente la chiusura…
Un giorno per caso mi sono imbattuta in una via secondaria in un negozio di riparazioni dove (miracolo) aggiustavano i pirulini…
E l’ho fatto rimettere… Ma è stata dura… E suonava del tutto normale dire a qualcuno che per un pirulino devi ricomprare tutti gli stivali!
Ho speso 5 euro! per un pirulino ma, a dire la verità, la mia attache dipinta di nero ci stava benissimo e funzionava perfettamente (valore forse di un centesimo)… ma comunque ho salvato i miei stivali…
Io invece ho delle scarpe di cuoio che uso così tanto che la suola (gomma, perché di cuoio non esiste più, purtroppo) si consuma e devo cambiare ogni tanto i tacchetti, perché la suola intera non te la fa nessuno. Per incollare due pezzi di gomma su una scarpa altrimenti ottima ho dovuto girare tutta la città e ho trovato un vecchietto che lo fa, anche lui quasi un uomo “di risulta”, una figura da un’epoca passata dove questi interventi erano frequenti. Sembra che le colle usate per le scarpe (che ora costano meno ma valgono meno) siano poco resistenti, come se chi le fa presupponesse che vengano cambiate dopo qualche anno d’uso (moda? consumismo? obsolescenza programmata? malafede?)
Sì, qui i calzolai e in generale le persone che sanno riparare le cose sono una rarità…è difficilissimo trovarne, purtroppo… E’ bello quando si riesce da soli a farlo…
Che poi…chissà quanto è davvero indispensabile la lavastoviglie! La maggioranza delle stoviglie si possono lavare senza detersivo e con un minimo di olio di gomito. Per il resto il detersivo fatto in casa funziona benissimo: limone, sale e aceto su una spugnetta e con pochissima acqua riutilizzando quella della cottura della pasta.
Io non ce l’ho più. Ho scoperto che non mi serve. E neanche il detersivo: me lo faccio da sola a zero inquinamento, zero chimica, zero plastica, cento per cento soddisfazione.
Così il problema della rottura del cestello l’ho risolta alla radice! 🙂
Però sono d’accordo sul principio…
🙂
Ciao Marìca.
Sì, è vero quello che dici: risponde perfettamente al principio che, così come “non c’è limite al peggio”, non c’è neanche “limite al meglio”.
Tutto dipende dal punto in cui ci si trova, nel processo…