Se accettate di vivere nella misura dell’uomo, tutto intorno a voi acquisirà la misura dell’uomo. (Jean Giono)
Chi mi conosce sa che mi metto a scrivere quasi soltanto quando sento di aver qualcosa di “disturbante” da dire. Perciò comincio subito:
Non esiste un metodo di governo che sia in assoluto migliore degli altri.
Bello, eh? Mettetevela via, lo so che dà fastidio: ma andatevi a studiare genesi e comportamenti di tutte le forme di organizzazione del potere dall’Età della Pietra all’eternità, e poi mi saprete dire.
Spiace, ma è così. Tutto è molto relativo, nel senso che ciò che rende migliore un sistema politico rispetto a un altro, è il fattore umano. Come a dire che tanto il regime più assolutistico quanto la più egualitaria delle democrazie, se sono in mano a galantuomini funzionano a mille; se sono in mano a delinquenti, vanno a ramengo.
Questo presupposto dovrebbe far capire (se ce ne fosse ancora bisogno) che è da imbecilli e/o da criminali pretendere di esportare la democrazia (?) rappresentativa occidentale, anche con la migliore delle maniere. Ma – e qui qualcuno può cominciare a tremare – che anche la democrazia, in qualsiasi forma, NON sia adatta a noi; dove, con quel “noi”, intendo (altro brivido) “noi italiani”.
In realtà lo “status politico” di un popolo è come la sua religione: cioè riflette il comune sentire della società ai suoi gradini più alti, quello religioso, appunto, e quello dell’organizzazione sociale. In altre parole una società femminista genererà una cosmogonia, nella quale l’Universo è creato da una femmina cosmica con due poppe così; una società maschilista, invece, immaginerà il Cosmo inventato da un vecchione, il quale creerà detto Universo senza neppure usare il fallo: altro che impotenti a 80 anni!
Ma chiunque sia un minimo sensibile, sa che le cose non andarono affatto così; e se vi rimane qualche dubbio, andatevi a vedere la “Trinità” di Masaccio a Firenze, che capirete. E se ancora no, scrivetemi: insegno Storia dell’Arte da trent’anni e provo a spiegarvelo.
Dunque, tornando all’argomento vero, quanto scritto sopra significa:
- Se una società è composta per lo più da cacciatori o guerrieri, si organizzerà in maniera verticistica e più o meno totalitaria. In guerra (e nella caccia) la democrazia non esiste, occorre prendere decisioni rapide: non si può arrivare a contatto col nemico e mandargli un messaggero per dirgli “Aspettate un paio di giorni, che decidiamo dove mettere la cavalleria, e se attaccarvi prima a piedi o bombardarvi”.
- Se una società è composta per lo più da commercianti, sarà oligarchica. Perché ogni settore considera che i propri interessi siano prevalenti su quelli degli altri. I vasai, i farmacisti, i banchieri, i calzolai… tutti pensano che i loro interessi prevalgano su quelli delle altre categorie. Su un’unica cosa sono d’accordo: che gli interessi di tutte le loro categorie prevalgano su quelli del resto della società e su questo si arroccano granitici. Poi poco importa che regolamentazione (più o meno aristocratica o democratica) si darà lo Stato: ciò che conta sono i loro interessi. Vi ricorda qualcosa?
- Più una società tende ad essere a contatto con la Natura, più si darà forme di effettiva democrazia, al limite diventando una società acefala. Perché i ritmi della Natura permettono decisioni lente, meditate, frutto dell’osservazione attenta di quello che accade in mesi, anni. “Sarà meglio cambiare posto di approvvigionamento dell’acqua, la prossima primavera?” “Beh, intanto siamo a Settembre: aspettiamo a vedere quanta pioggia e neve cadranno nei prossimi mesi e a Febbraio decidiamo. Intanto pensiamoci su e prepariamoci: così a Febbraio, quando comincia ad aprirsi il cielo alla luce, facciamo una bella festa e decidiamo”.
Allora, se abbiamo deciso che un sistema alla fine vale l’altro, cosa si può fare, ora che ruoli e categorie nelle nostre società sono saltati? Si chiamano contrappesi politici e sono la vera “figata” dell’organizzazione politica e amministrativa di una società: servono a equilibrare i poteri dei vari gruppi da cui essa è composta (e non sono mica solo tre o quattro…), in maniera tale che nessuno prevalga; e in maniera tale che questo meccanismo non porti la società alla paralisi. È una faccenda che riesce solo ai Legislatori, quelli con l’iniziale maiuscola e meglio se in grassetto: quindi chi fa politica nei bar, è meglio che lasci perdere e continui a votare quelli che gli permettono di continuare a far politica nei bar.
Un paio di esempi, per capire ciò di cui parlo:
- La società celtica era senza ombra di dubbio monarchica non costituzionale; però le sue altre componenti (i clan guerrieri, i druidi, ecc.) avevano mezzi per imporre una sorta di diritto di veto e contrapporsi all’azione del re: così che quello doveva pensarci su molto bene, prima di aprir bocca.
- La Serenissima è stato forse lo Stato occidentale, dove questo sistema di contrappesi fu portato alla massima efficacia: per esempio il metodo di elezione del Doge era così cervellotico e altrettanto geniale, per cui i tentativi di combine politica avevano come minimo vita dura. A dimostrazione di ciò, Venezia ebbe un tempo di decadimento lunghissimo (anche gli Stati sono soggetti a decadimento, come i materiali radioattivi: ignoro se fra le due cose ci sia un nesso…); finché, svuotata al suo stesso interno, non venne presa a calci nel sedere dal primo avventuriero che passava di là.
Precisato tutto questo, e sperando di aver chiarito come una società nella quale i contrappesi politici sono troppo fragili, è votata al rapido suicidio, veniamo a un altra questione “disturbante”:
Il popolo italiano è adatto alla democrazia? E se non lo è, può apprenderla ed esercitarla?
La prima risposta è fin troppo ovvia. Qualsiasi sistema politico si regge sul reciproco senso di responsabilità; e se non è scontato che nella democrazia ne serva più che negli altri, di sicuro deve essere il più diffuso possibile presso tutti i livelli e le classi sociali. Perciò il popolo in questione, che nella maggioranza appare intimamente irresponsabile (perché considera l’ignoranza un valore aggiunto), è automaticamente un popolo di servi e non di (potenziali) uguali.
Ma può cambiare? Sì, certo. In tempi molto lunghi, però. E il problema è proprio questo: chi progetta i destini dei popoli ha la vista molto, molto lunga: parliamo di diversi decenni, se non di almeno un secolo. Chi lavora in questo modo ragiona così: e – attenzione – solo secondariamente per se stesso, prima di tutto per la sua “stirpe”. Così che ha pronti (o crede di averli; ma finora mi sembra che ci sia riuscito…) gli accorgimenti per smorzare o, nella peggiore delle ipotesi, inglobare tutti i cambiamenti che un popolo o una sua minoranza possono attuare, per cambiare le cose dall’interno.
Chi si oppone all’attuale stato di cose, per cambiarle in senso non verticistico, cosa dovrebbe fare allora? Serve un esempio un po’ fantapolitico (solo un po’, però: perfino per l’Italia).
Facciamo conto che un gruppo di persone in un piccolo paese decida di voler cambiare le cose; ma ipotizziamo che riceva in qualche modo l’illuminazione che ciò non sia possibile farlo su grande scala, ma solo su piccola. Meglio di niente, però, visto che si tratta pur sempre di casa propria: quindi val la pena provarci. Guardandosi intorno, queste persone comprendono subito che potranno crescere di numero, ma ben difficilmente potranno diventare maggioranza: o qualità o quantità, specialmente in democrazia bisogna scegliere. Però la gente ha sempre da ridire su chi li ha governati fino a quel momento, cerca sempre un cambiamento: basta che sia altrove, non dentro se stessa. Quindi val la pena di metterci la faccia e di provarci.
Facciamo anche conto che questo gruppo di persone (che ha capito che bisogna traghettare quel piccolo Comune verso una sorta di democrazia di base) riesca nell’intento e arrivi a prendere in mano la Giunta. Adesso ha davanti a sé un compito immane: non basta cercare di raddrizzare le cose fatte male fino a quel momento, tornare per quanto possibile alla gestione pubblica dei servizi, realizzare – anche qui per quanto possibile – l’autosufficienza di quella comunità: anche riuscendo a fare questo, in una società basata sull’immagine c’è sempre il rischio che il vecchio potere faccia loro trovare la classica buccia di banana (magari approfittando di certa ingenuità di fondo di qualcuno del gruppo); e si è finito, così, col lavorare per quelli che c’erano prima, cioè per la Restaurazione.
Perché l’italiano medio non è in grado di riconoscere il merito negli altri; o meglio, quando si accorge che qualcuno è migliore di lui (specialmente nel campo in cui, da coglione, si era autoconvinto di essere un genio), ne ha una paura fottuta e l’unica cosa gli resta è trincerarsi dietro al disprezzo. Perché l’italiano medio è sempre pronto a correre dietro a qualsiasi specchietto per le allodole che gli prometta di star meglio, senza dover assumersi responsabilità dirette. Perché c’è una Legge Universale (che si chiama Legge di Attrazione Universale, più comunemente nota come “Chi si somiglia si piglia”) che dice appunto che chiunque si riconoscerà sempre e solo in un suo simile: un onesto in un onesto e un delinquente in un delinquente. E purtroppo, anche se non è italiano.
Perché (attenzione, sta per arrivare la terza trave sulle gengive):
Grazie in primo luogo al continuo degrado scolastico, generazioni e generazioni di italiani sono state buttate nel cesso quanto a senso di responsabilità, gestione critica dell’informazione, autostima: le prime qualità, cioè, che permettono a un qualsiasi cittadino (anche non italiano) di gestire la democrazia diretta.
Ecco perché si può cambiare, ma solo in tempi molto, molto lunghi. Quel gruppo che si è trovato al timone del nostro immaginario piccolo paese, dovrà investire sui giovani: ma non sui ventenni, dovrà ripartire dai bambini delle elementari. Poi certo, strada facendo, si aggiungeranno altri di tutte le età; e il processo potrà essere magari esponenziale: ma una parte della popolazione è ormai perduta e sarà pronta a voltare le spalle a qualsiasi esperimento “a misura d’uomo”, pur di autopersuadersi di avere ancora davanti un futuro di “benessere e crescita”.
Allora, se è tanto dura in un piccolo Comune, ha senso provare a cambiare le cose in una realtà urbana (molto) più grande? O addirittura in uno Stato? Ciascuno dovrebbe chiederselo, prima di scendere anche solo in piazza per manifestare per un qualsiasi diritto o bisogno, nella speranza che qualche lista, più o meno progressista, lo ascolti.
Ciascuno dovrebbe chiederselo, prima di scegliere se accontentarsi di questa azione consolatoria, o scegliere di fare per sé (e, al massimo, per la sua famiglia).
Alberto Rizzi
Articolo sublime per capacità di scrittura, stimolazione del pensiero, ironia, saggezza, senso della realtà. Lo considero come il “vola come una farfalla, pungi come un’ape” di un certo Muhammad.
Dopo i complimenti, ora vado a medicarmi le gengive sanguinanti. E comunque, osservando certe “albe mattutine”, sono ancora convinto che vinceremo noi.
Grazie Enrico; il mio ego (già ipertrofico) deborda…
Permettimi un commento al “vinceremo noi”: se per “noi” intendi tutti quelli che si pongono questi problemi, che cercano di smuovere le acque (e soprattutto le coscienze altrui), che provano soluzioni e vie d’uscita sulla propria pelle a questa situazione, “noi” abbiamo già vinto.
Non per essere individualista (ho avuto un padre individualista stirneriano, ed è stata una bella sfiga…), ma il compito di ogni singolo individuo è quello di fare, da solo, almeno un passo nella giusta direzione: che è un po’ quello che Andrea sta dicendo su questo sito fin dall’inizio. Chi fa il passo vince (spesso a prescindere dai risultati), chi sta fermo nelle braccia del Renzi di turno e di chi lo vota, ha perso.
Caro Alberto, hai detto “scrivetemi” per saperne di più sulla Trinità del Massaccio.
Ti ho preso in parola.
Voglio capirne di più.
Aspetto tue nuove
Ciao
Adele
Ciao Adele.
Guarda bene i colori: i maschi (il committente e S. Giovanni) sono vestiti di rosso, le donne (sua moglie e la Vergine) di blu. Sono i due colori simbolo, almeno qui in Occidente, rispettivamente del maschile e del femminile.
Solo Dio li ha addosso entrambi e a questo punto credo che il significato sia chiaro: solo unendo le due polarità opposte, si può creare. Come dire che “Dio”, in qualunque modo ce lo si possa immaginare, non può essere maschio o femmina: deve “essere entrambi”.
Un discorso molto coraggioso, per il XV Secolo, con un bel rischio di rogo sulla testa. Adesso un tema come questo è affrontabile anche in salotto, allora temo che più di così – specie in pubblico – non si potesse fare; e, ripeto, già rischiando molto.