Convergenza o divergenza? Breve storia dell’iniquità

Branko

Branko Milanovic

Torniamo agli albori. Questo post, infatti, può essere considerato il degnissimo erede di quello che è stato forse l’articolo più acclamato, commentato e divulgato (sicuramente il più cliccato) di LLHT: “La misura dell’anima“, al quale – a costo di apparire noioso – vi rimando (se non altro, per poter meglio apprezzare quanto state per leggere).

Solo pochi mesi fa, infatti, per la precisione a novembre dello scorso anno, il lead-economist del dipartimento di ricerca della Banca Mondiale, Branko Milanovic, fa uscire un paper (“Global Income Inequality by the Numbers: in History and Now“) che non ha ancora finito di sprigionare pienamente la sua portata innovativa.

Sulla scia degli studi che mirano a quantificare la relazione di causalità diretta tra la disuguaglianza distributiva dei redditi e il benessere delle popolazioni (tra i quali, il saggio di Wilkinson e Pickett occupa certamente il gradino più alto del podio), l’economista serbo si sofferma – con una perizia senza precedenti – su quale, tra le misure deputate a quantificare la disuguaglianza distributiva, sia la più indicata.

Come forse qualche lettore ricorderà, nel testo di Wilkinson e Pickett, la disuguaglianza distributiva del reddito era data dal rapporto, all’interno di una popolazione, tra il reddito minimo del 20% di popolazione più ricca e il reddito massimo del 20% di popolazione più povera (tecnicamente, per gli addetti ai lavori: rapporto fra l’80° e il 20° percentile della distribuzione complessiva di reddito). I nessi causali individuati, rassicurano gli autori, non cambiano al variare dell’indicatore utilizzato per quantificare la divergenza distributiva del reddito. Occhio: stiamo parlando di reddito, non di ricchezza (cioè patrimonio).

Bene, standosene ben alla larga da una dotta disquisizione su quale indicatore statistico sia il più pertinente per questo scopo, Milanovic, assai semplicemente, si chiede: siamo sicuri che, su scala planetaria, il reddito medio delle popolazioni di ogni Stato sia un indicatore del tutto efficace? Con una chiarezza espositiva tipica dei grandissimi scienziati, Milanovic propone tre concetti di “disuguaglianza”, appoggiandosi a una efficacissima metafora grafica:

Three concepts

Le popolazioni di tre nazioni sono rappresentate dai tre diversi tipi di omini. La statura degli omini rappresenta il livello di reddito medio procapite. Così, se si misura la ricchezza media di una nazione in base al Concetto 1 (prima fila in alto), si ha che la nazione dell’omino con l’impermeabile è mediamente più povera di quella dell’omino che alza il cappello, a sua volta più povera di quella della nazione della pallavolista.

Una misura della ricchezza media delle nazioni così approssimativa è stata alla base dei fiumi d’inchiostro versati negli anni Ottanta e Novanta dagli studiosi di tutto il mondo, per puntellare il concetto di “convergenza”. Con questa espressione, si voleva intendere (e s’intende tutt’ora) il processo mediante il quale la ricchezza mondiale tende col tempo a spandersi dalle economie sviluppate a quelle in via di sviluppo. Una versione postmoderna della teoria della mano invisibile di Adam Smith, se vogliamo. L’obiettivo di questi economisti era dimostrare che, lasciando carta bianca al libero mercato, la ricchezza si sarebbe autonomamente e progressivamente distribuita dai Paesi ricchi a quelli poveri, esportando innovazione, democrazia e – in una parola, appunto – libero mercato.

Cosa succederebbe, però, se questo indicatore di ricchezza media di ogni Stato venisse integrato con una misura del “peso” di quello Stato, all’interno di una visione mondiale, appunto? In altre parole: la ricchezza media della Cina o dell’India dovrà pesare tanto quanto la ricchezza media della Gran Bretagna, ai fini dell’esistenza o meno della fantomatica “convergenza”?

Così, Milanovic introduce il confronto con un secondo concetto di ricchezza media procapite (Concetto 2, seconda fila di omini), in cui ogni popolazione peserà, per il confronto finale, di più o di meno in funzione della sua numerosità: si può quindi vedere chiaramente in figura che, nell’esempio dato, la popolazione mediamente più povera è composta da 5 individui, mentre quella con ricchezza procapite intermedia è composta da 2 individui, mentre la popolazione più ricca da 3 individui. In questo caso, la statura media delle tre nazioni sarà maggiormente influenzata dalla popolazione più povera (che “pesa” 5), esattamente cioè come il “peso” complessivo delle altre due popolazioni.

Gli effetti dell’introduzione di questa seconda misura saranno evidenti fra pochissimo. Intanto, cerchiamo di capire cosa intenda Milanovic con la disuguaglianza di tipo 3 (Concetto 3, ultima fila di omini), che rappresenta il vero architrave del suo ragionamento: in questo caso, oltre a considerare la numerosità di ciascuna popolazione (la stessa del Concetto 2), ci si prova a interrogare anche sulla ricchezza (cioè sulla “statura”) di ciascun individuo appartenente alle società in esame. Potete già qui intuire la portata di questa innovazione metodologica! Ci si astrae, cioè, dal concetto di media all’interno di ogni popolazione, per considerare invece il reddito di ogni suo rappresentante… I singoli membri della popolazione contribuiscono così individualmente alla definizione della misura sintetica complessiva! Sempre aiutandosi con l’esempio in figura, si può così osservare come i membri della popolazione con l’impermeabile (5 individui) siano distribuiti mediamente nella zona bassa della classifica generale (notate come la loro statura media equivalga a quella dei Concetti 2 e 1), mentre i membri delle altre due popolazioni, pur conservando ciascuna di esse la statura media dei concetti precedenti, si collochino agli estremi della distribuzione! Addirittura, la popolazione degli omini che alzano il cappello, composta dai soliti due individui, presenta l’individuo più povero di tutti e il secondo individuo, in ordine di reddito complessivo!

Dove si vuole arrivare, credo sia a questo punto ormai chiaro. Solo la disponibilità di una misura del reddito individuale consente di quantificare con esattezza l’effettiva disuguaglianza distributiva, sia all’interno delle singole nazioni (come viene fatto ne “La misura dell’anima”), sia nei confronti fra nazioni diverse (come, principalmente, fa Milanovic).

Applicando tutti e 3 i concetti di disuguaglianza appena descritti, la fase successiva dello studio di Milanovic si concentra sul confronto dei risultati, in termini di misurazione della effettiva convergenza delle nazioni del mondo verso un sentiero di benessere condiviso. Di fatto, si cerca di confutare – anche se non viene esplicitamente dichiarato – la veridicità della teoria della “mano invisibile” di Adam Smith, universalmente riconosciuto come il padre del liberismo economico. Teoria che, per chi non lo sapesse, postula – all’interno di un’economia di libero mercato – l’esistenza di spinte e controspinte (non sempre evidenti) che inducono necessariamente l’attuazione di meccanismi redistributivi della ricchezza, in modo che – detta in termini più attuali – il benessere si sparga su tutti gli individui e non si concentri esclusivamente nelle mani di pochi.

I risultati del confronto sono riassunti in questo grafico:

Convergenza

Sull’asse verticale è indicata la principale misura statistica della disuguaglianza distributiva (non entrerò in dettagli: basti sapere che “più si sta in alto” più c’è disuguaglianza e, viceversa, “più si sta in basso” più ovviamente c’è equità). Sull’asse orizzontale c’è il tempo, dal 1950 ad oggi. E nell’area, ci sono tre linee spezzate, ciascuna delle quali indica come si è evoluta nel tempo la disuguglianza distributiva, applicando i tre concetti esposti in precedenza. Per i più curiosi, ricordo che questa rappresentazione viene definita in letteratura come “la madre di tutte le dispute sull’uguaglianza“, in quanto – a seconda degli occhi di chi la osserva – si possono dimostrare o confutare tutte le teorie sulla convergenza fino ad oggi definite.

LLHT, però, non ha ovviamente l’ambizione di parteggiare per nessuno: mi limiterò ad aiutarvi nella lettura, in modo che siate voi, con le vostre idee, a capire quale sia la misura più idonea…

Guardate la linea più bassa, derivante dall’applicazione del Concetto 1 (la ricchezza media dei paesi non viene pesata con la numerosità delle loro popolazioni, cioè la Cina pesa come l’Italia): è evidentissimo come, fino all’anno 2000, la disuguaglianza sia – pur con alti e bassi – progressivamente e incessantemente… aumentata! Soprattutto dagli anni Ottanta in poi, sembrerebbe addirittura che i paesi ricchi siano diventati sempre più ricchi e i paesi poveri sempre più poveri. Solo dopo il 2000, con la rapida espansione delle economie sottosviluppate (Brasile, Russia, India e Cina, i cosiddetti “BRIC”, più molte altre), si è assistito a un’inversione di tendenza (fino al 2010, dopodiché, nell’ultimo pezzettino si può notare una nuova inversione di tendenza…).

Osservate invece ora la seconda linea, frutto dell’applicazione del Concetto 2 di disuguaglianza (la ricchezza media delle nazioni è pesata con la loro dimensione, in termini di popolazione): in questo caso, se fino agli anni Ottanta ci si è mantenuti in un certo senso in equilibrio (nessuna mano invisibile ha cioè spostato drasticamente gli equilibri), negli ultimi trent’anni si assiste a una vera e propria convergenza! Questa linea è ostentata con orgoglio dai più ferventi sostenitori della globalizzazione, in quanto – considerando una misura del reddito medio davvero in funzione della dimensione delle popolazioni che ne beneficiano – si assiste chiaramente come, nel tempo, la disuguaglianza sia progressivamente calata (la linea infatti scende ininterrottamente). Ciò, nella realtà economica, è di fatto dovuto alla rapida convergenza, su un sentiero di sviluppo, da parte delle due nazioni più popolose al mondo, la Cina e l’India appunto.  Evviva la globalizzazione, dunque?

Prima di “cantare vittoria”, concentriamoci allora sull’applicazione del Concetto 3 di disuguaglianza (che, richiedendo la disponibilità dei redditi individuali delle persone, è stato possibile calcolare solo per alcuni anni, e solo dalla metà degli anni Ottanta in poi). Innanzitutto, osserviamo non il trend dei puntini, ma il loro posizionamento in livello assoluto: è molto più in alto, rispetto alle precedenti due misure! Ciò indica, in altri termini, che la disuguaglianza distributiva così determinata è empiricamente superiore a quella che otterremmo mediante le approssimazioni necessariamente indotte dalle altre due metriche. Inoltre, dando uno sguardo al trend, si nota come la direzione dei primi 4 puntini, durante l’era della globalizzazione, sia inequivocabilmente crescente! Tuttavia, a testimonianza di come l’approccio di Milanovic sia del tutto disinteressato e privo di qualsiasi “retrogusto ideologico”, l’economista invita a considerare con una punta di ottimismo gli ultimi due puntini di destra (relativi agli anni 2002 e 2008), che presentano un’inversione di tendenza che lascia ben sperare: per la prima volta negli ultimi duecento anni, cioè dall’era della Rivoluzione Industriale ad oggi, periodo in cui la disuguaglianza distributiva del reddito è cresciuta ininterrottamente, sembra ci sia finalmente un piccolissimo segnale di speranza (anche in questo caso, sicuramente, ascrivibile allo sviluppo economico rapidamente agguantato da Cina e India).

SeparatoreLa seconda parte del lavoro di Milanovic, sulla quale andrò più spedito, si concentra sulle determinanti della disuguaglianza globale negli ultimi 150 anni e, fenomeno più recente, sull’impatto che i flussi migratori hanno sulla convergenza.

Mediante l’utilizzo di un particolare indicatore statistico (indice di Theil), che consente – oltre alla misurazione della disuguaglianza – di risalire anche alle sue determinanti, l’autore fornisce un confronto tra il livello di disuguaglianza distributiva del reddito nel 1870 e nel 2000:

DeterminantiSi può chiaramente notare come, a fronte di un livello di disuguaglianza incrementato nell’arco dei 150 anni (dal 65% a quasi l’80%), si sono radicalmente modificate anche le determinanti del fenomeno: mentre nella fine del XIX secolo il fattore “classe sociale di provenienza” si dimostrava come il principale contributore alla disuguaglianza di reddito, ai giorni nostri si sta rivelando sempre più determinante il fattore geografico. Come a dire che, nascere in una zona del pianeta piuttosto che in un’altra riveste un’importanza oggi assai superiore alla classe sociale di appartenenza. Questa evidenza (documentata nel testo, ma che qui prenderemo per vera) conduce direttamente alla conclusione del saggio, in cui si affrontano separatamente due questioni secondo me fondamentali: i riflessi “filosofici” delle evidenze emerse e, soprattutto, le implicazioni politiche.

1) Riflessi “filosofici”

Se la cittadinanza (cioè il semplice fatto di essere nato in un paese X anziché in un paese Y) sembra essere oggigiorno il principale fattore a cui attribuire la responsabilità della disuguaglianza retributiva globale, ci potremmo chiedere:

  • la cittadinanza dà di per sé diritto a pretendere un reddito maggiore?
  • c’è quindi una sostanziale differenza nell’adottare una visione della disuguaglianza su scala globale, anziché “solo” nazionale?
  • le due visioni – nazionale e globale – sono quindi in contraddizione fra loro?

All’interno di una singola nazione, infatti, la società tende comunque ad adoperarsi affinché i privilegi acquisiti da chi nasce in famiglie benestanti non si traducano in diritti di natura esclusiva: si pensi alla sanità, all’istruzione e a tutti i servizi sociali che si cerca comunque di garantire a tutti i membri di quella popolazione. Questa forma di redistribuzione, sebbene affetta da inevitabili storture, avviene principalmente mediante la tassazione, uno strumento che – almeno in teoria – dovrebbe cioè livellare il più possibile la fruibilità dei servizi. Tuttavia, così come noi occidentali ci scandalizziamo se certi diritti dovessero concentrarsi nelle mani di pochi privilegiati all’interno di una stessa nazione, restiamo tendenzialmente più indifferenti alla diversità di accesso a questi medesimi servizi da parte di popolazioni di zone del mondo diverse. Come se lo spettro visivo che hanno i nostri occhi fosse in qualche modo “limitato” ai confini territoriali della nostra nazione… Come detto, la questione è più filosofica che politica: tuttavia, è giusto mantenerla sul tavolo.

2) Implicazioni politiche

La questione, che nasce dalla principale determinante oggi della disuguaglianza, ha a che fare con il fattore geografico. Vediamo perché… Se la cittadinanza spiega oggi oltre il 50% della disuguaglianza distributiva del reddito, allora, oltre ai due modi “classici” per ridurla (da un lato, l’aumento dei tassi di sviluppo dei paesi poveri, cioè appunto la cosiddetta “convergenza” e, dall’altro lato, l’applicazione di meccanismi redistributivi sempre più serrati), c’è un terzo canale, non meno importante, per ridurre la disuguaglianza: i flussi migratori. La migrazione è destinata a diventare uno dei problemi-chiave (o delle soluzioni-chiave, a seconda di come la si guardi) del XXI secolo. Basti un esempio: segmentando le nazioni del mondo in 4 macrocategorie, in funzione del livello di PIL procapite (la più ricca, con un livello superiore ai 20’000$ e la più povera, con un livello inferiore ai 1’000$), si ottengono ben sette punti sul pianeta in cui i paesi più ricchi sono geograficamente confinanti con quelli più poveri. Bene, non sarà sorprendente apprendere che tutte queste sette aree sono disseminate di mine, pattuglie navali, dighe e muraglie, con l’unico scopo di contingentare il libero movimento delle persone…!

L’economista conclude quindi con uno slogan: o i paesi poveri faranno di tutto per diventare ricchi, oppure i cittadini dei paesi poveri faranno di tutto per trasferirsi in quelli ricchi. Lo sviluppo, in ultima istanza, riguarda le persone: o queste cercheranno di arricchirsi dove si trovano, oppure cercheranno di… trovarsi altrove. Viste da molto in alto, queste due prospettive non sono granché differenti. Ma, dal punto di vista della politica economica… c’è una differenza abissale!

Ciao. Ah, un’ultima cosa: fatelo girare finché volete, questo post. L’importante, come sempre, è che citiate la fonte (che a sua volta cita la fonte primaria, cioè lo studio di Milanovic).

Andrea

PS. Rileggendo questo post, ho a lungo riflettuto sulle parole di Francesca, nel suo commento in risposta a un mio post: “Se LLHT diventasse a pagamento, pagherei. E volentieri.” La domanda (che mi faccio e che vi faccio) è questa: in linea di principio, la qualità deve o non deve avere un prezzo? A volte ho l’impressione che, in questa società malata e persino un po’ perversa, anche il prezzo sia di per sé un odioso meccanismo per sancire la qualità…

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8 risposte a “Convergenza o divergenza? Breve storia dell’iniquità

  1. Ciao Andrea.
    Volevo farti i complimenti per il blog che ho scoperto solo di recente e quindi mi sto leggendo pian pianino i vari interventi che reputo tutti molto interessanti.
    Mi è piaciuto tantissimo l’affinamento al concetto di reddito elaborato da Milanovic che è decisamente più preciso rispetto a quello dell’unico reddito medio per nazione.
    E per quanto probabilmente sia ancora da affinare con altri elementi legati alla qualità della vita è già sicuramente un grosso passo avanti rispetto alla visione meramente quantitativa che normalmente viene passata.
    Credo veramente che il passaggio verso una società migliore avverrà quando dalla visione quantitativa si passerà a quella qualitativa.

    E complimenti per il libro che ho comprato alla presentazione a Torino (anche se ti ho “sgridato” perchè usavi termini da amercan businessman 🙂 ).
    Con ammirazione
    Domenico

  2. Ho passato le prime tre ore della mia giornata saltando da un post ad un altro, per rimando, di questo interessantissimo Sito di cui ovviamente ero all’oscuro fino a ieri. Tantissimi commenti vorrei fare, tutti positivi davvero, ma per prima cosa devo dire che mi ha fatto venire il desiderio di averlo tra le mani in forma cartacea perchè lo meriterebbe! (…e perchè mi sarebbe più agevole, per antiche abitudini, leggere e tornarci su.)
    Hai, con l’aiuto dei tuoi degni lettori, sollevato una quantità di domande, riflessioni e commenti che, vista la mole di post essendo la prima volta, rimando a futuri articoli che non mancherò di scandagliare come un segugio, felice di aver finalmente trovato un posto dove profumi, tanfi ed evocazioni non mancano di certo
    Grazie davvero, e complimenti a tutti: autore e lettori. A presto

    • Ciao Gabriella.
      Piacere di conoscerti, innanzi tutto.
      Devi sapere che, fino a qualche mese fa, riuscivo a dare un benvenuto personalizzato – anche solo via mail – a tutti i nuovi amici di LLHT: mi piaceva instaurare con ciascuno di loro una specie di rapporto personalizzato, quasi fosse una stretta di mano virtuale! Era una cosa, mi è stato detto, apprezzatissima, anche perché quasi unica nel panorama web… Purtroppo però, ormai, questo non mi è quasi più possibile, vedendo quanti state diventando!

      Nel tuo caso, però, voglio tornare alle vecchie abitudini. Soprattutto, vedendo il calore del tuo entusiasmo. La suggestione di un’edizione cartacea di LLHT, inoltre, mi piace molto. Non è escluso che, prima o poi, proprio per venire incontro ai nuovi arrivati (e non obbligarli a perlustrare il blog da cima a fondo), decida di fare uscire qualcosa di più… old economy! Ho un paio di amici (vero Enrica…? vero Mauro…?) che, in tal senso, stanno “spingendo” da quasi un anno! Coraggio, pazientate ancora un attimino e vedrete che un book (“e-” oppure no) di LLHT, prima o poi, arriverà! 😉

      Intanto, se non l’hai già vista, ti segnalo la pagina “Best of“, dove puoi trovare una raccolta dei pezzi che hanno riscosso più entusiasmo.

      A presto, ciao
      Andrea

      • Carissimo Andrea,
        non mi è arrivata nessuna notifica della tua graditissima risposta! Ero convinta di aver cliccato sulle notifiche ma forse… Comunque, intanto ti ringrazio immensamente per tutto e secondo me, e non solo secondo me evidentemente, questo gioiellino un qualcosa di più organico se lo meriterebbe proprio! Immagino debba essere un lavoraccio in più per te ma sarebbe bello che lo facessi, mooolto bello.
        A proposito: non ho poi solo passato le prime tre ore della giornata, quel fatidico dì, ma anche gran parte del pomeriggio, ed ho ancora articoli da leggere, quindi…
        Un abbraccione
        PS: se per qualsiasi semplice lavoretto ti potessi essere utile, approfitta pure di me! (Ho detto semplice perchè non sono un’esperta nè di pc, programmi o altro, ma ad esempio so battere a macchina discretamente veloce, amo leggere e detesto gli errori grammaticali, le ripetizioni, ecc. anche se a volte scappano anche a me e sono, come puoi immaginare facilmente, un pò prolissa. Per questo comunque mi punisco severamente!!!)

  3. Fondamentalmente ignorante in economia – come ben sai, perché non l’ho mai nascosto – ritengo che l’analisi di Milanovic sia giusta, o almeno parta da basi corrette, semplicemente perché più variabili si esaminano per conoscere un problema, meglio lo si conosce.

    Detto questo, gradirei qualche proposta per risolverlo, il problema: al di là del concetto di decrescita, intendo – che è sacrosanto – ma per il quale non mi pare sia stata ancora prodotta una “ricetta” per la sua introduzione e la sua gestione a livello di nazione; energie alternative, riciclo, ecc. ecc.: tutto giusto, ma – sempre nella mia ignoranza – non so se qualcuno abbia provato a sviluppare una strategia per “guarire” un soggetto così articolato da tutti i punti di vista, qual è la popolazione di uno Stato.

    Alla tua domanda, rispondo invece ritenendo di avere qualche titolo, sulla base di quarant’anni di carriera artistica.

    E secondo me la qualità ha un prezzo, eccome. Ma è un prezzo immateriale ed è il concetto stesso che se lo crea: è il costo che ciascuna persona è disposta a pagare – in tempo e energie, solo secondariamente e occasionalmente con una contropartita materiale – per arrivarci. La qualità (e proprio il campo artistico lo dimostra) è altamente selettiva e per nulla democratica per sua stessa natura.

    Perlomeno, io ho inteso la tua domanda in astratto: cioè appunto relativa al concetto di qualità e non a un oggetto qualitativamente elevato. In questo secondo caso la mia risposta potrebbe essere (molto) più complessa.

  4. Splendido post, complimenti!

    In austria, ove l’immigrazione rappresenta un problema (in senso buono, in quanto si è fatto molto per gestirlo e risolverlo) da oltre quattro o cinque lustri, si parla di gestione della immigrazione (e di flussi migratori dai paesi poveri verso i paesi ricchi) da molto tempo e si sono anche trovati diverse e numerose soluzioni che costituiscono un ottimo bagaglio di esperienze ed evidenza a cui attingere. Occorre un approccio serio, umano ed il meno possibile demagogico.

    • Sono d’accordo. L’impressione è che qui da noi, invece, per colpa di una brodaglia politico-ideologica di duplice provenienza, si siano purtroppo buttati via una trentina d’anni…

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