C4: colpito , D2: affondato!

In fin dei conti, è abbastanza ovvio: l’unico modo per arginare la deriva della complessità, al giorno d’oggi, è convogliarla in uno schema più semplice. Imbrigliarla.

Siamo soggetti (più spesso, soggiogati) a una marea di informazioni, molte delle quali ridondanti e, quindi, inutili (se non dannose). La quantità di informazioni che l’umanità ha saputo generare dall’inizio dei tempi fino al 2003 è pari a quella che oggi siamo in grado di generare e diffondere in… due giorni (fonte)! Ai ritmi odierni, la capacità di calcolo computazionale cresce del +58% all’anno, la velocità delle telecomunicazioni del +28% e quella di archiviazione del +23%. La domanda che sorge è quasi scontata: cosa ce ne faremo?

Ma la domanda ancora più importante è: come difendersi? Visto che – non ci vuole un genio a capirlo – non siamo biologicamente strutturati per sopportare questo tsunami informativo (Big Data).

pleasure-center-of-brainPoiché, quando posso, mi piace prima conoscere le cose di cui parlo, un paio di sere fa mi trovavo a un convegno di presentazione del neuromarketing, l’ultima e – pare – efficacissima frontiera delle tecniche di persuasione occulta. Bene, pare che adesso non si debba più parlare alla zona del cervello detta corteccia (quella che “pensa“) o a quella interna, detta limbica (quella che “sente“), in quanto queste due, insieme, influiscono soltanto per il 5% nella formulazione della decisione di “acquisto”. Ma la scienza (la scienza, oibò…) ci insegna che dobbiamo saper parlare a una zona del cervello molto più nascosta e segreta, detta nucleus accumbens e in grado di stimolare sia l’amigdala che l’ipotalamo: è infatti questa sezione microscopica, posta esattamente alla fine del midollo spinale, che “decide” al 95% per noi! E’ esattamente a quella, che i bravi esperti di marketing devono saper parlare. E infatti il docente (che era bravissimo a parlarle), pur non avendomi “venduto” il suo corso, mi ha però trasmesso un sacco di informazioni preziose!

Poi… giù con altre nozioni sulle tecniche neurolinguistiche (ormai passate di moda, per la verità), sulla persuasione non verbale (gestualità, mimica facciale, etc…) e quella paraverbale (tono di voce). Ma la parte del leone – ci spiegava l’ottimo docente – la fa ormai la comunicazione che si rivolge all’intelligenza emotiva.

Perché la regola è semplicemente questa: noi acquistiamo ciò che ci stimola, punto. Tutto qui, di una banalità sconcertante!

Ma quali… bisogni, quindi! (Quelli cioè su cui puntava il cosiddetto “marketing 1.0”, al cui centro c’erano i prodotti, in voga fino agli anni Ottanta.) Ma quali… sensazioni! (Quelle su cui puntava invece il “marketing 2.0”, cioè quello in cui al centro c’era l’esperienza del consumatore.) Si veda, se interessa, questa efficacissima tabella riassuntiva delle fasi storiche del marketing (da tutt’altra fonte, ma comunque molto utile).

iphone

Scaffali digitali

Oggi contano solo ed esclusivamente… gli stimoli, le emozioni. E questo spiega anche, da un punto di vista neurologico, perché mettere una bella donna o un bell’uomo di fianco al prodotto da promuovere aumenterà le vendite anche del 40% o del 50%. Alcuni studi dimostrano che un’azienda che decide di lavorare sull’intelligenza emotiva dei potenziali clienti, può ottenere un incremento del fatturato anche del +140%.

Cosa ho voluto dire, con questi due riferimenti? Che da un lato abbiamo una mole di informazioni che, con intensità esponenzialmente crescente, ogni giorno ci bombarda e a cui non sappiamo più opporre resistenza. Dall’altro lato, abbiamo tecniche sempre più sofisticate che ci inducono a fare ciò che altri decidono per noi. Disorientante, eh…? E noi, allora? E quello che Dante chiamava il “libero arbitrio”? Dov’è…? C’è ancora?

Dov’è lo spazio per… noi stessi, per quello che realmente siamo e sentiamo? In quale zona del cervello, invece, è racchiuso il nucleo primordiale della nostra essenza? Ammesso che abbia ancora senso parlarne…

Shelf

Credo che una delle risposte che sta mettendo in pista la contemporaneità sia uno… stoccaggio il più possibile razionale.

Tutto viene, innanzitutto, rapidamente valutato, poi etichettato, poi incasellato nel posto giusto. Pagelle, sistemi di valutazione, rating, giudizi sommari (davanti e, più spesso, dietro), like e dislike, manine su, manine giù. Ma, soprattutto, rigore: in questo modo, non può e non deve esserci spazio per le sovrapposizioni, per le indecisioni, per le gradazioni.

Un oggetto, un articolo, un pensiero, un… essere umano, andrà qui oppure andrà  (ma certo non in entrambi i posti), in base ad alcuni parametri che il valutatore deciderà di utilizzare per la misurazione e la collocazione. Mi diceva recentemente un conoscente che suo figlio appena nato, nonostante avesse cominciato a respirare una ventina di secondi dopo il parto, fortunatamente non aveva subìto un abbassamento del… rating neonatale: una sorta di pagella che il reparto compila per ogni bambino, in funzione di una serie di parametri biometrici. (Lascio a voi i commenti…).

Capito? Siamo oggetto di una valutazione… da subito! Quasi sempre, a nostra insaputa. E, soprattutto, questo pullulare di misurazioni avviene sempre in una scala impietosamente monodimensionale o, se va bene, bidimensionale. Come, appunto, in una battaglia navale. Non c’è spazio per le sfumature di grigio, come accennai in un precedente contributo (“Codice binario“). Non possiamo più permettercele, non ne abbiamo il tempo. Sono, in una parola, antieconomiche.

surfQuindi, giù con la lavagna dei buoni e dei cattivi, dei belli e dei brutti, dei ricchi e dei poveri, degli abili e degli inabili, degli empatici e dei simpatici, dei giusti e degli sbagliati. La percezione del mondo pare ancora una volta giocarsi sulla base di una partita dagli esiti inevitabilmente dicotomici, duali.

Tempi duri, per chi ha l’ambizione di fare del surf… 😉

SeparatorePS. Così, per la cronaca (ma sempre in tema di etichette, incasellamenti e… surf), questo è il pane che ho appena fatto, cotto mentre scrivevo il post:

Pane

Ciao! 🙂

 

13 risposte a “C4: colpito , D2: affondato!

  1. Eh si sembra proprio che in questo tempo siamo schiacciati tra due ganasce di una stessa morsa: da una parte c’è una forza che vuole renderci strumenti di profitto facendoci comprare cose che, se fossimo pienamente razionali, mai compreremmo; e dall’altra una forza che tende ad incasellare la complessità del mondo in uno schema troppo semplice e rigido.
    Personalmente vedo più facile liberarsi dalla prima forza, basta ritrovare i veri valori, buttare via il televisore, decrescere nei consumi, mettere al centro la persona più che il denaro, ecc. Ma come possiamo liberarci, ad esempio, dal “fenomeno burocratico”? Le leggi del sistema in cui viviamo sono basate su questo schema, dobbiamo diventare dei fuorilegge per poter beneficiare di tutta la complessità di cui abbiamo bisogno per poter definire la nostra vita “piena”? Ad esempio, io son ingegnere, ebbene non posso costruire la mia casa come vorrei, andrei contro la legge, sarei multato e bloccato. Soltanto perché i burocrati conoscono solo quello che dice la legge (e neanche lo conoscono tanto bene…), ma non conoscono le leggi della termodinamica, l’energia del sole, i materiali naturali che vengono usati efficacemente in altri luoghi della Terra, il Feng Shui, ecc… Un caso simile è quello trattato nel film “Garbage Warrior”.
    Vorrei segnalare inoltre un’intervista a Fromm che parla anche del fenomeno burocratico in relazione alla libertà dell’uomo:

    • Ciao Emidio,
      la tua presenza qui – lo dico senza alcuna retorica – rappresenta per me un motivo di gioia particolare. E, avendo dato a te il benvenuto (che cerco sempre di dare a tutti) privatamente e… in anticipo, forse intuisci a cosa mi riferisco.

      Nel merito di quello che dici, concordo sul fatto che, delle due ganasce, la meno dura (e più evitabile) sia quella del consumismo ipertrofico: ad essa ci si può sottrarre adottando comportamenti virtuosi, fondati sulla propria integrità morale (ammesso che ci sia) e su un assetto valoriale che si può… imparare.

      Quanto invece al problema della “burocrazia” (su cui, sinceramente, non mi ero mai soffermato), la prima considerazione che mi viene d’istinto è una forma di progressiva “disobbedienza civile” (il nome stesso di questo blog è riconducibile a Thoreau, in fondo…). Ma il tema va sicuramente approfondito…

      Appena riesco, guarderò sia il film che mi indichi, che l’intervista a Fromm (di cui parlai, nel caso te lo fossi perso, in “Il prezzo della libertà“).
      Ricambio il suggerimento con il recentissimo “Trashed“, con Jeremy Irons: amaramente stupendo. Ciao.

      • Grazie Andrea per l’accoglienza. Il post che mi hai indicato l’avevo letto appena pubblicato, ma me lo rileggo volentieri. Quanto a “Trashed”, è da un po’ che lo cerco. Ciao

  2. Citazione: “(…) neuromarketing, l’ultima e – pare – efficacissima frontiera delle tecniche di persuasione occulta (…)”
    Ottimo articolo.
    Queste tecniche però, si conoscono da tempo e, da tempo, vengono utilizzate in modo occulto (Edward Bernays docet). Solo adesso, qualche coraggioso comincia a parlarne e qualcheduno, svogliatamente, comincia a prestargli attenzione.
    Tutti i nostri sensi sono giornalmente, senza sosta, bombardati da “sensazioni”, è veramente difficile difendersi.
    Non conosco metodi per farlo, ma so che è importante parlarne. Credo che la consapevolezza possa contribuire ad issare una barricata contro questa pioggia di informazioni falsate e fuorvianti.

    • Solo una precisazione: relativamente al neuromarketing, il docente parlava – più che di “sensazioni” (che, captate attraverso i cinque sensi, vengono elaborate dal sistema limbico) – di veri e propri “stimoli emozionali”. In sintesi:
      Corteccia = pensa (influisce sulla scelta per il 2,5%)
      Massa limbica = sente (2,5%)
      Nucleus accumbens = decide, sulla base di stimoli (95%)

      Concordo infine al 100% con la tua ultima frase, che mi sono permesso di evidenziare.
      Ne approfitto infatti per dire che alcuni miei articoli (come questo) sono concepiti proprio perché, se sapientemente diffusi, possono contribuire ad accendere qualche lampadina.
      Ma la loro diffusione… non spetta a me. 😉
      Ciao.

  3. viene il dubbio che anche la tua “scelta” sia programmata dal sistema. Forse è necessario che qualcuno si ribelli ai modelli perché tutto funzioni!

    • Curiosamente, però, “sistema” è un termine che – chi segue il blog dall’inizio può testimoniarlo – non credo di aver mai usato. Lo trovo anacronistico, eccessivamente (e immeritatamente) strutturato e, personalmente, mi evoca puzza di cantina, di muffa, di cospirazionismo carbonaro…
      Il sistema a cui probabilmente ti riferisci, è composto con pari dignità dai suoi paladini, dagli ignari e dai suoi detrattori. Quindi, e su questo sono d’accordissimo con te, inutile opporsi a un sistema di cui sei parte integrante e che, per questo, ti ha “programmato”. Ed è appunto per questo che non amo questa espressione.

      Quanto invece alla ribellione ai modelli dominanti, bè… qui sfondi una porta aperta. Premesso che i driver di ogni scelta saranno sempre, inevitabilmente, scanditi dal proprio esperito (quindi nessuno come l’autore di quella scelta può conoscerne e apprezzarne appieno le ragioni), è vero: le mie “scelte” dimostrano, evidentemente, che – in quel sistema – qualche meccanismo dovrebbe, come minimo, essere meglio… lubrificato.

      Ma qui, nell’articolo, il ragionamento non voleva essere riferito a me. Semplicemente, ho recentemente assistito a due conferenze molto interessanti e ho provato a convogliarle in una qualche riflessione più ampia. Ciao.

  4. Eppure io credo che un antidoto ci sia: la conoscenza. Se conosco questo modo, questo sistema saprò difendermene meglio. Da qualche anno sono completamente impermeabile ai cosiddetti consigli per spendere meglio. Compro solo ciò che mi serve, non ciò che mi stimola. E mi sento più libera.
    Cerco di insegnare ai miei figli a guardare con occhio critico ciò che guardano e sentono e hanno sviluppato, già così piccoli, una certa capacità di distacco e di critica che mi fa molto piacere…

    Certo però, non ci si salva del tutto così facilmente… Purtroppo.

    • Bè Marìca, hai citato l’architrave del mio intero… palinsesto esistenziale, diciamo così: la conoscenza. Cioè la vera, unica (e, temo, ultima) forma di ribellione che sia ormai rimasta a disposizione del genere umano. E che, guarda caso, una certa prassi comune sta da decenni facendo di tutto per spegnere. O, ancor meglio, dirottare su binari… inoffensivi.

      Mi fai venire in mente una cosa divertente: nel mio penultimo lavoro, durante uno di quei noiosissimi e inutili corsi di team-building, il docente riversò sul tavolo una borsa piena di Lego: scopo delle squadre era produrre in cinque minuti un oggetto (reale o immaginario) che fosse di pubblica utilità, per il miglioramento di un problema collettivo.
      Il mio team, su mia indicazione, generò una… biblioteca (assai futuristica): il tetto, infatti, era “capovolto”. Cioè, anziché avere il “colmo” in cima, lo aveva alla base, in modo che le due falde emulassero le pagine di un libro semiaperto.
      Nell’esposizione dell’idea agli altri gruppi, questa soluzione doveva significare, oltre che appunto la funzione dell’edificio (diffondere conoscenza), la capacità – tramite appunto il simbolo di quella conoscenza (il tetto-libro) – di convogliare l’acqua piovana al centro del tetto (per raccoglierla e riutilizzarla) e, al tempo stesso, la possibilità di non privarsi dei pannelli solari.
      Reazione degli altri team (ovviamente, in un clima di totale ortodossia al pensiero unico e omologante): incredulità, risolini, sguardi che si abbassavano, teste che si scuotevano, un tentativo di demolire i presupposti strutturali dell’edificio. In una parola: STUPENDO!!! 😉
      Ciao

  5. Corrige: “Sempre che lo si voglia fare”. Correttore automatico che capisce che c’è un errore ma poi a disambiguare ci pensa la scimmia alla tastiera. C’è ancora una speranza se non ti legge nel pensiero…

  6. PS Le emozioni si educano. E possono essere educate ad emozionarsi di fronte a qualcosa di sensato e persino di complesso. Sembra che lo si voglia fare e, parlando di industrie che tendono a promuovere il consumatore di bocca buona, dubito che dovremo rivolgerci al mercato, che remerà contro. Capito Monti, capito Berlinguer (giovane), capito Gelmini (ministra ma esecutrice) perché la scuola doveva restare saldamente pubblica e ben finanziata?

    • Pienamente d’accordo sul fatto che le emozioni siano… educabili. Occorre però una (difficilissima e rarissima) consapevolezza preliminare che “quel” tipo di emozioni non sia adatto a noi. E vada quindi fatto evolvere.
      Chi, tra gli accaniti lettori di un rotocalco rosa, può educare se stesso a non appassionarsi ai flirt estivi tra un calciatore e una velina? Occorre prima far fare alla propria coscienza un salto di qualità. Evidentemente, “passando” per quella massa cerebrale che “custodisce” quel nucleus…! Quindi, guarda caso, ancora una volta “passando” per la ragione e i sentimenti.
      Personalmente, credo che quel 5% sia una percentuale astutamente dichiarata bassa. 😉
      (Ma non saprei: non sono un neurologo, ovviamente.)
      Ciao.

  7. Quando parli delle divisioni nette, alla faccia di tutte queste neurovalutazioni raffinate mostri come sia in voga un vero e proprio “riduzionismo”, anche della scienza, agli aspetti meccanici, cioè, tecnicamente parlando, campionati, discreti, quantitativi (e la stessa qualità viene quantizzata). Allora via di statistica e via di selezioni. Insomma, più che il futuro sembra una visione da fantascienza vintage, di quella moderna (nel senso di “anni 30 del 900”) fino al midollo, la stessa forma mentis che era il futuro prima che la Seconda Guerra Mondiale e il Nazismo mostrassero al mondo dove poteva arrivare se usata rigidamente e senza vero umanesimo (che è qualitativo nell’animo). E’ passato abbastanza tempo che già ci riproviamo sostituendo Prism ad Enigma e una paccata di server Google alle schede perforate?

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