A integrazione del recentissimo “Globalmente felici” pubblico (in due parti) la rassegna, stilata da un ex gestore di hedge-fund americano (James Altucher), di dieci valide motivazioni per abbandonare oggi questo mondo del lavoro. Sebbene si tratti in molti casi di temi già trattati anche su LLHT, ho comunque trovato qua e là alcuni spunti interessanti. Per fare prima, mi sono appoggiato a un traduttore automatico, quindi – nonostante l’abbia poi corretto – potrebbe esserci rimasto qualche svarione. (Non aspettatevi un pezzo in Dolce Stil Novo, insomma!) Le immagini, come sempre, le ho aggiunte io. Ciao.
1) La classe media è morta. Qualche settimana fa ho visitato un mio amico che gestisce un patrimonio di un miliardo di dollari. Non è uno scherzo. Un miliardo. Se vi dicessi il nome della famiglia per cui lavora, non ci credereste! Direste: “Hanno un miliardo? Davvero?”. Ma questo è ciò che succede quando dieci milioni di dollari si rivalutano al 2% per 200 anni. Mi ha detto: “Guarda fuori dalla finestra”. Abbiamo guardato fuori a tutti gli edifici intorno a noi. Tutti uffici. “Che cosa vedi?”, mi ha chiesto.
Io: “Non lo saprei… uffici?”
“Sì, ma guarda bene: sono vuoti! Tutti quegli uffici sono vuoti! La classe media ne è stata cacciata fuori!”
Ho dato uno sguardo più attento. Interi piani erano bui. Oppure c’erano piani con una o due luci accese, ma il resto era deserto.
Lui: “E’ tutto in outsourcing: la tecnologia li ha rimpiazzati tutti, quegli smistatori di scartoffie. Non è però necessariamente una cattiva notizia,” ha detto, “molte più persone dello scorso anno sono infatti entrate nella fascia sociale più altolocata. Ma”, ha aggiunto, “ci sono anche molti più precari di quanti ce ne siano mai stati. E’ questo il nuovo paradigma: la classe media è morta. Il sogno americano non è mai esistito. E’ stata una colossale e riuscitissima truffa commerciale, una strategia di marketing!”
Ed è vero. Il più grande fornitore di mutui degli ultimi 50 anni, Fannie Mae, ha avuto come slogan: “Noi realizziamo il sogno americano!” era solo uno slogan.
(Insieme a quello di Freddie Mac, il crollo di Fannie Mae anticipò l’assai più roboante crack di Lehman Brothers. Ndr)
2) Siete già stati rimpiazzati. Tecnologia , outsourcing, la crescente industria del precariato, efficienza e produttività hanno tutte rimpiazzato la classe media. Pensate alla classe operaia. La maggior parte dei lavori che esistevano 20 anni fa oggi non servono più. Forse non erano necessari. L’intero primo decennio di questo secolo ha visto Amministratori Delegati, nei loro salotti di Park Avenue, lamentarsi nelle nuvole di fumo dei loro sigari: “Come faremo a licenziare tutti questi pesi morti?”.
Il 2008 ha infine dato loro la possibilità. “E’ colpa dell’economia!”, hanno detto all’unisono. Il paese è uscito dalla recessione nel 2009. Da quattro anni ormai. Ma l’occupazione non è tornata. A molti di questi Amministratori Delegati, ho detto: “Ammettilo, hai usato la crisi come pretesto per licenziare la gente!” Molti hanno strizzato l’occhio, come per dire: “Lasciamo che la colpa sia ufficialmente della crisi…”
Io lavoro nel consiglio di amministrazione di una società che ha un miliardo di dollari di ricavi: posso vedere cosa succede in ogni settore dell’economia. Vengono tutti licenziati. Sono tutti carta igienica, oggi.
3) Alle grosse aziende voi non piacete. Il direttore esecutivo di un’importante testata giornalistica mi ha portato fuori a pranzo per avere consigli su come espandere il loro traffico web. Ma prima che potessi parlare, ha iniziato a lamentarsi con me: “I nostri migliori scrittori continuano a mettere i loro account Twitter alla fine dei loro post. Poi, quando ottengono molti follower, vengono da me e mi chiedono un aumento di stipendio.”
“Qual è il problema?” chiesi io. “Non vuoi avere scrittori popolari e autorevoli?”
Quando parlo di un giornale importante, voglio dire IMPORTANTE. Egli infatti mi ha risposto: “No, noi vogliamo che il focus sia sulle notizie. Non vogliamo che nessuno dei nostri dipendenti diventi una star per conto suo!”
In altre parole, il suo compito principale era quello di distruggere le aspirazioni e le carriere dei dipendenti di maggior talento, quelli che gli avevano giurato fedeltà, quelli che lavoravano per lui 90 ore a settimana. Se avessero lavorato solo 30 ore a settimana e fossero stati solo leggermente più mediocri, ne sarebbe stato felice. Capito? A gente come lui, voi non piacete!
4) Il denaro non è la felicità. Una domanda ricorrente che mi viene rivolta almeno una volta alla settimana è: “Dovrei accettare un lavoro che mi piace o uno più remunerato?”
Lasciando da parte la questione del “Dovrei accettare un lavoro COMUNQUE“, parliamo per un attimo di soldi. In primo luogo, la scienza: gli studi dimostrano che un aumento di stipendio offre un aumento marginale di felicità solo fino a un certo livello, dopodiché il segno si inverte. Perché questo? Per un fatto fondamentale: le persone spendono quello che guadagnano. Se il vostro stipendio annuo aumenta di 5000$, magari spendete 2000$ per la vostra auto, fate qualche affare, acquistate un nuovo computer, un divano più comodo, una TV più grande…
Poi immancabilmente vi chiedete: “Che fine hanno fatto tutti i miei soldi?”
Anche se non avevate in fondo alcun bisogno delle cose che avete comprato, vi concentrerete su una cosa soltanto: ottenere un altro aumento di stipendio! Così, tornerete al vostro casinò aziendale alla ricerca di un altro numero vincente alla roulette. Non ho mai visto nessuno mettersi da parte e risparmiare interamente un aumento di stipendio. In altre parole, non statevene al lavoro per aumenti di stipendio progressivi nel tempo! Perché in questo modo non arriverete mai dove realmente vi serve, cioè alla libertà dalla preoccupazione finanziaria. Solo il tempo libero, l’immaginazione, la creatività e la capacità di dileguarvi al momento giusto, vi aiuterà a ottenere un valore inestimabile, che nessuno nella storia dell’umanità ha mai raggiunto.
(Teniamo presente che in America non c’è la nostra propensione al risparmio, che è l’unica cosa che ancora ci sta tenendo a galla. Ndr)
5) Provate a fare l’elenco delle persone che, con una loro decisione, potrebbero rovinarvi la vita. Non mi piace quando una persona può decidere per me o addirittura infierire. Un capo. Un editore. Un produttore televisivo. Un possibile acquirente della mia compagnia. Ho sempre dovuto piegarmi a leccare il culo a uno di loro. Lo detesto. Non posso farlo un’altra volta ancora!
L’unico modo per evitarlo è diversificare al massimo le mie attività, in modo che nessuna persona, o cliente, o capo, o partner possano prendere una decisione che potrebbe unilateralmente rendermi ricco o, viceversa, schiacciarmi. Capisco che questo non possa accadere in un giorno. Ma occorre iniziare il prima possibile a pianificare il proprio destino, invece di concedere ad altri l’opportunità di farlo.
(continua…)
Pingback: Letture intelligenti | viaggioleggero·
Scusascusatescusascusa! Ho scritto qui ma il discorso dell’a-sociale si riferiva al post cui rimandi all’inizio di questo, che tanto mi aveva dato da cogitare…..!!! Ri-sorry! Mò me so resa conto che qui non c’entra nulla… ovviamente.
Quando Giusavvo ha detto al punto 10 “i bisogni primari devi soddisfare” mi è venuta subito in mente una mia amica che considera un bisogno primario avere 5 paia di stivali. E poi un conoscente che considera un bisogno primario andare a cena fuori tre volte a settimana e in vacanza quattro volte l’anno. E poi la mia carissima zia che considera un bisogno primario il detersivo di quella tale marca pubblicizzatissima, carissima (e inquinantissima) o il latte della tal’altra marca conosciutissima, famosissima, sanissima e via dicendo…
So che Giusavvo non intendeva questo quando scriveva e che si riferiva ai bisogni primari veri e propri. Tuttavia una riflessione su questo mi viene proprio.
Se saprò definire con chiarezza quali sono i miei bisogni reali sarò un po’ meno dipendente dal denaro. Questa non è un’operazione facile perché tutti pensiamo di avere bisogno di tutto ciò che acquistiamo, di tutto ciò che desideriamo, di tutto ciò che è “necessario”.
Una delle cose che ci rendono schiavi è proprio l’incapacità di definire con chiarezza ciò di cui abbiamo bisogno. Negli ultimi tre anni ho cambiato progressivamente il mio stile di vita. E di gradino in gradino ho iniziato a rendermi conto di quante cose inutili mi circondavo. Eppure quelle stesse cose le consideravo indispensabili. Tagliate via mi sono sentita più leggera, più libera e con meno necessità di denaro.
Piccole cose? Può darsi. Ma questo ha significato 4000 euro (tanto per dare qualche numero) solo di spesa non più necessari da spendere. In un anno. Come? Beh…ho cominciato a fare da me quasi tutto. Dal pane ai detersivi, alla pasta, alle torte, alle merende per i bambini… e tutto il resto..
Un’altra cosa che ci rende schiavi è la delega. Viviamo nel mondo degli specialisti in qualunquecoserìa. Perciò era impensabile che io riuscissi a farmi una ceretta da sola, tanto per dirne una. O a colorarmi i capelli, o a tagliarli a me e ai miei figli o a usare il trapano e mettersi una mensola, o farsi un mobile per il salotto da soli e a costo zero. E invece adesso riesco in tutte queste cose a costo praticamente zero.
Un’altra cosa ancora è il sottovalutare le nostre risorse. Dalle nostre mani, strumenti sconosciuti a ciò che abbiamo e che possiamo usare a impatto minimo: l’acqua del rubinetto per esempio, la verdura di campo disponibile, buona e gratis, ai materiali di scarto, fonte inesauribile di mille altre cose utili…
Insomma aver ridefinito i miei bisogni primari mi ha fatto scoprire un mondo interessante nel quale mi sento più libera, meno dipendente, più felice.
Magari non significa non essere più schiavi ma è qualcosa su quella strada.
Mi pare (vado a memoria e mi si perdonerà l’errore) che Diogene Laerzio raccontò di quando Socrate trovandosi al mercato, nel vedere la varietà di oggetti esposti esclamò: “Di quante cose inutili hanno bisogno gli ateniesi per vivere!”.
Beh, credo che Marica abbia colto quel che volevo dire.
Vedete cari Signori, sono profondamente convinto che la natura umana (e la storia, ahimè, non mi contraddice) non può che creare sistemi sociali a struttura elitaria.
Ciò, per una serie di circostanze oggettive così riassumibili:
1) la coesione dell’elite intorno a precisi interessi, contrapposta alla dispersione delle masse;
2) la naturale solidarietà e cooperazione dell’elite, scaturente dall’interesse comune, rispetto alla frammentarietà delle masse;
3) la competenza e la consapevolezza delle elite, rispetto alla inconsapevolezza e incompetenza delle masse;
4) la razionalità, la competenza e potenza di mezzi, oltreché l’accesso facilitato alle risorse, rispetto alla incompetenza e diversificazione degli interessi della massa.
Insomma a differenza dell’elite, la massa non è la mera sommatoria della razionalità e desideri dei singoli ecco perché, essa è facilmente governabile e manipolabile.
L’alto sviluppo della tecnica e la disponibilità degli strumenti scientifico-tecnologici poi, ha reso ancora più forte e irresistibile la “presa” dei moderni regimi, i cui rappresentanti non sono l’elite, bensì i servi di quest’ultima (come efficacemente descritto da qualche autore recente).
Insomma, per farla breve, c’è sempre qualcuno che comanda e altri che, piaccia o no, obbediscono.
Questi ultimi, poi, possono essere più o meno consapevoli di obbedire, in buona sostanza, possono essere più o meno consapevoli di essere “schiavi”.
Pertanto, per rispondere ad un quesito di un gentile lettore, a mio avviso, utopisticamente, ecco i “10 possibili modi per liberarsi nei prossimi 10 anni”.
I primi quattro (quindi nn. 1, 2, 3 e 4), sono l’esatto opposto della enumerazione di cui sopra e che può riassumersi in ciò che io chiamo “emancipazione”.
Cioè presa di coscienza delle masse di essere sempre state, e di essere tutt’ora più che mai, oggetto di possesso elitario, condizionamento dei bisogni e manipolazione mentale.
Quindi, continuando nell’0enumerazione dei possibili modi:
5) che ognuno inizi a ragionare con la propria testa non delegando ad altri il proprio pensare;
6) che si guardi all’interesse comune come a quello proprio;
7) che nelle scelte di lungo periodo ci si lasci guidare dalla razionalità più che dall’emotività;
8) che ci si renda conto che il “mercato” è lo schiavista e non un salomonico dispensatore di equità;
9) che chi detiene il “potere”, le risorse, ed abbia maggiori capacità, le metta a disposizione dell’altruità, guardando a quest’ultima con la stessa amorevole attenzione con la quale si guarda l’interesse proprio, nella consapevolezza che quest’ultimo è, in definitiva, coincidente con quello della comunità;
10) che nelle discussioni e nelle dispute in genere, non ci si innamori mai delle proprie tesi ma si sia disponibili a rinnegare queste ultime per la ricerca, disinteressata, della verità, il cui nemico peggiore è la vanità intellettuale di ciascuno;
11) che si sia consapevoli che i veri bisogni sono quelli che il buon Epicuro compendiava nel suo quadrifarmaco;
12) che la cremastica è un male in sé e che il denaro è solo un mezzo e non un fine;
13) che, in ogni programma, l’essere umano deve essere sempre il fine e non il mezzo;
14) che il lupo possa dormire accanto all’agnello;
15) che ancora potrei continuare per molto e molto ancora.
Amici cari,è facile per chi “ha” ( che è diverso del “ciò che ognuno è” di schopenhaueriana memoria) giocare a fare l’eremita. Un po’ meno lo è (se non impossibile) per chi “rampollo” di buona famiglia non lo è mai stato, ed ha dovuto fare sempre a cazzotti per un pezzo di pane e nella vita, allorquando ha chiesto per bisogno, ha preso solo secchiate di merda.
Semmai chi “ha”, abbia le palle di contrastare gli schiavisti e si impegni nel sociale (e sia chiaro che ora sto parlando in generale).
Amici cari e gentile Flavio Troisi, siamo tutti schiavi, il problema è che molti non lo sanno.
Un cordiale saluto.
Giusavvo, qui sopra non si è mai parlato di una generica ed evanescente “conversione delle masse”, quanto piuttosto di emancipazione dell’individuo. La pluricitata rivoluzione in interiore homine (rif. “La vita agra” di Luciano Bianciardi) verrà da me ribadita fino alla nausea. Il fatto che io cambi il mio modo di interpretare la vita, nonostante i paletti che la contemporaneità prova a mettermi, pone fondamentalmente in secondo piano che altri sette miliardi di persone scelgano di fare altrettanto. E’ egoismo, questo? Forse. (Anche se essere accusato di egoismo, sinceramente, mi sembrerebbe grottesco.)
La pretesa, invece, di cambiare il “sistema” (parola che detesto e che, se avrai notato, non uso mai) è roba da utopisti. E qui, per fortuna, si parla d’altro. Si usano dati sociali, sì, ma per attivare l’individuo.
E’ questo, e solo questo, l’impegno che qui sopra si tenta di esprimere.
Ciao.
PS. Quanto al fatto che “chi ha” (come tu dici) abbia sempre la strada spianata… perfettamente d’accordo. Teniamo però sempre presente la distinzione tra chi “ha” perché ha avuto il coraggio di rischiare (eticamente) qualcosa e chi, invece, “ha” per diritto divino o perché è un filibustiere.
Caro Giusavvo la mia domanda era tutt’altra. Cosa puoi fare TU nei prossimi 10 anni? Non cosa può fare l’umanità, ossia tutti gli altri.
Senza polemica e conclusivamente a chiarimento della mia posizione.
Se vogliamo cambiare il mondo in cui viviamo, a mio avviso,abbiamo una sola possibilità ed è quella che ho detto prima parlando di masse e di sistema entro cui queste sono imbrigliate.
Viceversa, se voglio fare vita ascetica, percorsi interiori metafisici, allora ciò vale per ognuno, si per la volontà, ma sempre secondo i parametri del decalogo che ho tracciato ancora prima.
Con ogni riguardo.
Ciao
Secondo me, Giusavvo, ci troviamo su due piani completamente diversi. Qui nessuno ha mai parlato di voler cambiare il mondo! Anche perché… è un dato di fatto: il mondo non lo si cambia, se non cambiamo prima noi stessi. E’ tutto, crudelmente, semplicissimo.
Si Andrea ci troviamo su piani diversi.
Infatti io penso che non possiamo cambiare noi stessi se non cambia il mondo.
E il mondo chi lo fa cambiare? Ah, già: gli altri.
Sempre loro, accidenti…!
Andrea sei un uomo di raffinata intelligenza e di rara onestà intellettuale, non puoi non aver capito che la mia era una battuta e, dai miei pochi interventi in questo blog, la mia posizione è abbastanza chiara, sicuramente non di quella del tipo: “la colpa è sempre degli altri” o “il problema sta altrove”.
A modo mio volevo solo rilevare quella che secondo me era una petitio principi (o fallacia circolare se preferisci) allorquando, dopo la discussione, hai detto: “il mondo non lo si cambia, se non cambiamo prima noi stessi”.
Insomma, sto mondo lo vogliamo cambiare o no?
Se si, del mondo e degli altri non possiamo prescinderne e, quindi, a mio avviso, ognuno deve fare quel che ho prima elencato. Un po’ come nel suo piccolo ha fatto l’amica Marica.
Se no, chi non ha le preclusioni elencate nel mio decalogo, vada pure.
Ma va per se e non fa nulla per gli altri. Faccia pure, per quel che mi riguarda nei confronti di questa gente non ho nulla da dire, purchè non pretenda più nulla dal “mondo”.
E qui chiudo, credo che sul punto mi sono ora espresso abbastanza.
Con stima.
Confesso: non mi sembrava una battuta.
Grazie comunque per la stima e le belle parole. Ciao.
Se penso di fare qualcosa per me stesso e solo per me stesso è un discorso se, però, Lei mi chiede dieci modi per liberarsi dalla “schiavitù”, allora la mia posizione non può prescindere da ciò che io ritengo schiavizzante.
Viceversa, in relazione al contenuto del post, poiché senza se e senza ma viviamo in un sistema, se ne voglio uscire devo rendermi del tutto autonomo e, per farlo, non devo avere nessuno degli impedimenti di cui al decalogo che ho tracciato prima.
Altrimenti non stiamo parlando del nulla e parlare di cambiare il sistema, non è meno utopico che parlare di emancipazione individuale. A mio modo di vedere ovviamente.
Con il massimo rispetto.
La saluto.
Bellissimo scambio di opinioni. Io, nel mio piccolo continuo a insistere sulla temporalità dei progetti. Pensare a lungo termine e agire un poco ogni giorno. Un passo per volta nella medesima direzione e da qualche parte è sicuro che si arriva. Un saluto a tutti!
DIECI RAGIONI PER CONTINUARE AD ESSERE SCHIAVI:
1) c’è la prole da sfamare;
2) c’è il mutuo da pagare;
3) se non c’è il mutuo c’è l’affitto da soddisfare;
4) non si è figli di papà e niente c’è da ereditare;
5) non si tiene la casa al mare;
6) non ci sono altre entrate su cui contare;
7) non ci sono proprietà su cui potersi affidare;
8) al dottore le cure si devono pagare;
9) alla famiglia devi dare qualcosa da mangiare;
10) i bisogni primari non hai altro modo da soddisfare.
😉
Non ho mai detto che sia facile, giusavvo. Ho sempre e solo detto che, da qualche parte, occorre cominciare. Soprattutto se, come titoli tu, la questione ha a che fare con la schiavitù! Come si può, infatti, accettare al giorno d’oggi questo status? I concetti di “rischio d’impresa” e “premio per il rischio” li ho io per primo BEN presenti. (Vedi qui, se vuoi.)
• Se però, nel rispetto di quel decalogo, si ha comunque la fortuna di avere un lavoro gratificante (o anche solo sopportabile), allora non è più una questione di schiavitù, ma solo di scelte. Passate e presenti.
• Quando invece si pensa di non avere alcuna scelta e quelle sbarre – in qualche modo – rischiano di spegnerti (questa è la schiavitù), ti garantisco che la motivazione e la forza per farle, quelle scelte, la trovi! Eccome, se la trovi! Altrimenti, è un inganno verso se stessi. E si torna al punto precedente.
Una cosa sola è fondamentale: evitare il rischio di svegliarsi un giorno e, voltandosi indietro, dover ammettere a se stessi “Ma che coglione sono stato!”
Ciao,
Andrea
PS
Nel riportare questo post, avevo ben presente il tipo di obiezioni che, probabilmente, sarebbero arrivate. Obiezioni di cui, la tua credo sia un’eccellente sintesi.
Ricette preconfezionate, lo dico subito, non ce ne sono. Ognuno ha la sua. E, se non ce l’ha, può trovarla. L’importante, credo, è che si tengano ben presenti due cose:
1) il rispetto per chi “non se la sente” (purché però sia reciproco e, chi non se la sente, non giudichi senza conoscere);
2) l’ammirazione per chi, comunque, ci prova.
Vorrei riprendere queste parole, presenti nell’articolo:
Definirsi schiavi è molto pericoloso, si rischia di esserlo davvero o di diventarlo. Proporrei a chiunque sia capace di enumerare 10 motivi per continuare a essere schiavi di scrivere anche 10 possibili modi per liberararsi nei prossimi 10 anni.
Spesso sottovalutiamo ciò che possiamo fare a lungo termine e ci limitiamo a guardare gli ostacoli davanti a noi. Ma dieci anni passano in fretta, se si ha un progetto. E purtroppo anche se non lo si ha affatto.
Peccato che non ci sia il tasto “I like” su questo cavolo di blog. Sennò lo cliccherei subito.
Carissimissimissimo Andrea, grazie per questo articolo che mi ha dato l’occasione stamane di leggere il precedente, che giaceva in una cartella senza fine di articoli “da leggere” (come ahimè capita spesso…). In realtà gli avevo già dato una rapida scorsa ed avevo visto i filmati terrificanti (terrificanti ma mai come quello con alfano e c.!!!), ma non erano ancora presenti i commenti che sono il peperoncino, per me, del tuo aglio e olio… (mi è venuto così…!).
Ho riprovato l’ondata di adrenalina che mi ha assalito quando ho iniziato a leggerti, se ben ricordi, e a cascata ho trascorso un paio d’ore ad andare ad un riferimento, poi ad un altro e via via…
Interessantissimo il commento di franca, anch’io tante cose avrei da dire ma forse mi dovrei decidere ad aprire un blog mio così avrei modo di dilungarmi. E’ un discorso estremamente complesso, difficile da contenere, presta volentieri il fianco a disgressioni poco pertinenti che rischiano di diluire un concentrato che non è da poco.
Manca, è mancata completamente, la presa in considerazione dell’elemento “a-sociale” su cui amerei veder spese parole, semenze, spunti anche intorno all’incidenza che questo potrebbe o no avere sul resto della maggioranza affetta dall’enzima omologante. …
Tutto qui, volevo principalmente ringraziarti per aver dato vita alla cosa più simile al blog che avrei da sempre voluto leggere pregno di contenuti e contributi all’altezza.
Besos!
Gabriella, mi rimandi il tuo IBAN, per il “solito” bonifico trimestrale?
Quello del primo trimestre non mi è partito… non vorrei aver sbagliato qualche cifra. 😉
Scherzi a parte: grazie per le bellissime parole. Fanno molto piacere. È stata una settimana molto intensa, la scorsa. E avere qualcuno che ti ricorda che lo stai facendo per qualcosa, credimi, è importante! Ciao.
PS. Cosa intendi, con “elemento a-sociale”?