A cavallo di Pasqua, ho fatto girare questa clip all’interno di un ristretto nucleo di amici.
L’ho fatto, perché volevo condividere con ciascuno di loro una… emozione: a mio avviso, infatti, in quei 56 secondi è perfettamente racchiuso il distillato di un’epoca intera! Sogni, speranze, certezze, ambizioni, immagine, opulenza, legittimazione, euforia, inganno, consumismo.
Tra le varie reazioni, quella più diffusa è stata una specie di amara, nostalgica rassegnazione per quella mentalità sfacciatamente leggera, perfettamente incarnata dal protagonista della televendita, ma ormai definitivamente inabissata. Amara nostalgia… certo: i sogni si sono spenti, le speranze infrante, le certezze sgretolate, le ambizioni ridimensionate, l’immagine si è opacizzata, l’opulenza si è concentrata in poche e avidissime mani, la legittimazione ha assunto forme nuove, l’euforia si è fatta cafona, l’inganno ha dilagato, il consumismo… Ecco: che fine ha fatto il consumismo?

Esempio di M&A
Il consumismo si è… addormentato. E’ narcotizzato. Dopo decenni nei quali ci ha ipnotizzato, oggi è lui ad essere andato in letargo, in attesa di tempi migliori. Perché, con un modello neoliberista a trazione turbocapitalista, lo abbiamo visto: la ricchezza si è distribuita in modo ignobilmente iniquo, confinando le capacità di spesa nelle mani di fasce di popolazione sempre più ristrette che, per quanto si “sforzino” di mantenerlo in vita, non possono garantire al mercato di beni e servizi la necessaria massa critica per sopravvivere.
Non lo ammetteranno mai, ma la disuguaglianza ha inceppato il meccanismo.
E’ facilissimo da immaginare: pensate a un corpo umano in cui una sua parte – ad esempio la mano destra – comincia a crescere a dismisura. Un organismo inizialmente perfetto in cui però, a un certo punto, una sua componente comincia ad aumentare di volume, diventando progressivamente un ingombro e un intralcio per tutto il resto: poco prima della sua morte, osserveremo una gigantesca mano a cui è attaccato, come una minuscola e inutile appendice, un corpicino inerte.
Il consumismo ipertrofico ha imbalsamato se stesso: non si muove più.
E’ di questi giorni uno studio che rivela come la culla di questa mentalità, cioè gli States, abbia perso il primato del “ceto medio” più abbiente.
Cioè: non è più americano il ceto medio economicamente più benestante al mondo. Detta ancora in altri termini: per ogni “gradino” della scala della distribuzione mondiale del reddito, se fino a ieri (anche nei gradini più bassi) si trovavano gli USA, oggi quei posti vengono progressivamente occupati da altri Paesi (Canada, Olanda e altre economie del nord-Europa). Il sogno americano è definitivamente crollato. Il monopolio del benessere non è più fondato sul neoliberismo selvaggio. Ciascuno con i suoi tempi, ci arriveranno prima o poi tutti.
Questi, come al solito, sono i numeri: freddi, rigidi, ma impietosi.
E… oltre i numeri, cosa c’è?
C’è una cosa bellissima: la comunità. La riscoperta, cioè, di una dimensione dell’esistenza che mi ostino a definire “prospetticamente vernacolare”: arriveremo lì, garantito. (E anche abbastanza in fretta, credo.)
Prendete l’esperienza e la “spregiudicatezza” di chi, come chi sta scrivendo, ha scelto la progressiva emancipazione dall’ipocrisia del modello basato unicamente sulla relazione reddito-benessere. Prendete la disaffezione consapevole ai beni tangibili. Prendete la scelta di subordinarne sistematicamente l’importanza a quella dei beni relazionali.
Nelle ultime due settimane – per la precisione da quando è uscita la mia intervista l’8 aprile scorso – sono entrato in contatto, venendone quasi travolto, da parenti e amici che non vedevo e sentivo da anni. In qualche caso, da oltre una decina. In un caso, da venti. Mettersi in risonanza con loro è qualcosa di magico, rigenerante. Per certi aspetti, persino difficoltoso. Ma appagante. Credi che le cose avvengano per caso. Quando ci sei dentro, invece, scopri che non sono mai coincidenze: sono semplicemente il risultato delle precondizioni che abbiamo creato.
Prima, ovvia obiezione:
Avresti potuto farlo, per esempio, anche dopo aver comprato la parure di Sergio Baracco a 199 mila Lire, mentre eri cioè sprofondato con entrambi i piedi nella palude del consumismo che tanto detesti!
Risposta:
No, non avrei potuto. O meglio: sì, forse avrei potuto. Ma in quel caso, la finalità del nostro (breve) incontro sarebbe stata l’ostentazione delle nostre… parure, appunto! Delle nostre… proprietà. Di quello che abbiamo, cioè. Non di quello che siamo. Del nostro ben-avere, non del nostro benessere.

Pappagallo giallo
Oggi riscopri le persone, le loro fragilità, le loro (vere) speranze. Oggi è evidente come ci sia qualcosa che va oltre un paio di pantaloni di marca. L’incertezza rafforza la voglia di serenità e di condivisione, ridicolizzando le nevrosi e le pratiche deleterie della mentalità ipercompetitiva che ti ha guidato fin qui.
E poi… la mutualità: ricevere da un quasi-sconosciuto un gigantesco salame artigianale, per un favore che avevi fatto senza – neanche inconsciamente – aver mai pensato a una forma di compensazione. Lui aveva bisogno di te. E tu ti eri reso disponibile. Punto. La ruota, inevitabilmente, avrebbe girato.
E i piccoli gesti quotidiani. La persona a cui si ferma la macchina, mai vista prima. Ti fermi a dargli una mano, a spingerla in un parcheggio. Gli offri di accompagnarlo dall’elettrauto. Le sue parole, indimenticabili (con voce ancora alterata dalla lite furibonda che – mi dice – ha appena avuto al semaforo con uno che lo insultava perché l’auto non partiva):
Oggi sei la prima cosa davvero utile che mi accade: grazie!
E poi… il fattore tempo: ti siedi con un amico che non vedi da vent’anni, che – allora – non era oggettivamente, tecnicamente, neanche un amico. Tu dici cose. Lui dice cose. Ci si ascolta. Non c’è orologio che tenga, adesso. Gli altri, nel frattempo, si alzano dai loro tavolini. Corrono via: una mano che stringe i buoni-pasto, lo sguardo incalzante alla cassiera, l’altra mano sullo smartphone (mai del tutto abbandonato). Finisci il tuo caffè. Ti dice che legge il tuo blog. Ore ed ore. E, mentre parlate delle cose vere, riassumi metà della tua vita in tre o quattro passaggi chiave: li… scegli. Che gran bell’esercizio, scegliere!
Tornando a casa, ti fermi da un parente che non vedi ormai più. Già dopo i primi istanti, c’è più felicità che sorpresa.
Ecco, quando qualcuno mi chiede cosa siano i beni relazionali, venga a leggersi questo post! Ci verrò io per primo, quando avrò bisogno di rifare il pieno. Di emozioni.
Oggi è così. Qualcuno viene. Qualcuno va. Qualcuno – incredulo – si ferma, storce il naso e tira dritto.


Evviva, un enorme benvenuto a Marica. Non vedo l’ora di leggere i suoi tutorial. Andrea, a me il video che hai postato ha fatto tanto ridere (amaro). Ma ci rendiamo conto per pur di vendere siamo disposti ad avere attacchi epilettici in diretta Tv. E’ fantastico! 🙂
A quanto pare, per vivere meglio dobbiamo sconfiggere le nostre parure.
Flavio, i tutorial non li so fare, al massimo posso condividere le mie esperienze:-)
Scusascusascusa, ho messo la k anziché la c… menomale che mi è venuto di controllare. Non accadrà più!
Benvenuta, benvenuta, benvenutissima Marika! Sarà un piacere leggerti (un tuo commento che avevo letto qualche tempo fa mi aveva colpito assai!).
Ciao Gabriella e Alessandro! Grazie per l’accoglienza:-)… Una k o una c non fa una grande differenza:-))
Vai Marica!!! Alla grande. Ti aspettiamo
Il video, confesso, mi dà un po’ di nausea e qualche giramento di testa. Non è lui, la persona, che mi fa questo effetto ma l’insieme, il concentrato di quello che rappresenta.
Condivido tutti quei punti. Li condivido per averli “visti” in pratica, per essermi vista, fermata, tornata indietro ultimamente nei piccoli gesti quotidiani e nella mutualità.
Aggiungerei un’altra cosa: lavorare sulla competizione e sostituirla con la cooperazione. Anche nelle situazioni più difficili, anche quando ragioni secondo un’altra logica o quella logica si fa avanti imperante, aggressiva dentro di te. Saperla riconoscere è un passo avanti fondamentale, poi saperla fermare, trasformare dà sensazioni sconosciute.
Rispondere a quelle logiche con un altro modo è la strada per stare bene, per liberarsi, almeno in parte.
Trovo che la metafora del cancro sia fondamentale, per comprendere questa società; allo stesso modo di come uso quella del virus, per far capire il rapporto che c’è fra una specie dominante (ufficialmente quella umana…) e il Pianeta.
Da architetto conosco, sul tema del cancro, paragoni affascinanti. Proviamo a fare un confronto fra le città e le cellule?
Allora, una cellula è un organismo vivente racchiuso dentro una membrana, che si chiama citoplasma (credo: perché sono architetto, non medico…); quando una cellula si ammala di cancro, per infettare le altre e creare la metastasi, rompe la sua membrana e si spande all’intorno, corrompendo quello che trova.
La città è un organismo (vivente), in origine racchiuso da una membrana, chiamata “mura”, che le dava una forma finita, spesso geometrica. Man mano che ci si avvicinava all’era moderna, di queste mura si è cominciato a farne a meno: sono state abbattute e comunque la città si è espansa oltre in maniera caotica, disarmonica; corrompendo quello che ha trovato sul suo cammino: cioè l’ambiente naturale, sano per definizione.
Serve altro, per capire?
Bella l’immagine della manona… a me viene in mente quella del cancro, che cresce fino a distruggere l’organismo che lo ospita. Il punto di arrivo di una società consumistica sembra essere quello.
Il campo della scommessa è se l’organismo che stiamo distruggendo più in fretta è la società o l’ambiente che abitiamo.
Ci viene chiesto di credere che basta orientare il volume di fuoco del mercato, ai contesti con più potenziale di crescita.
Faremo prima a saturare anche quelli, ad esaurire risorse, o ad avvelenarci irrimediabilmente il corpo e l’anima?
Andrea, la statistica deve essere effettivamente una materia affascinante!
p.s.: ottimo il video, ma la mia best choice resta il Baffo da Crema!
Anche a me la metafora della mano è piaciuta istintivamente. Soprattutto, perché mi è venuta proprio mentre la scrivevo: non ci avevo mai pensato, prima di oggi. Avevo pensato anche di usare altre parti del corpo, ma direi che la mano sia la più pertinente…
Quanto alla tua osservazione sulla Statistica, concordo in pieno: avendola studiata per anni, credo che questa disciplina sia l’anello di congiunzione perfetto tra le scienze cosiddette “dure” (dogmatiche e deterministiche, come la matematica e l’ingegneria) e quelle “morbide” (le cui tesi non sempre resistono alla prova della inconfutabilità, come l’economia e la medicina). Io, almeno, la uso così.
Ciao.
PS
“Bravo” anche il Baffo, ma Baracco è un vero outsider! Infatti, pare che ora faccia le telepromozioni in Spagna: tipico esempio di fuga dei cervelli… 😉