Sul Fatto Quotidiano, il mio nuovo articolo sull’Enciclica “Laudato si'”:
Enciclica Laudato si’, operazione white-washing
P.S. (che, vedendo alcuni commenti, serve). L’articolo non punta il dito contro l’Enciclica del Papa (che nei contenuti è ovviamente condivisibile al 101%), ma contro le mistificazioni che inevitabilmente se ne faranno, e che rischieranno di trasformarla in un boomerang proprio per chi crede nei suoi contenuti. Il Potere (economico, politico e mediatico) se ne farà infatti scudo per continuare come e peggio di prima. Perché il metodo più subdolamente efficace che ha da sempre a disposizione il potere per depotenziare un vero dissenso è… istituzionalizzarlo.
Sempre su Papa Francesco, scrissi molto tempo fa questi due articoli:
• 8 luglio 2013: Sensazioni intangibili (sull’avvento di Papa Francesco)
• 27 novembre 2013: Il denaro deve “servire”, non “governare” (sull’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”)
Ho letto con grande interesse il tuo libro Vivere Basso Pensare Alto. Ne ho apprezzato la lucidità di analisi, l’onestà intellettuale e l’assunzione personale della responsabilità di cittadinanza attiva (si dice così, no?) che a sua volta lancia, tra le altre cose, il richiamo all’assunzione dal basso della stessa responsabilità di cittadinanza attiva. Condivido che questa, in quanto tale, deve partire da una condizione di consapevolezza individuale e che per questo non può essere vissuta attraverso lo strumento della delega (sia a livello sociale sia a livello culturale).
Credo che alla base dell’articolo ci sia fondamentalmente il timore che l’Eniclica del Papa possa innescare meccanismi di delega, inconsapevoli forse per il bravo cristiano di facciata, molto più consapevoli per chi cerca e ricava grandi interessi dalla sopravvivenza e dalla conservazione del sistema. Dunque, non mi giunge nulla di scandaloso dal tuo articolo.
Tuttavia ritengo che un’analisi completa, oltre a focalizzare i rischi e le minacce, non possa prescindere anche dal riconoscimento delle opportunità. E spero e credo che nelle coscienze individuali di tanti cristiani non di facciata ci siano realmente le condizioni per valorizzare e diffondere esempi di vita bassa e di pensiero alto. Ecco perchè, accanto ai rischi che tu evidenzi, penso che si debba intravedere nell’intervento del Papa anche l’opportunità di socializzare valori compatibili con il LLHT con coscienze già capaci di giocarsi la propria fetta di responsabilità.
Con stima
Paolo Valli
Ciao Paolo, grazie innanzitutto per il tuo apprezzatissimo commento.
Per quanto riguarda il libro, le belle parole che usi si commentano da sole e te ne sono quindi grato.
Per quanto riguarda questo articolo, anche qui hai centrato in pieno la questione. Più che di timore, tuttavia, parlerei di perplessità. Molto spesso, infatti, la Storia insegna come il metodo più subdolo per depotenziare un messaggio ostile sia istituzionalizzarlo: integrarlo cioè alla morale comune (proclamata) per esorcizzarne la portata rivoluzionaria, disperdendone l’appeal ed esonerane così i possibili destinatari da una concreta applicazione. Il fatto che, solo tre giorni dopo, Marchionne si sia precipitato a stringere la mano al Pontefice, la dice lunga sulle plateali tentazioni manipolatorie a cui i principali oggetti dell’invettiva finiscono per cedere: quella stretta di mano a poche ora dall’Enciclica rappresenta ai miei occhi una forma di arroganza senza precedenti!
Altro dato: il fatto che il Vaticano si affidi da anni alla consulenza di McKinsey per la sua Comunicazione verso l’esterno, certo non aiuta a disperdere questo genere di perplessità! Questo, per quanto riguarda l’analisi sistemica.
Scendendo invece alla “base della piramide”, riconosco le ragioni di quelli che (come te, mi sembra) attribuiscono a questo messaggio la funzione di sensibilizzare se non altro i destinatari “consapevoli”, trasferendo almeno a loro la responsabilità di cambiare qualcosa. Anche in questo caso, tuttavia, la mia obiezione/perplessità diventa: ma se fossero davvero “consapevoli”, che bisogno avrebbero dell’Enciclica, per dare attivamente una svolta alla propria vita?
Temo allora che tutto questo, a livello sociale, possa risolversi nell’ennesimo processo di identificazione subconscia nel leader di turno che, in quanto polo accentratore della spinta innovativa, finisca paradossalmente proprio con l’inibirne il decentramento. Quando i messaggi vengono calati dall’alto (o dall’altissimo, come in questo caso), tende infatti sempre a emergere una forma di autoindulgenza operativa: “In fin dei conti, c’è già a lui a dirlo e a farlo… che bisogno c’è che mi sporchi le mani pure io?”
Spero di essere riuscito a trasmetterti le mie perplessità. Ma spero, soprattutto, che siano infondate! 😉
Ciao, alla prossima.
Ho letto la carta servizi del tuo sito….una delusione;
praticamente hai solo cambiato “lavoro” vendendo consulenza.
Vedo parole come “business model”….praticamente la Bioeconomica
è solo una patina di marketing che le aziende possono realizzare per continuare a fare i loro profitti
La delusione, di solito, è rispetto a una aspettativa. Qual era la tua aspettativa? Parliamone, se ti va. Potremmo fare qualche passo avanti…
Nel merito della Carta dei Servizi: essa rappresenta la risposta professionale all’idea progettuale stessa di LLHT, riportata sia nella mia prima intervista pubblica, che nell’appendice del libro, che nella pagina che non ti è piaciuta. Non mi va di ripetere a oltranza la filosofia di questo progetto, che è quella di creare dei “ponti” progettuali tra due mondi, ciascuno dei quali – spesso senza saperlo – avrebbe bisogno di qualche caratteristica dell’altro. Se avrai voglia di approfondire cosa rappresentano quei servizi (almeno nella mia testa), lo trovi descritto in questa intervista.
Il mio “lavoro”, oggi, è diffondere con autorevolezza la bioeconomia (nonostante tentativi di depistaggio attuati ormai anche dalla Commissione Europea), una disciplina che ha come obiettivo il benessere delle persone. Questo è un dato di fatto. Le tue, invece, sono solo interpretazioni pressapochistiche e di superficie.
Se il concetto di “creare una radiografia del proprio progetto per valutarne la sostenibilità” (qualsiasi progetto Marika, qualsiasi) si riassume esattamente con l’espressione “business model” e, tuttavia, non ci piace l’inglese, abbiamo due strade:
1) chiamarlo “frullato di amarene” (ma non capirebbe nessuno);
2) farsene una ragione, chiamarlo col suo nome, riconoscerne l’efficacia e applicarlo a una diversa idea di mondo.
Come ho sempre fatto in tutte le cose in cui mi sono cimentato in vita mia, Marika, sto provando a costruire qualcosa che prima non c’era. Atteggiamenti così preconcetti e – consentimi – stereotipati come il tuo, paradossalmente, mi convincono di essere sulla strada giusta. Quindi… grazie!
L’unica scusante di Marika (almeno per quanto ha citato) è l’uso che hai fatto di termini inglesi, quando si potrebbe cercare di esprimersi usando l’italiano.
Non è sciovinismo, o “protezionismo linguistico”: aldilà del fatto che ciascuna lingua deve avere i termini per spiegare qualsiasi concetto (e se non li ha, se li crea), l’uso dei termini inglesi è associato in automatico col dominio dell’economia di mercato, che ci sta mandando a picco. Diciamo che l’uso di una terminologia italiana è più “friendly” (così ci sono cascato anch’io…).
Certo che l’analisi di Marika sembra preconcetta e di una superficialità disarmante. Diamole un’altra possibilità: in fondo chi lavora su e per siti come questo, è il minimo che possa fare, verso chi vi si accosta.
Lo riconosco senza problema, Alberto: l’uso dell’inglese, del quale capisco benissimo l’associazione inconscia all’economia di mercato che io stesso tanto detesto, fa (purtroppo) parte del mio retaggio espressivo. Me lo dicono in tanti e, che ci si creda o no, faccio enormi sforzi per ridurlo, pubblicamente. (Bellissima la scena di qualche settimana fa con chi, criticandomi per lo stesso motivo, mi ha simpaticamente rimproverato: “Ma perché dici ritorno? Si dice feedback!”…).
Ad ogni modo: tutte le possibilità che vuole a Marika e a chiunque si senta in dovere di criticare. Che la critica, però, dia almeno l’impressione di essere andata un pochino oltre le apparenze. Perché sai… prima di sparare a zero su chi sta cercando di costruire qualcosa su scelte che ha fatto per davvero (anziché andarsele comodamente a leggere sul blog di qualcun altro), converrebbe forse documentarsi un attimino meglio. Tutto qui.
la mia analisi sarà anche superficilae e disarmante ma quello che ho visto raggiungendo questo sito sono una descrizione analitaca dei problemi generati da questa economia di mercato, che a sua volta producono un “mercato” su cui lavorare e fare consulenza…..
ciao
Appunto. Ti sei fermata alla prima impressione. Ma non è un problema, sai? Sono sufficientemente a posto con la mia coscienza, da non sentire il bisogno di difendermi da accuse così superficiali.
Ti consiglierei piuttosto, se ti va, di soffermarti un attimo sulla differenza fra lucro e guadagno. Fra capitalismo e bioeconomia. Fra il denaro come fine e denaro come mezzo. Fra una conoscenza “venduta” a caro prezzo (come probabilmente immagini) e una finalizzata a creare delle reti di mutualità.
vedi Andrea sono sicura della tua buona fede e sincerità al 100%… la mia non vederla come una accusa. Solo che utilizzare gli strumenti tipici dell’impresa per confezionare pacchetti di consulenza non credo sia, a mio avvisio, la soluzione. Per strumenti tipici aziendali intendo quelle menate dei checkup aziendali, assessment, modelli di business e organizzativi, politiche retribuitive…… adattate alla bioeconomia fanno tenerezza. Forse possono essere utili alle aziende e/o professionisti che vogliono utilizzare spazi che si creano “nel mercato della bioeconomia” .
ciao e scusa la mia invasione nel tuo spazio
marika
Ecco, ci siamo arrivati: finalmente un’opinione argomentata. Ora si può procedere.
Invece io credo che, proprio per stessa ammissione di gruppi e organizzazioni che popolano il mondo orientato al benessere (quello “a destra” nel diagramma, perdonami la semplificazione), la loro principale carenza sia proprio quel pragmatismo organizzativo e procedurale tipico del mondo “a sinistra”. È esattamente QUESTA la caratteristica del “mondo del profitto” di cui potrebbe beneficiare un mondo che, certamente animato da nobili ideali e dalle migliori intenzioni, spesso si scontra con difficoltà realizzative, spesso causate proprio da strutturali carenze metodologiche.
E posso dirti che, vista la quantità di proposte di collaborazione che ho ricevuto da quando ho intrapreso questa avventura, ho la quasi totale certezza che questo messaggio risulti: (1) condiviso e (2) apprezzato.
Se su questo punto tuttavia le nostre posizioni divergono, non possiamo farci nulla. Ma almeno ci siamo chiariti. Ciao.
PS. Non devi scusarti per aver “invaso il mio spazio”. Questo spazio è aperto a tutti e sempre. Purché – a questo ci tengo – si affrontino le questioni non come le si affronterebbe sui media generalisti, a colpi di banalizzazioni e luoghi comuni.
Io mi considero un estimatore di Papa Francesco. E’ un papa sui generis, coraggioso, molto più progressista rispetto a tanti suoi predecessori….. E allo stesso tempo sono d’accordo con questo articolo…… Leggendo tutti questi commenti (quelli su “Il Fatto Quotidiano”), a mio avviso alcuni anche offensivi mi sono chiesto: “ma quindi non ho capito niente?” Più che una critica all’enciclica e al suo autore in questo articolo vedo una critica all’establishment, al Fondo Monetario Internazionale, ai politici che se ne fregano dell’ambiente e della decrescita ma che ben si guarderanno da criticare il messaggio del Papa….. anzi cercheranno di farlo proprio con una dialettica in cui sono maestri per poi fare esattamente il contrario nella pratica…. Questo articolo vuole essere un monito affinché l’Enciclica non venga manipolata…. Quindi può essere visto come una difesa e non un attacco al messaggio di Francesco.
Credo che Andrea sia conscio di questo possibile fraintendimento ed in effetti ad un certo punto scrive: “Mi spiego: ben vengano questi moniti da chi, più di ogni altro, è in grado di farsi ascoltare”.
Probabilmente tutti noi che abbiamo commentato questo articolo la pensiamo allo stesso modo sulla decrescita e l’ecologia…. Credo sia importante lottare insieme nel nostro piccolo per questi ideali….. e allora una correzione ortografica…. tra l’altro fuori luogo (senza voler offendere…) sull’apostrofo nella parola “si'” mi sembra inutile….. Comunque che nessuno se la prenda…. scrivo tutto questo con il sorriso sulla bocca…. 🙂 (riferimento a un commento di un lettore de “Il Fatto Quotidiano)
Grazie, grazie, GRAZIE!!! Sai… qui su LLHT siamo tutti abituati a “pensare alto”. 😉 Ma non mi aspetto che questo sia sempre vero anche in contesti allargati. 🙂 Lo dico senza vena polemica, ci mancherebbe! Dico solo che qui abbiamo creato un ambiente in cui le questioni si affrontano anche andando oltre la loro superficie mediatica.
Detto questo, e a testimonianza della correttezza delle tue parole, riporto (come aggiunto in fondo al post qui sopra), due vecchi articoli in cui esprimevo le mie idee su Francesco:
• 8 luglio 2013: Sensazioni intangibili
• 27 novembre 2013: Il denaro deve “servire”, non “governare”
Tutto giusto.
C’è un solo lato positivo, in quello che il Papa ha scritto: la sua presa di posizione potrebbe indirizzare molti di quei cattolici, che finora sono stati a guardare, verso un impegno più attivo e in prima persona. Un “collegamento” (il famoso concetto del “creare rete”) fra di loro e chi già si muove concretamente verso stili di vita alternativi, potrebbe portare a una velocizzazione e concretizzazione nei cambiamenti che auspichiamo.
Inutile dire, che la loro opera potrebbe venire facilmente strumentalizzata dalla Chiesa di Roma: per apparire così più candida, progressista e interessata alla qualità della vita del prossimo; fermo restando che, riguardo a questo argomento, dobbiamo esser capaci di distinguere l’impegno dei singoli, dalla reale posizione dell’Istituzione.
Però questo è un rischio insito nella guerra di comunicazione. E non c’è nulla da fare: chi vuol essere imbrogliato, lo sarà comunque.