Cosa fanno ad esempio gli scienziati-economisti? Studiano la domanda mondiale di un certo prodotto, fanno delle previsioni sulla borsa di Hong Kong e caclolano a quale tasso di interesse le banche possono garantire prestiti. Ma cosa sanno dirci sull’avidità che sta distruggendo il mondo in nome di quello che magari loro stessi definiscono “progresso”? (Tiziano Terzani)
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Partirò da Londra. Ma per andare questa volta lontano, molto lontano…
Quanto accaduto in Gran Bretagna riguarda qualcosa di ben più importante della banale risoluzione di un trattato da parte di uno Stato. Quello che è accaduto in Gran Bretagna riguarda infatti la nostra dimestichezza con uno dei “valori” di cui l’Occidente si fa maggiormente vanto: la democrazia. Contrariamente alle voci che mi arrivavano a bocce ancora in movimento da alcuni amici di Londra e da qualche articolo sulle riviste internazionali che consulto, pare che la Gran Bretagna – vedremo se al netto della Scozia – uscirà effettivamente dall’Unione Europea. Bene: la democrazia, che è una convenzione civile basata su poche, semplici regole e sul loro rispetto, verrà formalmente osservata. Eppure… qualcuno ci aveva provato! Chi? Innanzitutto, i tre milioni di sottoscrittori di quella oscena petizione populista (ripeto: populista) che un genio incompreso si era affrettato a indire per tentare di redimere l’opinione pubblica. Poi tanti, tantissimi altri. Ma ci arriviamo fra un attimo.
In UK c’è stata certamente una campagna elettorale falsata dalle dichiarazioni di improbabili e imbarazzanti personaggi come Farage. Qui nessuno sta dicendo che la scena politica inglese sia popolata da novelli Metternich, attenzione. Così come nessuno sta negando che il voto britannico sia stato sostanzialmente condizionato da profonde pulsioni anti-immigratorie. Ma che nessuno, simmetricamente, pretenda di impugnare un responso referendario sostenendo che (1) il popolo non è titolato a esprimersi su questioni troppo tecniche, o che (2) l’opinione pubblica è stata abilmente manipolata, da un lato, dalle menzogne delle forze anti-sistema e, dall’altro lato, dalla inadeguatezza delle forze governative. Perché anche questa – odiosa e deprecabile finché si vuole – è una regola della democrazia: ognuno dice ciò che vuole e ognuno, dall’altra parte, si forma la propria opinione. (Piuttosto, se volete fare qualche passo avanti, ponetevi questa domanda: che cos’è ormai, nell’era della comunicazione liquida, che separa le due parti: quella degli opinion-maker e quella degli opinion… taker?)
E allora ci avviciniamo al punto. Arriviamo cioè ai Monti, ai Napolitano, ai Saviano e a tutti quegli opinion-maker che si sono platealmente indignati perché a decretare l’esito referendario sono stati, a loro dire, fasce di popolazione… diciamo… impreparate. Vuoi per titolo di studio, vuoi per condizione professionale, vuoi per area geografica di residenza, vuoi per una banale questione anagrafica. Ho sentito usare un’espressione nuova e coniata per l’occasione, come “abuso di democrazia”… ma come? Se è un valore, come si può abusarne? Come potrebbe mai esserci… abuso di solidarietà? O abuso di amore? O abuso di coraggio? O abuso di vita? Ho sentito con le mie orecchie un giornalista (?) come Severgnini indignarsi per quella “little England rurale e sospettosa” che ha estromesso dai circuiti commerciali internazionali una delle capitali della finanza mondiale (teoria peraltro del tutto infondata e, come dirà la storia, falsa). Ho inoltre intercettato, su pagine Facebook di persone fortunatamente meno influenti, bizzarre proposte di riforma della democrazia basate sul diverso peso da assegnare ai voti degli elettori, in funzione della loro età: il voto di un sessantenne peserebbe la metà di quello di un diciottenne (piccola riflessione: se questa riforma venisse applicata in Italia, gli esecrabili populisti del M5S, ampiamente il primo partito tra gli under-40, acquisirebbero circa l’80% del risultato). Insomma: schizofrenia collettiva.
Così siamo finalmente arrivati alla questione, che si estende ben al di là della Manica: che cosa significa oggi essere populisti? Per molti di questi criptofascisti, che al moschetto hanno sostituito il master di una business-school, essere populisti significa anteporre una visione della Storia per loro becera e retrograda, ad una prospettiva fondata invece sulla fiducia cieca e incondizionata nei benefici offerti dalla modernità scientifica e tecnologica (fiducia che trae linfa da una ortodossia scolastica sempre più sofisticata e pervasiva), di cui economia e finanza non sono che le espressioni più nobili e attuali. Essere populisti significa per loro privilegiare il cuore alla ragione, l’istinto al calcolo, la pancia alla testa, l’uomo alla macchina, l’armonia al tornaconto, la circolarità alla linearità, il disordine all’ordine, il dialogo al monologo, la terra alla scrivania, la natura alla cattività…
Ancora una volta, dunque, le differenze sembrano cioè riconducibili alla più o meno convinta adesione ai valori “ufficiali” dell’Occidente: da un lato chi, suddito di una forma mentis rigidamente positivistica e sequenziale, individua nel progresso tecnologico la fatale panacea di ogni male; dall’altro lato chi – per strade diverse e (per ora) non sempre sincronizzate – prende invece le distanze dalle derive meccanicistiche di un’impostazione culturale e sociale di matrice esclusivamente post-illuministica, che ha come unico e nefasto esito quello di esonerare l’essere umano dalla sua uman-ità.
I primi sono quelli che guidano un’auto lanciata all’impazzata verso quello stesso burrone scavato proprio dalle loro incrollabili certezze. I secondi sono quelli che, dai sedili posteriori e in modo (ancora) scomposto e rumoroso, cercano di azionare il freno a mano per scongiurare la catastrofe. E’ su questa irrisolta dualità che si gioca la partita, cari miei. Non tra giovani e vecchi, come il riduzionismo tipicamente occidentale (di cui siete vittime) vi ha astutamente fatto credere. Soprattutto perché ci saranno sempre più giovani (e sempre più preparati) che, avendo intuìto in anticipo l’imminente pericolosità di quel burrone, hanno fatto in tempo a lanciarsi fuori dai finestrini di quell’auto, un attimo prima del precipizio…
Per concludere ed evitare quindi malintesi: io non dico NO a questo folle progetto europeista perché la penso come i Farage, le Le Pen e i Salvini (vorrei anzi che fossero proprio loro, magari a calci nel sedere, i primi a uscire da questa Comunità); io dico NO a questa idea di Europa perché incarna alla perfezione, consacrandolo, il definitivo dominio della Tecnica sulle nostre vite, impedendoci di uscire dalle nostre zone di comfort e di immaginare la ricostruzione di un futuro certamente più sobrio, ma perfettamente congeniale alla nostra infinita, ma affascinante, piccolezza.
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Considero questo uno dei miei post più importanti degli ultimi tempi. Ho preferito rinunciare alla visibilità che mi avrebbero dato altri canali più seguiti, per “custodirlo” qui, su LLHT. Se ti è piaciuto, pensaci tu a diffonderlo.
Vivere Basso, Pensare Alto | Solo la Crisi ci può salvare
Devo dire che le immagini che hai scelto hanno un valore altamente rappresentatito delle insidie che si nascondono dietro la Brexit per il prossimo futuro e delle domande cui, volenti o nolenti, saremo tutti chiamati a rispondere.
E sono domande forti, accidenti. Domande come al solito da “pugno allo stomaco”… Ouch! Grazie, il dolore ci rende più forti ^_^.
Personalmente interpreto la Brexit come una sofisticata operazione per accelerare il processo in corso di disumanizzazione del lavoro e di aspirazione del denaro dal basso.
Il solito ritornello: bisogna produrre di più per tornare a crescere ma con maggiore efficienza ed a costi più bassi.
Il panico crea l’alibi perfetto per lo tsunami finanziario che genera “la crisi” e gli effetti sociali immediati sono la disoccupazione e l’impoverimento delle famiglie che si trovano in prima istanza a sostenere i costi di improbabili salvataggi di banche insalvabili.
Ergo, diminuzione delle retribuzioni salariali (per chi un lavoro ce l’ha) e robotizzazione (in fin dei conti costa meno del personale).
E qui la prima domanda: “sono disposto ad essere/diventare io stesso un tecnocrate altamente preparato al (s)fortunato servizio della macchina? Mi piace questo possibile futuro? Lo vorrei per i miei figli ed i miei nipoti?”
E’ lo scenario delle “grandi multinazionali” contro le piccole PMI, contro la manualità, l’artigianato, la poesia ed il sogno. Golia contro Davide. Ricco contro povero. Conservatore contro progressista.
Macellazione sociale.
E qui la seconda domanda: “Produco, consumo e crepo. Ma cosa sta succedendo? Voglio/posso scendere dall’auto? Cosa rischio?”
I britannici in fin dei conti sono forse i primi che, sottoposti all’esperimento sociale del “referendum”, sono stati chiamati a rispondere alle domande di cui sopra.
Le conseguenze della loro risposta sono cronaca quotidiana.
Ed ecco subito all’orizzonte la terza domanda: “quando toccherà a noi rispondere?”
Forse dovremmo rispondere ora e non domani se vogliamo avere la possibilità di scendere dall’auto prima che sia troppo tardi…
Per cui questa sera voglio provare a rispondere a modo mio nel tentativo di creare un chè di positivo e generativo.
Voglio trovare la risposta che c’è al di là della Brexit, dei populismi, delle false ideologie e delle relative strumentalizzazioni.
In fin dei conti anche secondo Sant’Agostino “in interiore homine habitat veritas”. Per giunta, neanche troppo celata!
E trovo che tale risposta sia curiosamente celata dentro un’altra domanda: qual’è la morale di quel “salto nel vuoto nel gran canyon? Dove atterrerà quella Ford Thunderbird azzurra sospesa a metà tra terra e cielo”?
“Cosa sono disposto a perdere/sacrificare in nome della libertà? Non solo mia ma anche dei miei figli e dei miei nipoti?”
Ritengo che sia una domanda/risposta radicalmente diversa dalla precedente, più salvifica, che richiede un pensiero profondo una risposta proattiva meditata che possa contenere i semi della rinascita.
Ahimè la risposta, ovvero, la sostanza delle cose, ha un contenuto di “verità” molto più denso e quindi “duro” dell’apparenza e la libertà “assoluta” ha sempre un costo (molto) elevato da sostenere.
In ultima istanza, quindi, arriva il punto in cui o si fa di tutto per “vivere” o si fa di tutto per “morire” (Le Ali della Libertà).
Come individui siamo chiamati a questo.
La sopravvivenza o meno della UE sarà solo la conseguenza delle nostre singole risposte.
Un caro saluto.
Lor
Caro Andrea, come sai sono un vecchio maestro “alimentare” (avrei voluto insegnare ai bambini a saper nutrire sempre meglio la loro intelligenza del mondo) che ha abbandonato l’insegnamento per contribuire alla nascita e alla conduzione di una scuola di restauro (quella che le ACLI bresciane hanno posto nell’ex Monastero della Trinità a Botticino), E’ stato lì che ho imparato che la cultura è “risorsa”: da coltivare e non da sfruttare per imbonire i poveri (di proprietà e di “spirito”: che, a sua volta, è diversa “sapienza”).
Ed è stato lì che ho imparato (grazie all’allora direttore dell’ICR, Giovanni Urbani) che il restauro fa più danni di quelli che risolve. Proprio come questa Europa monocratica e finanziaria.
Ma, come i danni dell’incessante degrado che i materiali di storia e d’arte subiscono dalle incontrollate condizioni ambientali e dall’inconsulto maluso che tutti facciamo dei territori storici, si possono risolvere soltanto con processi diversi da quelli dei continui (e sempre uguali) “ri-restauri”, così dobbiamo saper avviare processi diversi da quelli del monetarismo sempre più autoreferente (ha persino smesso di essere “capitale” che rischia “impresa”).
I vari Farage, Le Pen, Salvini sapranno attivare processi davvero adeguati e diversi da quelli in atto? O, in modo diverso, faranno finire tutti nell’abisso?
Quando i territori saranno diventati deserti grazie a periferie sempre più informi e a architetture sempre più malformi, sarà ancora possibile parlare di umanità?
E di popolo?
Ciao Pietro, forse nelle risposte che ho dato a Francesca e Enrico potresti trovare qualche spunto anche per le tue considerazioni. Ciao
Il capitale ha le sue leggi intrinseche.La principale e il profitto.Oggi il capitale è in una forsennata e spietàta concorrenza per accapararsi il profitto in tutto il mondo.Tutto il mondo OCSE oggi è in agonia il capitale guadagna poco o nulla.Le PMI sono strozzate da usurai.
IL sistema finanziario è allo sbando,borse in continua fibrillazione.
Qualcuno dice che il sistema è al capolinea.Non riesco ad immaginare un futuro.Ultimamente ho preso contatto con il Movimento 5 Stelle
ho visto un grande bisogno di competenze in tutti i campi e una grande confusione sull’organizzazione, io ho accettato il loro progetto prchè: 1)non sono borocrati ne banchieri
2)sono lavoratori
3)reddito di cittadinanza (diverrà una neccessità)
4)si dimezzano lo stipendio
5)no ai vitalizi ai politici
6)due mandati
7)sostenere le piccole medie imprese
8)taglio ai redditi e pensioni alte
Sono cose che si possono benissimo realizzare.
Vorrei sapere cosa ne pensi,
Un saluto con affetto Gioirgio
Ciao Giorgio, grazie per le tue considerazioni.
Ho smesso da un po’ di tempo di parlare di politica.
Per chi ha fatto scelte come le mie, l’unica politica che conta è quella che si testimonia direttamente. E che ha a che fare con il concetto (blasfemo, qui in Italia) di responsabilità. Se può interessarti, nel mio nuovo libro, Solo la Crisi ci può salvare, c’è un intero capitolo dedicato all’importanza di anteporre la responsabilità diretta alla democrazia diretta.
Come detto ripetutamente in passato (anche su questo blog: vedi i tag elezioni e M5S e, in particolare, il post La discontinuità immaginata e relativi commenti), sono interessato alla fenomenologia Cinque Stelle più da un punto di vista sociologico che politico. Sono cioè curioso di capire se l’impresa avviata da Beppe Grillo si rivelerà in grado di incidere strutturalmente sulla forma mentis degli italiani. Cosa su cui ho inevitabilmente tantissime perplessità: chi voterà domani per i ragazzi del movimento, infatti, saranno in buona parte gli stessi che ieri votavano Renzi e ieri l’altro per Berlusconi, non dimentichiamolo.
O cambiamo noi per primi, o non ci sarà purtroppo movimento che tenga.
Ciao, a presto
Andrea
Un aspetto che forse molti ancora sottovalutano (perché forse non si rendono conto della gravità) è che, almeno secondo me, molti non vogliono comprendere che i vari trattati che stanno architettando gli USA con l’EUROPA sono assolutamente distruttivi!
Davvero non pensate che ci sia alcun legame con la Brexit?
Chi è ancora asservito al potere, continuerà a percorrere senza sosta la strada che porta a quel gigantesco burrone perché è ormai incapace di fermarsi. Il grave problema è che così facendo, nel burrone non ci finiscono soltanto costoro, ma anche chi è vittima delle scelte sbagliate degli altri (più o meno consapevolmente).
L’errore più grave dei “vecchi” non è soltanto quello di non essere capaci di riconoscere i propri errori, ma quello di voler costringere i loro figli e le nuove generazioni a perseverare nei loro stessi errori che hanno portato la società e il mondo intero al collasso.
Probabilmente, allora, il collasso del genere umano si rivelerà essere la risposta immunitaria del pianeta Terra (visto come unico, grande organismo vivente) contro l’agente patogeno che la sta minacciando. Allarghiamo lo zoom e facciamocene una ragione.
Nel frattempo, facciamo del nostro meglio. Ciao
non so … a me sembra che la Brexit sia stata scelta sulla base dell’ignoranza dei britannici, che votavano per non far entrare gli “sporchi” immigrati polacchi in casa loro, orgogliosi della loro “imperialità”.
MI ha colpito leggere che DOPO il referendum, la seconda domanda più digitata su Google dai britannici fosse «What is the Eu?», seguita da «What happens if we leave the Eu?» …
In qs casi la domanda che mi sorge spontanea è: Cui prodest?, vale a dire A chi giova?.
Sicuramente non ai … poveretti …
Se, come ti auguri, la Brexit farà uscire dalle zone di comfort, mi viene da pensare a chi quelle zone di confort non le ha mai conosociute e chi se le è dovute dimenticare, e sono la stragrande maggioranza.
La storia ci dice che i “ricchi” (chi governa la finanza e l’economia) hanno tutto da guadagnarci dall’aumento della povertà, in quanto in qs casi chi è più ricco si arricchisce di più e chi è più povero si impoverisce di più.
Infine, ahimè, non sono d’accordo con te che esprimere il proprio voto sia sempre sinonimo di democrazia, perchè purtroppo sappiamo, e la Brexit ne è esempio, che è facile “accendere gli animi” e far votare la pancia (che porc, è sempre facilmente indirizzabile con slogan tipo: “difendiamoci dall’invasione degli immigrati” , che per i britannici sono europei, cioè i polacchi!!!), molto più difficile spegnerli dopo l’accensione (ma conviene?).
Non so 2 … in effetti mi sento un po’ scisso …
La mia pancia dice: finalmente ‘sti britannici si sono tolti dalle pa…e!
La mia testa dice: niente di nuovo sul fronte occidentale, gli sfigati lo diventano di più, e il re non si sa più chi è e che vestito ha.
Il mio cuore … è molto triste …
Enrico
Ciao Enrico,
questo post è diviso in tre parti:
1) Brexit
2) Democrazia
3) Populismo
Affronto in un’unico ragionamento tre questioni delicatissime, che la vicenda Brexit ha secondo me mescolato bene.
Sono fermamente convinto che il primo problema da rimuovere per ritrovare un senso di comunità (e provare a risolvere molti dei problemi che ci affliggono) sia la disgregazione – più o meno pacifica, non importa – di questa oligarchia finanziaria. Che, come detto a sfinimento, incarna la supremazia della Tecnica sulla nostre vite.
Ripeto, perché credo che su questo punto non sarò mai sufficientemente netto: la priorità assoluta è smantellare questo progetto europeista. In qualsiasi modo. Qualsiasi.
Solo dopo che questo manipolo di tecnocrati al guinzaglio del capitale e della loro ingordigia sarà stato scalzato, potremo forse ripristinare una diversa idea di futuro. E, per fare questo, la democrazia è un ottimo strumento. 😉 Quindi, ben venga il referendum britannico. E benissimo venga la vittoria del Leave!
Il terzo punto sono i cosiddetti populismi. Pur concordando con te che si sia approfittato dell’ingenuità di fasce di popolazione probabilmente sottoacculturate (ma anche qui: sono solo le attuali convenzioni sociali a farci credere che la cultura contadina – tanto detestata da Severgnini – sia gerarchicamente inferiore alla cultura finanziaria…), volevo far notare che chi si oppone a questa scellerato progetto non è necessariamente un povero analfabeta, come certa propaganda mainstream vorrebbe far credere. Detesto citarmi, ma io ho appesa in bagno una laurea vecchio ordinamento con 110L e una brillante carriera da funzionario bancario alle spalle. E, nonostante questo, ho scritto quello che hai letto. E, soprattutto, ho fatto le scelte che ho fatto…
Come al solito, il tempo dirà chi aveva ragione. Per ora, mi limito a registrare che molte delle tendenze sociali che espressi ormai 4-5 anni fa si stanno puntualmente realizzando…
Ciao
PS. Non ti preoccupare: non morirà nessuno. Non di fame, almeno.
Caro Andrea,
ripeto, non so … il tempo delle mie certezze è ormai al tramonto, sarà che sono passati ormai da tempo i cinquant’anni e che le cose hanno assumono sempre più dei contorni, e anche delle centralità, diverse.
Anche io, da giovane come te, credevo in un utopia.
Dal lontano 1982 ho contribuito nel mio piccolo, assieme ad altri, al “successo” dell’agricoltura biologica, utopia che incredibile per quei tempi, si è realizzata.
La fortuna è stata che il movimento degli utopisti è potuto crescere passo dopo passo fino al 1991, quando fu “sdoganata” da un regolamento della UE! Ora le cose non sono più tanto magnifiche come allora, ma, grazie a Dio, la cultura ecologica della gente è molto cresciuta, anche grazie all’AB.
Riconosco anche io i tanti limiti della UE, però come tutte le “cose”, non è solo “male”.
Lo smaltellamento di cui parli, mi ricorda tanto la rottamazione renziana, cioè parole molto evocative e di successo di qs tempi, ma solo parole.
Inoltre penso che siano impossibili da realizzare (forse è un’utopia?) e quindi ben vengano le sconfitte dell’oligarchia finanziaria (la Brexit è tale?) e la vittoria della democrazia, ma se il voto porterà danno economico a chi l’ha votato, e ricchezza a chi l’ha voluto, allora … i margini di miglioramento sono tanti.
Comunque penso che sia oggettivo che la GB abbia iniziato un esperimento xlo- interessante, vedremo cosa porterà a loro e a noi.
Ti saluto augurando una buona vita a te a a tutti i lettori.
Enrico
Grazie Enrico, sei molto gentile. Sei un precursore dell’AB e quindi non devo insegnarti nulla sulla forza evocativa non tanto delle parole, tantomeno delle utopie (in cui non credo), quanto invece dei… sogni.
Le valutazioni sociologiche in cui ogni tanto mi vedi cimentarmi non presuppongono assolutamente, almeno per me, una qualche aspettativa nei complessi sistemi di governance (sia italiana che europea). Detesto ogni forma di delega, ma credo esclusivamente nella forza motrice dei progetti e nelle energie che da essi può scaturire su base microcomunitaria.
Per me il massimo è quando un partecipante dei miei corsi mi confida di essersi dimesso da un posto di lavoro che lo stava spegnendo, per dedicarsi consapevolmente a coltivare e concretizzare un’idea. Io “lavoro alla base della piramide”, dove è più facile incontrare umanità, rispetto, conforto reciproco. Nei gradini più alti c’ero prima, ma non c’era nulla di tutto ciò. E li ho abbandonati. Se ogni tanto parlo dei massimi sistemi è solo perché credo di possedere una certa conoscenza (o intuito?) di come girano certe cose. Ma a me interessano i sistemi minimi: sono quelli dove è più facile trovare la contentezza. 😉
Buona vita anche a te!
Ho letto e riletto questo post e, pur avendo la tua stessa visione su questa Europa e su quella che crediamo essere la REALE alternativa a questa societa’ malsana, non concordo con te sulle ragioni della vittoria dei “leave”. Dopo la lettura di numerose analisi, soprattutto sulla stampa estera, sono dell’idea che il motivo vada ricercato nello scarto sociale tra intere fasce di popolazione. Come ampiamente spiegato da Fitoussi e altri, e’ la disparita’ sociale che muove le masse (la frase e’ mia) e vedere la “geografia del voto” fa comprendere la potenza degli effetti delle disuguaglianze. Tu Andrea, mi sembra di capire, imputi il risultato alla lungimiranza di coloro che hanno capito che stiamo andando verso il baratro e quindi hanno trovato un modo di dire “NO”. Credo tu stia valutando il risultato con ottimismo, dando un’interpretazione prettamente soggettiva a un risultato che a mio avviso e’ piu’ legato al non sentirsi parte della fetta ricca della societa’ che a un nuovo Illuminismo.
Ciao Francesca. No, credo che questa volta ci siamo capiti male. Provo a fare chiarezza, distinguendo cause da effetti.
Cause. Credo che la causa della vittoria dei Leave, come ho scritto chiaramente nel mio ultimo articolo sul Fatto Quotidiano (e, in parte, qui), sia esattamente quella che indichi tu, cioè la piaga delle disuguaglianze sociali, su cui – come sai – insisto da quando LLHT è nato: ricorderai il post La misura dell’anima, del febbraio 2013. Piaga che di volta in volta assume e si esprime con modalità differenti (voto indipendentista, xenofobia, etc…).
Effetti. Gli effetti, invece, sono quelli che provavo a descrivere in questo post. Quella che tu chiami “lungimiranza di coloro che hanno capito che stiamo andando verso il baratro” è – o meglio: mi auguro che diventi – una delle conseguenze della disgregazione del progetto europeista. Lo scrivo alla fine, quando parlo di fuoriuscita non tanto dalla UE, quanto dalle zone di comfort. Solo al di fuori di esse, infatti, si può immaginare uno scenario diverso. Se non altro, perché là fuori si può imparare a decostruire l’immaginario che precedentemente ci imprigionava. (Come certamente saprai, la London Stock Exchange ha già superato i livelli per-Brexit: questo potrà far capire ai londinesi quanto fosse infondato tutto quel clamore sull’uscita di UK dall’Europa.)
La tua osservazione diventa molto più pertinente quando, uscendo dalla Gran Bretagna, introduco la categoria del populismo: quando il Pensiero Unico definisce populiste le pulsioni antisistemiche che sanno emergendo ovunque, credo che commetta l’errore madornale (e che pagherà carissimo) di ignorare anche quelle forme di ottimismo che dicevi tu. Mi spiego: tra quelli che vengono sbrigativamente definiti populisti ci sono anche persone, gruppi e movimenti che – in radicale antitesi alla morale dominante – sono costruttivamente alla ricerca di una prospettiva più autentica.
Forse, nei due articoli, non sono stato sufficientemente netto nella distinzione tra cause ed effetti. Spero, con questa risposta, di aver fatto chiarezza. Ciao